Questo paper affronta l’idea secondo cui uno dei compiti della filosofia politica sia quello di capire se i media digitali incorporino, per design, dei valori morali/politici (embedded values), quali siano questi valori, e come si relazionino con i valori che animano la partecipazione dei singoli alla discussione filosofica come pratica comune. Intendo procedere in questo modo. La prima parte del paper è espositiva. Anzitutto spiegherò cosa intendo per filosofia politica: una pratica di pensiero essenzialmente interrogante, in senso tradizionalmente socratico; ciò significa che assumo, come specificità della filosofia politica, non una determinata competenza professionalizzante, quanto un’attitudine critico-scettica praticabile in comune (Zusammenfragen). Una volta chiarito il carattere non dottrinale della filosofia politica, presenterò la tesi, elaborata in modo classico da Langdon Winner (1980), secondo cui gli artefatti possono incorporare orientamenti o valori morali e politici. In seguito, passerò a presentare sinteticamente il principale approccio all’analisi critica degli embedded values nei sistemi informatici, la disclosive computer ethics elaborata da Philip Brey (1998; 2000), e a cui può essere ricondotta anche la ricerca di Helen Nissenbaum (1998; Friedman & Nissenbaum 1996). La tesi che si intende sostenere è che la suddetta filosofia politica deve dotarsi degli strumenti elaborati dalla disclosive computer ethics per affrontare la questione posta dalla pratica della filosofia in ambiente digitale, e nello specifico dalla crescente tendenza di utilizzare i social media come piattaforma su cui instaurare il confronto filosofico, fra docenti, esperti del settore e cittadini, lettori e appassionati. Si vuole estendere il campo della disclosive computer ethics e parlare di una disclosive social media ethics. Se i social media incorporano dei valori, è necessario verificare se e in che modo questi valori sono compatibili con l’attività filosofica, se contribuiscono ad irrobustirne la pratica, o se, al contrario, entrano in conflitto con essa. In che modo l’enfasi posta da un social media sull’evento, sulla connettività, sulla condivisione, sulla reazione emotiva, può conciliarsi con le necessità di una discussione competente condotta nell’amicizia e nel rispetto reciproco? Un’attività interrogante condotta in determinati ambienti digitali non risulta, sin dal principio, profondamente condizionata dalla logica strutturale e valoriale che li anima? La filosofia deve assumersi l’incarico di perlustrare queste nuove “caverne” per verificare se al loro interno le pratiche filosofiche condivise si deformino o fioriscano. Infine mostro l’importanza di tali pratiche come forme di civic agency praticata nei e per mezzo dei digital media.

Il compito critico della filosofia politica negli ambienti digitali

MARCO MENON
2019-01-01

Abstract

Questo paper affronta l’idea secondo cui uno dei compiti della filosofia politica sia quello di capire se i media digitali incorporino, per design, dei valori morali/politici (embedded values), quali siano questi valori, e come si relazionino con i valori che animano la partecipazione dei singoli alla discussione filosofica come pratica comune. Intendo procedere in questo modo. La prima parte del paper è espositiva. Anzitutto spiegherò cosa intendo per filosofia politica: una pratica di pensiero essenzialmente interrogante, in senso tradizionalmente socratico; ciò significa che assumo, come specificità della filosofia politica, non una determinata competenza professionalizzante, quanto un’attitudine critico-scettica praticabile in comune (Zusammenfragen). Una volta chiarito il carattere non dottrinale della filosofia politica, presenterò la tesi, elaborata in modo classico da Langdon Winner (1980), secondo cui gli artefatti possono incorporare orientamenti o valori morali e politici. In seguito, passerò a presentare sinteticamente il principale approccio all’analisi critica degli embedded values nei sistemi informatici, la disclosive computer ethics elaborata da Philip Brey (1998; 2000), e a cui può essere ricondotta anche la ricerca di Helen Nissenbaum (1998; Friedman & Nissenbaum 1996). La tesi che si intende sostenere è che la suddetta filosofia politica deve dotarsi degli strumenti elaborati dalla disclosive computer ethics per affrontare la questione posta dalla pratica della filosofia in ambiente digitale, e nello specifico dalla crescente tendenza di utilizzare i social media come piattaforma su cui instaurare il confronto filosofico, fra docenti, esperti del settore e cittadini, lettori e appassionati. Si vuole estendere il campo della disclosive computer ethics e parlare di una disclosive social media ethics. Se i social media incorporano dei valori, è necessario verificare se e in che modo questi valori sono compatibili con l’attività filosofica, se contribuiscono ad irrobustirne la pratica, o se, al contrario, entrano in conflitto con essa. In che modo l’enfasi posta da un social media sull’evento, sulla connettività, sulla condivisione, sulla reazione emotiva, può conciliarsi con le necessità di una discussione competente condotta nell’amicizia e nel rispetto reciproco? Un’attività interrogante condotta in determinati ambienti digitali non risulta, sin dal principio, profondamente condizionata dalla logica strutturale e valoriale che li anima? La filosofia deve assumersi l’incarico di perlustrare queste nuove “caverne” per verificare se al loro interno le pratiche filosofiche condivise si deformino o fioriscano. Infine mostro l’importanza di tali pratiche come forme di civic agency praticata nei e per mezzo dei digital media.
2019
978-84-17270-92-6
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