Negli ultimi anni, la serie di repentini tracolli finanziari di aziende caratterizzate da una situazione apparentemente solida, ha messo ancora una volta sotto giudizio l’effettiva validità ed utilità del bilancio d’esercizio. Nonostante la normativa dettata dalle disposizioni di legge, i principi contabili e le regole prescritte dalle discipline economico-aziendali provino ad assottigliare l’inevitabile distacco tra realtà aziendale e dato contabile, molti Autori, soprattutto anglosassoni, cadono nella tentazione di considerare il risultato di esercizio una «supposizione» o, utilizzando il loro termine, «an opinion». Viene sottovalutato l’aspetto economico, ponendo eccessiva enfasi sui mezzi liquidi, fino ad affermare addirittura: «cash is king». In altri termini, poiché la scelta fra più criteri di valutazione e di contabilizzazione dei fatti di gestione, viene considerata ininfluente ai fini della determinazione del valore del capitale economico, si è arrivati a coniare l’espressione «accounting is irrelevant». Ciononostante, dalla semplice constatazione che le manipolazioni contabili creano delle false aspettative negli operatori economici, si deduce che al bilancio continua ad essere riconosciuta, nonostante le diffidenze ed i fondati sospetti del caso, funzione di primaria importanza nell’ambito dell’informativa esterna d’azienda: viene soddisfatto, in parte, il bisogno di conoscenze degli operatori economici «esterni». In effetti, attorno a tale strumento informativo gravitano molteplici interessi facenti capo a diverse categorie di soggetti, i quali hanno un differente grado di conoscenza della realtà aziendale dovuto al differente rapporto con cui sono legati alla società stessa: amministratori, soci di minoranza, soci di maggioranza, dipendenti, risparmiatori, investitori istituzionali, clienti, fornitori, lo stato, ecc.. Una situazione che, di fatto, si presenta in modo più o meno marcato in ogni realtà economica, e che può condurre, a seconda delle esigenze da soddisfare, alla redazione di bilanci differenti. Tale circostanza fa della creative accounting una problematica di costante attualità, nonché una tematica molto dibattuta in dottrina sulla quale non si ha una unanime convergenza di vedute. Infatti, è doveroso sottolineare come la discrezionalità non sempre sia in contrasto con l’informativa di bilancio: una maggiore discrezionalità potrebbe migliorarne la capacità segnaletica, il contenuto e indirizzarne opportunamente gli obiettivi verso punti di massima trasparenza. Data la portata e l’ampiezza delle problematiche inerenti le politiche di bilancio, la presente ricerca è concentrata su alcune peculiari sfaccettature del tema investigato, alle quali la dottrina non sempre ha dedicato lo stesso grado di approfondimento riservato ad altri aspetti più tradizionali. L’analisi proposta in questa sede si struttura in quattro capitoli, i cui tratti essenziali sono di seguito sintetizzati. Nel primo capitolo, di carattere introduttivo, viene delineato il concetto di discrezionalità nel processo di redazione del bilancio d’esercizio, nonché l’evoluzione storica dei margini di manovra con cui gli amministratori possono influenzare la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria del complesso produttivo. Vengono analizzate, inoltre, le varie sfaccettature della funzione svolta dalla discrezionalità, in particolare come la stessa possa essere vista sia come strumento utile per adattare al meglio gli schemi di bilancio alla realtà aziendale, sia come «potere» utilizzabile strumentalmente dagli amministratori per porre in essere delle politiche di bilancio: in altri termini, viene esaminato quanto la discrezionalità possa essere modificata dalla disciplina normativa, senza intaccare la significatività del bilancio. È stato approfondito il ruolo degli stakeholder, soggetti in grado, ognuno con differente intensità, di influenzare, direttamente o indirettamente, sia l’andamento della gestione, cioè l’andamento economico-finanziario di tutte le operazioni aziendali nel loro insieme, sia la rilevazione contabile delle stesse, nonché la loro rappresentazione in bilancio. Viene, inoltre, sottolineata la necessità di coordinare sinergicamente le politiche di bilancio, evitando che i terzi reagiscano in modo tale da produrre degli effetti collaterali in grado di influenzare negativamente gli obiettivi perseguiti dall’organismo aziendale. Un paragrafo è stato dedicato agli effetti prodotti dall’asimmetria informativa nel meccanismo di equilibrio delle forze che ruotano attorno al processo di redazione del bilancio. Il secondo capitolo si focalizza sulle varie concezioni di politiche di bilancio: non esiste, infatti, una definizione universalmente accettata in grado di cogliere tutti i molteplici e variegati aspetti del fenomeno in oggetto. Vengono, quindi, analizzate le varie concezioni sia in senso stretto, basate sulle valutazioni di fine periodo, sia in senso più ampio, attuate cioè attraverso operazioni ad hoc, con la conseguente alterazione dei valori di bilancio. Si tenta di delineare un quadro organico circa i tratti distintivi delle politiche di bilancio, proponendo alcune classificazioni, dai confini non sempre ben delineati, basate sul tipo di conseguenze prodotto: politiche assolute e relative, palesi e occulte, lecite ed illecite, temporanee e definitive. Indipendentemente dal tipo di classificazione utilizzata, dalla definizione adottata e dalla terminologia impiegata, si cerca di analizzare le grandezze logiche coinvolte, nonché gli effetti e contro-effetti, originati dalle strategie di bilancio messe in atto dall’organo amministrativo. Infine, viene descritta una peculiare politica di bilancio, denominata paradosso della data di chiusura, che permette, allorquando si verifichino determinate condizioni, di scegliere una fra le differenti possibili rappresentazioni della realtà aziendale, senza dover ricorrere ad alcuna alterazione delle poste contabili. Nel terzo capitolo si pone l’attenzione sulle varie parti in cui è possibile scomporre, idealmente, il patrimonio netto, in altri termini vengono descritte le riserve palesi, i fondi nonché i fenomeni della riserva occulta e dell’annacquamento di capitale. Argomenti che sono resi ancora più complessi dalla miriade di denominazioni differenti coniate, dagli operatori del settore, per indicare «poste del passivo » aventi la medesima natura: proliferazioni di termini, spesso, generate strumentalmente per permettere, in una sorta di contabilità creativa, di rendere meno chiare, e quindi occultare, le motivazioni che possono spingere alla creazione delle stesse. Vengono trattati gli effetti inevitabili (risultati intermedi), cioè le dirette ed automatiche conseguenze delle politiche di bilancio; conseguenze che permettono, eventualmente, di raggiungere - a seconda del contesto di riferimento – uno o più scopi potenziali (risultati finali). Ogni singola politica di bilancio, quindi, può essere messa in atto per raggiungere innumerevoli scopi potenziali (personali o aziendali) che non possono essere esaurientemente elencati e determinati in modo univoco (alcuni dei quali persino in contrasto tra loro) poiché, nello specifico, i contesti aziendali in cui le politiche stesse vengono attuate sono complessi e variabili. Scopi che, talvolta, potrebbero essere raggiunti anche tramite operazioni il cui legame con le politiche di bilancio è meno inteso. Un paragrafo approfondisce le problematiche di natura contabile derivanti dalla variazione del potere di acquisto della moneta: effetti che possono assumere direzioni ed intensità variabili a seconda del contesto di riferimento e della situazione economico-finanziaria e patrimoniale che caratterizza ogni singola azienda. In particolare, vengono analizzate le conseguenze generate sulla capacità informativa del bilancio, nonché alcuni aspetti della nozione di riserva occulta e di annacquamento di capitale in situazioni caratterizzate da instabilità monetaria. Il quarto capitolo pone in risalto gli effetti immediati (che implicano un’uscita di mezzi finanziari) e non immediati (che implicano solo riflessi contabili) derivanti dall’utilizzo di riserve palesi. In particolare l’indagine è stata incentrata sulla problematica dell’utilizzo delle riserve occulte, aspetto solitamente trattato dalla dottrina in modo marginale o in via incidentale. Operazione, tutt’altro che priva di effetti sulla gestione aziendale, in grado di coinvolgere delle grandezze logiche che, come è facile attendersi, differiscono in modo significativo dalle grandezze coinvolte nel caso di utilizzo di riserve palesi: è un processo più complesso (che può implicare la fase dell’evidenziazione e/o dell’impiego), che può verificarsi in modo automatico e spesso può sfuggire al controllo dell’organo amministrativo, in quanto la relativa dinamica dipende dalla natura della «fonte contabile», cioè dell’elemento attivo sottovalutato o dell’elemento passivo sopravalutato. In altri termini, l’organo amministrativo può controllare la costituzione delle riserve occulte, ma non altrettanto agevolmente può manovrarne il loro utilizzo. Una parte significativa dell’ultimo capitolo è stata dedicata alla possibilità di concepire l’avviamento come riserva occulta (o potenziale): il problema di delineare dei confini nitidi tra i due concetti non ha mai avuto una soluzione univoca da parte della dottrina economico-aziendale. Inoltre, viene analizzata la possibilità tramite le politiche di bilancio di incidere, direttamente o indirettamente, sia sulla parte reale che su quella fittizia dell’avviamento: due aspetti, concettualmente ben distinti, ma appartenenti al medesimo fenomeno.

Le politiche di bilancio. Motivazioni e riflessi economico-aziendali

VERONA, ROBERTO
2006-01-01

Abstract

Negli ultimi anni, la serie di repentini tracolli finanziari di aziende caratterizzate da una situazione apparentemente solida, ha messo ancora una volta sotto giudizio l’effettiva validità ed utilità del bilancio d’esercizio. Nonostante la normativa dettata dalle disposizioni di legge, i principi contabili e le regole prescritte dalle discipline economico-aziendali provino ad assottigliare l’inevitabile distacco tra realtà aziendale e dato contabile, molti Autori, soprattutto anglosassoni, cadono nella tentazione di considerare il risultato di esercizio una «supposizione» o, utilizzando il loro termine, «an opinion». Viene sottovalutato l’aspetto economico, ponendo eccessiva enfasi sui mezzi liquidi, fino ad affermare addirittura: «cash is king». In altri termini, poiché la scelta fra più criteri di valutazione e di contabilizzazione dei fatti di gestione, viene considerata ininfluente ai fini della determinazione del valore del capitale economico, si è arrivati a coniare l’espressione «accounting is irrelevant». Ciononostante, dalla semplice constatazione che le manipolazioni contabili creano delle false aspettative negli operatori economici, si deduce che al bilancio continua ad essere riconosciuta, nonostante le diffidenze ed i fondati sospetti del caso, funzione di primaria importanza nell’ambito dell’informativa esterna d’azienda: viene soddisfatto, in parte, il bisogno di conoscenze degli operatori economici «esterni». In effetti, attorno a tale strumento informativo gravitano molteplici interessi facenti capo a diverse categorie di soggetti, i quali hanno un differente grado di conoscenza della realtà aziendale dovuto al differente rapporto con cui sono legati alla società stessa: amministratori, soci di minoranza, soci di maggioranza, dipendenti, risparmiatori, investitori istituzionali, clienti, fornitori, lo stato, ecc.. Una situazione che, di fatto, si presenta in modo più o meno marcato in ogni realtà economica, e che può condurre, a seconda delle esigenze da soddisfare, alla redazione di bilanci differenti. Tale circostanza fa della creative accounting una problematica di costante attualità, nonché una tematica molto dibattuta in dottrina sulla quale non si ha una unanime convergenza di vedute. Infatti, è doveroso sottolineare come la discrezionalità non sempre sia in contrasto con l’informativa di bilancio: una maggiore discrezionalità potrebbe migliorarne la capacità segnaletica, il contenuto e indirizzarne opportunamente gli obiettivi verso punti di massima trasparenza. Data la portata e l’ampiezza delle problematiche inerenti le politiche di bilancio, la presente ricerca è concentrata su alcune peculiari sfaccettature del tema investigato, alle quali la dottrina non sempre ha dedicato lo stesso grado di approfondimento riservato ad altri aspetti più tradizionali. L’analisi proposta in questa sede si struttura in quattro capitoli, i cui tratti essenziali sono di seguito sintetizzati. Nel primo capitolo, di carattere introduttivo, viene delineato il concetto di discrezionalità nel processo di redazione del bilancio d’esercizio, nonché l’evoluzione storica dei margini di manovra con cui gli amministratori possono influenzare la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria del complesso produttivo. Vengono analizzate, inoltre, le varie sfaccettature della funzione svolta dalla discrezionalità, in particolare come la stessa possa essere vista sia come strumento utile per adattare al meglio gli schemi di bilancio alla realtà aziendale, sia come «potere» utilizzabile strumentalmente dagli amministratori per porre in essere delle politiche di bilancio: in altri termini, viene esaminato quanto la discrezionalità possa essere modificata dalla disciplina normativa, senza intaccare la significatività del bilancio. È stato approfondito il ruolo degli stakeholder, soggetti in grado, ognuno con differente intensità, di influenzare, direttamente o indirettamente, sia l’andamento della gestione, cioè l’andamento economico-finanziario di tutte le operazioni aziendali nel loro insieme, sia la rilevazione contabile delle stesse, nonché la loro rappresentazione in bilancio. Viene, inoltre, sottolineata la necessità di coordinare sinergicamente le politiche di bilancio, evitando che i terzi reagiscano in modo tale da produrre degli effetti collaterali in grado di influenzare negativamente gli obiettivi perseguiti dall’organismo aziendale. Un paragrafo è stato dedicato agli effetti prodotti dall’asimmetria informativa nel meccanismo di equilibrio delle forze che ruotano attorno al processo di redazione del bilancio. Il secondo capitolo si focalizza sulle varie concezioni di politiche di bilancio: non esiste, infatti, una definizione universalmente accettata in grado di cogliere tutti i molteplici e variegati aspetti del fenomeno in oggetto. Vengono, quindi, analizzate le varie concezioni sia in senso stretto, basate sulle valutazioni di fine periodo, sia in senso più ampio, attuate cioè attraverso operazioni ad hoc, con la conseguente alterazione dei valori di bilancio. Si tenta di delineare un quadro organico circa i tratti distintivi delle politiche di bilancio, proponendo alcune classificazioni, dai confini non sempre ben delineati, basate sul tipo di conseguenze prodotto: politiche assolute e relative, palesi e occulte, lecite ed illecite, temporanee e definitive. Indipendentemente dal tipo di classificazione utilizzata, dalla definizione adottata e dalla terminologia impiegata, si cerca di analizzare le grandezze logiche coinvolte, nonché gli effetti e contro-effetti, originati dalle strategie di bilancio messe in atto dall’organo amministrativo. Infine, viene descritta una peculiare politica di bilancio, denominata paradosso della data di chiusura, che permette, allorquando si verifichino determinate condizioni, di scegliere una fra le differenti possibili rappresentazioni della realtà aziendale, senza dover ricorrere ad alcuna alterazione delle poste contabili. Nel terzo capitolo si pone l’attenzione sulle varie parti in cui è possibile scomporre, idealmente, il patrimonio netto, in altri termini vengono descritte le riserve palesi, i fondi nonché i fenomeni della riserva occulta e dell’annacquamento di capitale. Argomenti che sono resi ancora più complessi dalla miriade di denominazioni differenti coniate, dagli operatori del settore, per indicare «poste del passivo » aventi la medesima natura: proliferazioni di termini, spesso, generate strumentalmente per permettere, in una sorta di contabilità creativa, di rendere meno chiare, e quindi occultare, le motivazioni che possono spingere alla creazione delle stesse. Vengono trattati gli effetti inevitabili (risultati intermedi), cioè le dirette ed automatiche conseguenze delle politiche di bilancio; conseguenze che permettono, eventualmente, di raggiungere - a seconda del contesto di riferimento – uno o più scopi potenziali (risultati finali). Ogni singola politica di bilancio, quindi, può essere messa in atto per raggiungere innumerevoli scopi potenziali (personali o aziendali) che non possono essere esaurientemente elencati e determinati in modo univoco (alcuni dei quali persino in contrasto tra loro) poiché, nello specifico, i contesti aziendali in cui le politiche stesse vengono attuate sono complessi e variabili. Scopi che, talvolta, potrebbero essere raggiunti anche tramite operazioni il cui legame con le politiche di bilancio è meno inteso. Un paragrafo approfondisce le problematiche di natura contabile derivanti dalla variazione del potere di acquisto della moneta: effetti che possono assumere direzioni ed intensità variabili a seconda del contesto di riferimento e della situazione economico-finanziaria e patrimoniale che caratterizza ogni singola azienda. In particolare, vengono analizzate le conseguenze generate sulla capacità informativa del bilancio, nonché alcuni aspetti della nozione di riserva occulta e di annacquamento di capitale in situazioni caratterizzate da instabilità monetaria. Il quarto capitolo pone in risalto gli effetti immediati (che implicano un’uscita di mezzi finanziari) e non immediati (che implicano solo riflessi contabili) derivanti dall’utilizzo di riserve palesi. In particolare l’indagine è stata incentrata sulla problematica dell’utilizzo delle riserve occulte, aspetto solitamente trattato dalla dottrina in modo marginale o in via incidentale. Operazione, tutt’altro che priva di effetti sulla gestione aziendale, in grado di coinvolgere delle grandezze logiche che, come è facile attendersi, differiscono in modo significativo dalle grandezze coinvolte nel caso di utilizzo di riserve palesi: è un processo più complesso (che può implicare la fase dell’evidenziazione e/o dell’impiego), che può verificarsi in modo automatico e spesso può sfuggire al controllo dell’organo amministrativo, in quanto la relativa dinamica dipende dalla natura della «fonte contabile», cioè dell’elemento attivo sottovalutato o dell’elemento passivo sopravalutato. In altri termini, l’organo amministrativo può controllare la costituzione delle riserve occulte, ma non altrettanto agevolmente può manovrarne il loro utilizzo. Una parte significativa dell’ultimo capitolo è stata dedicata alla possibilità di concepire l’avviamento come riserva occulta (o potenziale): il problema di delineare dei confini nitidi tra i due concetti non ha mai avuto una soluzione univoca da parte della dottrina economico-aziendale. Inoltre, viene analizzata la possibilità tramite le politiche di bilancio di incidere, direttamente o indirettamente, sia sulla parte reale che su quella fittizia dell’avviamento: due aspetti, concettualmente ben distinti, ma appartenenti al medesimo fenomeno.
2006
Verona, Roberto
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