Il più importante volume della Barsotti (citato fra gli altri da Joseph Farrell) è dedicato a Eduardo De Filippo e a Dario Fo, due personalità di impatto internazionale (il secondo Premio Nobel per la letteratura). Traccia inoltre, e specialmente, la linea dell’ “attore-autore” italiano del Novecento: non solo interprete e non solo attore-che-scrive, ma attore creatore dell’evento spettacolare. In tale prospettiva la nostra “anomalia” nel contesto europeo, anziché ridursi alla cifra del ritardo − nei confronti dell’affermazione della regìa − diviene fattore di originalità, sulle tracce dei giullari e specialmente dei comici dell’Arte, senza tralasciare le orme del Grande attore e del mattatore ottocenteschi. Questa linea teatrale, che comprende fenomeni diversi, entra in sintonia con le scoperte della regìa storica senza conformarsi agli esiti di routine, proprio perché fondata sulla presenza nevralgica dell’attore; e costituisce – per la Barsotti – il filone più fecondo della nostra arte scenica di un XX secolo che prosegue (non senza scarti) nel XXI. Tale concetto (definito da Georges Banu “particulièrement original”) è alla base dell’articolata organizzazione del libro, che intende affrontare tre nodi rilevanti della storia dello spettacolo italiano novecentesco: oltre alla filiera dell’attore-autore, la crisi della forma dialogica e la conseguente emergenza del monologo; l’intreccio fra comico e tragico e la contaminazione di “lingue teatrali” che trae origine dai dialetti. La prima e la seconda parte del saggio sono riferite rispettivamente al grande Giucoliero Eduardo, alla sua alternanza “antinaturalistica” di attore “fra maschera e volto”, tra “affabulazione e silenzi”, e a Fo grande Giullare, anzi “giullarista e istriomane” e “attore plurale”. Si sottopone al microscopio lo stile recitativo di ciascuno, per rilevare come i “primi piani” del primo abbiano precise implicazioni drammaturgiche, mentre la pluralità vocale e metamorfica, le maschere mimiche (sonore o meno), la stessa “camminata” permettano al secondo di mostrare diverse identità conservando la propria. La terza parte del libro si concentra sugli elementi di contiguità e discontinuità che li collegano. Se la drammaturgia di entrambi nasce dal palcoscenico, da una fusione delle tre funzioni divise dall’avvento dell’industria teatrale, attore-autore-regista (per la prospettiva assunta condensate nel binomio attore-autore), il confronto tra le poetiche del comico e della scena consente di indagare specifiche relazioni e differenze. Si passa dal rapporto con la tradizione (ereditata o ricostruita) alle modalità di fusione delle funzioni, dalla finalità del teatro alla genesi della scrittura testuale, che implica per entrambi un personale stile recitativo, ma che per il primo approda a una speciale “drammaturgia consuntiva”, per il secondo alla dimensione del “testo mobile”. Fino al rapporto con il pubblico, fondamentale per la creazione drammaturgica e spettacolare di due uomini di teatro completi, legati eccentricamente alle proprie terre di teatro: Eduardo “casigliano d’una città-spettacolo” universale, Napoli; Fo “fabulatore” che dalla provincia si “metropolizza” a Milano, trasformando poi Mistero buffo in metafora del mondo. La quarta parte è indirizzata al dopo, pur facendo capo a quei due, appunto per individuare il fenomeno della crisi del dialogo e della centralità del monologo nel teatro italiano dal 900 al 2000. Qui si affronta il fenomeno connesso della lingua in scena: lingua corporale a partire ancora da Eduardo e da Fo, che intreccia dialetto e italiano, crea pastiches internazionali nei “solisti comico-tragici” come il “balbuziente” partenopeo Massimo Troisi, il “logorroico” toscano Roberto Benigni, il “lirico” napoletano, ma plurilinguistico Enzo Moscato. L’ultima parte è composta da “Materiali” critici e testimoniali, colloqui con Toni Servillo, Silvio Orlando, Alfonso Santagata, Paolo Rossi e Alessandro Benvenuti, volti a ricercare nella scena contemporanea rapporti (palesi o occulti) con i due protagonisti e con il teatro internazionale. E vi compare una sezione intitolata "Eduardiana". Da Leo de Berardinis a Toni Servillo si analizzano soluzioni al problema di “Eduardo dopo Eduardo” da parte di attori e attori-registi che ne hanno affrontato i testi, negli ultimi anni, senza epigonismi di maniera ma alla ricerca, viceversa, di una rigenerazione scenica della parola e del personaggio. Vi ritorna anche Fo (come esperienza o controverso punto di riferimento) nel colloquio con Alfonso Santagata e in quello con Paolo Rossi (“Tutto il teatro è politico”). Di fatto il volume, complesso e ricco, intende sviluppare una prospettiva critica: pur partendo dai due attori-autori capo, assume l’aspetto di un percorso storico e metodologico che arrivi a comprendere una determinata concezione del teatro e i mezzi adatti per analizzarlo, studiarlo, ricostruirlo.

"Eduardo, Fo e l'attore-autore del Novecento"

BARSOTTI, ANNA
2007-01-01

Abstract

Il più importante volume della Barsotti (citato fra gli altri da Joseph Farrell) è dedicato a Eduardo De Filippo e a Dario Fo, due personalità di impatto internazionale (il secondo Premio Nobel per la letteratura). Traccia inoltre, e specialmente, la linea dell’ “attore-autore” italiano del Novecento: non solo interprete e non solo attore-che-scrive, ma attore creatore dell’evento spettacolare. In tale prospettiva la nostra “anomalia” nel contesto europeo, anziché ridursi alla cifra del ritardo − nei confronti dell’affermazione della regìa − diviene fattore di originalità, sulle tracce dei giullari e specialmente dei comici dell’Arte, senza tralasciare le orme del Grande attore e del mattatore ottocenteschi. Questa linea teatrale, che comprende fenomeni diversi, entra in sintonia con le scoperte della regìa storica senza conformarsi agli esiti di routine, proprio perché fondata sulla presenza nevralgica dell’attore; e costituisce – per la Barsotti – il filone più fecondo della nostra arte scenica di un XX secolo che prosegue (non senza scarti) nel XXI. Tale concetto (definito da Georges Banu “particulièrement original”) è alla base dell’articolata organizzazione del libro, che intende affrontare tre nodi rilevanti della storia dello spettacolo italiano novecentesco: oltre alla filiera dell’attore-autore, la crisi della forma dialogica e la conseguente emergenza del monologo; l’intreccio fra comico e tragico e la contaminazione di “lingue teatrali” che trae origine dai dialetti. La prima e la seconda parte del saggio sono riferite rispettivamente al grande Giucoliero Eduardo, alla sua alternanza “antinaturalistica” di attore “fra maschera e volto”, tra “affabulazione e silenzi”, e a Fo grande Giullare, anzi “giullarista e istriomane” e “attore plurale”. Si sottopone al microscopio lo stile recitativo di ciascuno, per rilevare come i “primi piani” del primo abbiano precise implicazioni drammaturgiche, mentre la pluralità vocale e metamorfica, le maschere mimiche (sonore o meno), la stessa “camminata” permettano al secondo di mostrare diverse identità conservando la propria. La terza parte del libro si concentra sugli elementi di contiguità e discontinuità che li collegano. Se la drammaturgia di entrambi nasce dal palcoscenico, da una fusione delle tre funzioni divise dall’avvento dell’industria teatrale, attore-autore-regista (per la prospettiva assunta condensate nel binomio attore-autore), il confronto tra le poetiche del comico e della scena consente di indagare specifiche relazioni e differenze. Si passa dal rapporto con la tradizione (ereditata o ricostruita) alle modalità di fusione delle funzioni, dalla finalità del teatro alla genesi della scrittura testuale, che implica per entrambi un personale stile recitativo, ma che per il primo approda a una speciale “drammaturgia consuntiva”, per il secondo alla dimensione del “testo mobile”. Fino al rapporto con il pubblico, fondamentale per la creazione drammaturgica e spettacolare di due uomini di teatro completi, legati eccentricamente alle proprie terre di teatro: Eduardo “casigliano d’una città-spettacolo” universale, Napoli; Fo “fabulatore” che dalla provincia si “metropolizza” a Milano, trasformando poi Mistero buffo in metafora del mondo. La quarta parte è indirizzata al dopo, pur facendo capo a quei due, appunto per individuare il fenomeno della crisi del dialogo e della centralità del monologo nel teatro italiano dal 900 al 2000. Qui si affronta il fenomeno connesso della lingua in scena: lingua corporale a partire ancora da Eduardo e da Fo, che intreccia dialetto e italiano, crea pastiches internazionali nei “solisti comico-tragici” come il “balbuziente” partenopeo Massimo Troisi, il “logorroico” toscano Roberto Benigni, il “lirico” napoletano, ma plurilinguistico Enzo Moscato. L’ultima parte è composta da “Materiali” critici e testimoniali, colloqui con Toni Servillo, Silvio Orlando, Alfonso Santagata, Paolo Rossi e Alessandro Benvenuti, volti a ricercare nella scena contemporanea rapporti (palesi o occulti) con i due protagonisti e con il teatro internazionale. E vi compare una sezione intitolata "Eduardiana". Da Leo de Berardinis a Toni Servillo si analizzano soluzioni al problema di “Eduardo dopo Eduardo” da parte di attori e attori-registi che ne hanno affrontato i testi, negli ultimi anni, senza epigonismi di maniera ma alla ricerca, viceversa, di una rigenerazione scenica della parola e del personaggio. Vi ritorna anche Fo (come esperienza o controverso punto di riferimento) nel colloquio con Alfonso Santagata e in quello con Paolo Rossi (“Tutto il teatro è politico”). Di fatto il volume, complesso e ricco, intende sviluppare una prospettiva critica: pur partendo dai due attori-autori capo, assume l’aspetto di un percorso storico e metodologico che arrivi a comprendere una determinata concezione del teatro e i mezzi adatti per analizzarlo, studiarlo, ricostruirlo.
2007
Barsotti, Anna
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