Nell’articolo si analizza la discussione intorno all’economia politica ed alle teorie economiche di matrice anglosassone e francese avvenuta nel Granducato di Toscana nella prima metà dell’Ottocento. Sono stati inoltre ricostruiti i canali attraverso i quali numerosi esponenti del ceto dirigente granducale acquisirono i testi dei principali economisti inglesi e francesi. Fino agli ani Trenta l’élite toscana condivise l’itinerario proposto dagli economisti classici per individuare quella geometria delle leggi di produzione e di scambio che, come chiarito da Say, aveva fatto dell’economia politica una scienza sperimentale in grado di spiegare le leggi costanti e invariabili delle dinamiche del mercato. L’adesione al paradigma classico, peraltro, ben di coniugava con la tradizione liberista leopoldina. Tuttavia, nel corso degli anni Trenta, l’emergere delle rivolte operaie in numerose città europee e il dilagare del pauperismo portarono il ceto dirigente toscano a rivedere criticamente le proprie convinzioni, accordando maggiore attenzione alle teorie sismondiane. In questo cambiamento, acquisì un peso rilevante la definizione di economia politica, decisamente meno astratta, elaborata da un gruppo di giuristi toscani (Forti, Salvagnoli, Poggi), fondata su un approccio giuridico-storicistico e non deduttivistico, che portò a ridefinire su nuove basi il ruolo che gli apparati pubblici avrebbero dovuto avere nell’organizzazione dei fattori produttivi.

Osservazioni a proposito del dibattito sull'economia politica nella Toscana della Restaurazione

CINI, MARCO
2008-01-01

Abstract

Nell’articolo si analizza la discussione intorno all’economia politica ed alle teorie economiche di matrice anglosassone e francese avvenuta nel Granducato di Toscana nella prima metà dell’Ottocento. Sono stati inoltre ricostruiti i canali attraverso i quali numerosi esponenti del ceto dirigente granducale acquisirono i testi dei principali economisti inglesi e francesi. Fino agli ani Trenta l’élite toscana condivise l’itinerario proposto dagli economisti classici per individuare quella geometria delle leggi di produzione e di scambio che, come chiarito da Say, aveva fatto dell’economia politica una scienza sperimentale in grado di spiegare le leggi costanti e invariabili delle dinamiche del mercato. L’adesione al paradigma classico, peraltro, ben di coniugava con la tradizione liberista leopoldina. Tuttavia, nel corso degli anni Trenta, l’emergere delle rivolte operaie in numerose città europee e il dilagare del pauperismo portarono il ceto dirigente toscano a rivedere criticamente le proprie convinzioni, accordando maggiore attenzione alle teorie sismondiane. In questo cambiamento, acquisì un peso rilevante la definizione di economia politica, decisamente meno astratta, elaborata da un gruppo di giuristi toscani (Forti, Salvagnoli, Poggi), fondata su un approccio giuridico-storicistico e non deduttivistico, che portò a ridefinire su nuove basi il ruolo che gli apparati pubblici avrebbero dovuto avere nell’organizzazione dei fattori produttivi.
2008
Cini, Marco
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