Combattere l'esclusione sociale e promuovere partecipazione non rappresentano due tipi di azione strategica strettamente e necessariamente diversi. Ad esempio da un punto di vista sociologico, dove l'utilizzo dei concetti di esclusione e partecipazione ne rivela la prossimità, se non la complementarietà, logica, teorica e pragmatica (in quanto processi interrelati nei significati, nelle premesse e nelle conseguenze, in quanto categorie per l'osservazione dei sistemi relazionali, in quanto fenomeni reciprocamente costitutivi). Ma anche da un punto di vista politico-istituzionale e sociale, dove, ad esempio, se ne può riscontrare la crescente attenzione ad includere entrambe le ipotesi strategiche nei quadri di riferimento normativi (nelle politiche urbanistiche, sociali, economiche, in particolare) nel tentativo di sostenerne una reciproca funzionalità. Con tali affermazioni, non si prefigura ovviamente nulla di nuovo. Tuttavia, una più attenta considerazione di questo legame potrebbe non essere del tutto inutile al dibattito su questi temi. Per varie ragioni. Un primo punto è l'influenza della politica, rilevante intorno al tema della partecipazione, e che spesso tende a rivisitare il concetto attraverso schemi interpretativi la cui principale caratteristica è rilevabile nel grado di compatibilità con i processi di sensemaking (Weick 1995) propri alle istituzioni di riferimento. Il secondo è rappresentato dalle difficoltà teoriche che soprattutto il concetto di partecipazione in sé pone, ad esempio nell'individuazione di una definizione che permetta di rinunciare all'utilizzo del termine in assenza di epiteti o complementi. Il terzo riguarda le difficoltà concrete dei sistemi di welfare a tradurre pragmaticamente tale nesso e, ancor di più, a misurarne gli eventuali effetti. Parte di queste difficoltà derivano da una non sufficiente interazione tra discipline, scuole di pensiero, approcci di ricerca e campi di politica che ne hanno fatto qualche uso, nonché dagli ostacoli a riconoscere e valorizzare le sperimentazioni piccole e grandi che li attraversano. La psicologia sociale e di comunità e le scienze urbanistiche, le politiche urbane e le politiche giovanili, nonché altri tipi di esperienze tra intervento sociale, istruzione e cultura, che poco hanno goduto di attenzione istituzionale e scientifica, presentano interessanti spunti e avanzamenti a cui le scienze sociologiche, da un lato, e il dibattito sul welfare, dall'altro, potrebbero forse guardare con interesse. In tal senso questo intervento rappresenta poco più che un tentativo e un invito ad ampliare tal genere di attenzioni e aiutare il superamento dell'impasse conseguente ai possibili effetti di delusione oggi avvertibili. Il discorso è sviluppato in quattro brevi punti: l'innovazione politica e istituzionale, le possibili definizioni del concetto di partecipazione, alcune lezioni pratiche sul rapporto fra esclusione e partecipazione, la questione metodologica.

Esclusione sociale e promozione della partecipazione. Alcune note metodologiche e critiche

VILLA, MATTEO
2009-01-01

Abstract

Combattere l'esclusione sociale e promuovere partecipazione non rappresentano due tipi di azione strategica strettamente e necessariamente diversi. Ad esempio da un punto di vista sociologico, dove l'utilizzo dei concetti di esclusione e partecipazione ne rivela la prossimità, se non la complementarietà, logica, teorica e pragmatica (in quanto processi interrelati nei significati, nelle premesse e nelle conseguenze, in quanto categorie per l'osservazione dei sistemi relazionali, in quanto fenomeni reciprocamente costitutivi). Ma anche da un punto di vista politico-istituzionale e sociale, dove, ad esempio, se ne può riscontrare la crescente attenzione ad includere entrambe le ipotesi strategiche nei quadri di riferimento normativi (nelle politiche urbanistiche, sociali, economiche, in particolare) nel tentativo di sostenerne una reciproca funzionalità. Con tali affermazioni, non si prefigura ovviamente nulla di nuovo. Tuttavia, una più attenta considerazione di questo legame potrebbe non essere del tutto inutile al dibattito su questi temi. Per varie ragioni. Un primo punto è l'influenza della politica, rilevante intorno al tema della partecipazione, e che spesso tende a rivisitare il concetto attraverso schemi interpretativi la cui principale caratteristica è rilevabile nel grado di compatibilità con i processi di sensemaking (Weick 1995) propri alle istituzioni di riferimento. Il secondo è rappresentato dalle difficoltà teoriche che soprattutto il concetto di partecipazione in sé pone, ad esempio nell'individuazione di una definizione che permetta di rinunciare all'utilizzo del termine in assenza di epiteti o complementi. Il terzo riguarda le difficoltà concrete dei sistemi di welfare a tradurre pragmaticamente tale nesso e, ancor di più, a misurarne gli eventuali effetti. Parte di queste difficoltà derivano da una non sufficiente interazione tra discipline, scuole di pensiero, approcci di ricerca e campi di politica che ne hanno fatto qualche uso, nonché dagli ostacoli a riconoscere e valorizzare le sperimentazioni piccole e grandi che li attraversano. La psicologia sociale e di comunità e le scienze urbanistiche, le politiche urbane e le politiche giovanili, nonché altri tipi di esperienze tra intervento sociale, istruzione e cultura, che poco hanno goduto di attenzione istituzionale e scientifica, presentano interessanti spunti e avanzamenti a cui le scienze sociologiche, da un lato, e il dibattito sul welfare, dall'altro, potrebbero forse guardare con interesse. In tal senso questo intervento rappresenta poco più che un tentativo e un invito ad ampliare tal genere di attenzioni e aiutare il superamento dell'impasse conseguente ai possibili effetti di delusione oggi avvertibili. Il discorso è sviluppato in quattro brevi punti: l'innovazione politica e istituzionale, le possibili definizioni del concetto di partecipazione, alcune lezioni pratiche sul rapporto fra esclusione e partecipazione, la questione metodologica.
2009
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