Questo secondo fascicolo dei «MapPapers» raccoglie i report con i risultati del lavoro svolto dai ricercatori del progetto MAPPA – Metodologie Applicate alla Predittività del Potenziale Archeologico durante il secondo semestre di attività e gli atti di una giornata di studio sul tema degli archivi open data , organizzata a Pisa, sempre nell’ambito delle attività del progetto. 1. L’ACQUISIZIONE DEI DATI E LA CREAZIONE DELL’RDBMS Se il primo semestre di ricerca era stato dedicato alla definizione delle linee concettuali e metodologiche del lavoro – i parametri che concorrono alla definizione del potenziale archeologico in un’area urbana, i tempi e i metodi per l’acquisizione dei dati, il modello di algoritmo più adatto al problema della determinazione del potenziale archeologico –, nel secondo semestre la ricerca si è concentrata sull’acquisizione dei dati archeologici, geologici e geomorfologici e sulla creazione dell’RDBMS (Relational Data Base Management System) destinato alla loro archiviazione. Durante la fase di raccolta dei dati, il lavoro è proceduto su due piani paralleli. Da un lato, i vari gruppi di ricerca – archeologi, geologi e geomorfologi – hanno provveduto ad acquisire le informazioni di loro competenza. Gli archeologi hanno passato in rassegna la bibliografia su scavi e rinvenimenti vari e la documentazione d’archivio (scritta, grafica e fotografica), a partire, com’è ovvio, da quella conservata nell’archivio della Soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana. Il risultato di quest’indagine a tappeto è stato il censimento di oltre 900 notizie di interventi archeologici, distribuite in un arco di tempo che va dal 1562 (anno della prima segnalazione di cui si abbia notizia) ad oggi. I geologi hanno avviato una campagna di sondaggi a carotaggio continuo, collocati in punti strategici all’interno dell’area oggetto d’indagine, allo scopo di integrare con nuovi dati le informazioni già note sul sottosuolo di Pisa. I geomorfologi si sono dedicati all’analisi dei microrilievi, alla fotointerpretazione e al telerilevamento, con l’obiettivo di acquisire elementi per le ricostruzioni paleoambientali. La lettura dei carotaggi e la rappresentazione dei log stratigrafici (le restituzioni grafiche dei dati acquisiti) sono state realizzate dai geologi e dai geomorfologi con la presenza costante di un archeologo. L’obiettivo era integrare le conoscenze del contesto paleoambientale con quelle del contesto insediativo, allo scopo di valutare con ottica nuova i continui, reciproci condizionamenti fra ambiente naturale e insediamento umano. I matematici hanno cominciato a lavorare sul modello page rank classico, per adattarlo al problema specifico della determinazione del potenziale archeologico. In particolare, la ricerca si è concentrata su due aspetti: la categorizzazione dei ritrovamenti e la costruzione della matrice dei pesi, che rappresentano i due principali problemi per l’applicazione di algoritmi tipo page rank alla determinazione del potenziale archeologico. Contemporaneamente, tutti i membri del gruppo di ricerca hanno collaborato con l’informatico alla realizzazione del RDBMS (Relational Data Base Management System), ovvero il sistema di gestione della banca dati, la cui architettura è stata progettata in modo da essere in grado di 1. descrivere la complessità storica, stratigrafica, urbanistica e ambientale dell’area urbana di Pisa, 2. contenere un elevatissimo numero di informazioni, 3. essere ampliata e, se necessario, modificata, 4. consentire usi differenziati, a seconda del tipo di utente. Particolare attenzione è stata dedicata all’archiviazione delle informazioni di carattere archeologico, che si sono rivelate estremamente eterogenee, poiché derivano da fonti documentarie molto diverse, quali indagini di scavo – talvolta illustrate in modo estremamente sintetico all’interno di brevi pubblicazioni a stampa (non sempre nell’archivio della Soprintendenza è disponibile la documentazione originale di scavo), talvolta, al contrario, mancanti di una sintesi interpretativa (non tutti gli scavi sono oggetto di pubblicazione) – fotointerpretazione, analisi stratigrafica degli elevati, catasti storici, toponomastica. Ad accrescere la disomogeneità dei dati contribuisce in maniera sostanziale anche la diversa cronologia delle fonti documentarie che, come abbiamo detto, si distribuiscono nell’arco di cinque secoli e pertanto presentano inevitabili difformità sia nelle definizioni cronologiche (periodizzazioni quali “Tarda antichità” o “Alto Medioevo”, ad esempio, hanno fatto la loro comparsa negli studi archeologici solo in epoca recente), sia nella terminologia utilizzata per descrivere le varie tipologie di rinvenimenti. A prescindere dallo sforzo compiuto dal gruppo di ricerca per “interpretare” le informazioni, alla luce della cultura archeologica dell’epoca in cui sono state prodotte, e per ricondurre categorie cronologiche ormai desuete all’interno degli attuali schemi di periodizzazione, si è scelto di trattare tutte le fonti in modo paritetico. Per far ciò è stato individuato in esse un minimo comun denominatore, rappresentato dall’intervento archeologico, di qualunque natura esso sia stato (dallo scavo al recupero occasionale) e indipendentemente dal momento storico in cui sia stato realizzato. Per poter tenere insieme e rendere confrontabili dati documentari tanto diversi, il RDBMS è stato organizzato su quattro differenti livelli logici, in grado di gestire l’informazione con un grado di dettaglio progressivamente decrescente, mediante un processo di sintesi interpretativa che, dalla definizione della traccia materiale, giunge alla trasposizione del dato in macro categorie tipologiche e alla sua collocazione all’interno della periodizzazione storica. Il tutto, però, senza mai perdere il collegamento diretto fra sintesi interpretativa (ed eventuale rilettura storica dei dati) e documentazione originale. Sulla base delle indicazioni fornite dal gruppo dei matematici, l’archivio dei dati archeologici è stato pensato anche in funzione della “categorizzazione” delle informazioni, ovvero della valutazione del peso che ognuna di esse avrà nella determinazione predittiva del potenziale archeologico di una specifica area. Si tratta di un nodo particolarmente delicato, poiché da esso dipendono in modo diretto la riflessione storico-archeologica e quella matematica che porteranno alla definizione del potenziale archeologico. Dopo una lunga discussione sull’opportunità di usare un software open source, si è preferito adottare un prodotto proprietario, quale Microsoft Access. I motivi della scelta possono essere ricondotti sostanzialmente alla possibilità di inglobare nella ricerca parti di archivi di dati archeologici e geologico-geomorfologici già elaborati in occasione di tesi di laurea e di dottorato o disponibili presso altri Enti (ad esempio il Comune di Pisa) e l’assoluta compatibilità con il software GIS di ESRI, il cui utilizzo era già familiare ai componenti il gruppo di ricerca. 2. OPENING THE PAST. ARCHAEOLOGICAL OPEN DATA. PISA, 9.6.2012 La complessità della fase di raccolta e organizzazione dei dati ha posto in evidenza la necessità di entrare nel vivo di una questione – l’accessibilità delle informazioni – che è assolutamente vitale per lo sviluppo della ricerca e, nel caso specifico dell’archeologia, anche per un’efficace attività di tutela e pianificazione territoriale. L’espansione delle città e delle infrastrutture che attraversano le campagne, infatti, ha portato in questi anni anche in Italia allo sviluppo delle pratiche di archeologia preventiva in vaste aree urbane e rurali. A questa maggiore necessità di reperire informazioni in tempi sempre più brevi e da parte di un numero crescente di soggetti (agli archeologi che operano nel MiBAC, nelle Università e negli Enti locali si affiancano sempre più spesso archeologi “liberi professionisti”) non ha, però, fatto riscontro una maggiore accessibilità delle informazioni. Nella migliore delle ipotesi, queste sono conservate negli archivi delle Soprintendenze, che non sempre sono facili da consultare, anche per una sempre più drammatica carenza di personale. Ma vi sono anche casi più gravi, in cui la documentazione non è disponibile perché chi ha condotto gli scavi la tiene per sé per anni e talvolta per decenni, con il pretesto che si tratta di materiale “in corso di studio”, di fatto sottraendo alla collettività informazioni su un patrimonio – i Beni Culturali – che appartiene a tutti. La questione non è di poco conto. Da un lato, infatti, è indispensabile salvaguardare i diritti di “paternità” (che è ben altra cosa dalla “proprietà”) intellettuale di chi ha prodotto i dati con il proprio lavoro sul campo, garantendogli la possibilità di pubblicarli con i tempi necessari (che nel caso delle pubblicazioni archeologiche sono sempre inevitabilmente lunghi). Ma dall’altro lato occorre affrontare quanto prima il dibattito sul tema dell’accessibilità e della rapida diffusione delle informazioni o, per meglio dire, sul tema degli archivi open data, che sta investendo settori sempre più ampi della vita pubblica. Premesso che uno degli obiettivi finali del Progetto MAPPA è proprio la realizzazione del MOD – Mappa Open Data, il primo archivio italiano open con i dati archeologici della città di Pisa, si è ritenuto di dare un contributo al dibattito organizzando una giornata internazionale di scambio e discussione sul tema degli open data in archeologia. Di quell’incontro, intitolato Opening the Past. Archaeological Open Data, in cui per la prima volta si sono messi a confronto i punti di vista di amministratori, ricercatori universitari e professionisti (sia archeologi che esperti di diritto), sono qui pubblicati gli abstract delle comunicazioni e i poster. Non è che un primo passo in un Paese come l’Italia, ancora lontano dagli standard europei per la condivisione e il riutilizzo dei dati, ma al quale l’Agenda Digitale Italiana, approvata all’interno del Decreto Legge “Crescita 2.0″ dello scorso 4 ottobre, ha dato ora una sensibile spinta in avanti.

MapPapers

GUALANDI, MARIA LETIZIA
2012-01-01

Abstract

Questo secondo fascicolo dei «MapPapers» raccoglie i report con i risultati del lavoro svolto dai ricercatori del progetto MAPPA – Metodologie Applicate alla Predittività del Potenziale Archeologico durante il secondo semestre di attività e gli atti di una giornata di studio sul tema degli archivi open data , organizzata a Pisa, sempre nell’ambito delle attività del progetto. 1. L’ACQUISIZIONE DEI DATI E LA CREAZIONE DELL’RDBMS Se il primo semestre di ricerca era stato dedicato alla definizione delle linee concettuali e metodologiche del lavoro – i parametri che concorrono alla definizione del potenziale archeologico in un’area urbana, i tempi e i metodi per l’acquisizione dei dati, il modello di algoritmo più adatto al problema della determinazione del potenziale archeologico –, nel secondo semestre la ricerca si è concentrata sull’acquisizione dei dati archeologici, geologici e geomorfologici e sulla creazione dell’RDBMS (Relational Data Base Management System) destinato alla loro archiviazione. Durante la fase di raccolta dei dati, il lavoro è proceduto su due piani paralleli. Da un lato, i vari gruppi di ricerca – archeologi, geologi e geomorfologi – hanno provveduto ad acquisire le informazioni di loro competenza. Gli archeologi hanno passato in rassegna la bibliografia su scavi e rinvenimenti vari e la documentazione d’archivio (scritta, grafica e fotografica), a partire, com’è ovvio, da quella conservata nell’archivio della Soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana. Il risultato di quest’indagine a tappeto è stato il censimento di oltre 900 notizie di interventi archeologici, distribuite in un arco di tempo che va dal 1562 (anno della prima segnalazione di cui si abbia notizia) ad oggi. I geologi hanno avviato una campagna di sondaggi a carotaggio continuo, collocati in punti strategici all’interno dell’area oggetto d’indagine, allo scopo di integrare con nuovi dati le informazioni già note sul sottosuolo di Pisa. I geomorfologi si sono dedicati all’analisi dei microrilievi, alla fotointerpretazione e al telerilevamento, con l’obiettivo di acquisire elementi per le ricostruzioni paleoambientali. La lettura dei carotaggi e la rappresentazione dei log stratigrafici (le restituzioni grafiche dei dati acquisiti) sono state realizzate dai geologi e dai geomorfologi con la presenza costante di un archeologo. L’obiettivo era integrare le conoscenze del contesto paleoambientale con quelle del contesto insediativo, allo scopo di valutare con ottica nuova i continui, reciproci condizionamenti fra ambiente naturale e insediamento umano. I matematici hanno cominciato a lavorare sul modello page rank classico, per adattarlo al problema specifico della determinazione del potenziale archeologico. In particolare, la ricerca si è concentrata su due aspetti: la categorizzazione dei ritrovamenti e la costruzione della matrice dei pesi, che rappresentano i due principali problemi per l’applicazione di algoritmi tipo page rank alla determinazione del potenziale archeologico. Contemporaneamente, tutti i membri del gruppo di ricerca hanno collaborato con l’informatico alla realizzazione del RDBMS (Relational Data Base Management System), ovvero il sistema di gestione della banca dati, la cui architettura è stata progettata in modo da essere in grado di 1. descrivere la complessità storica, stratigrafica, urbanistica e ambientale dell’area urbana di Pisa, 2. contenere un elevatissimo numero di informazioni, 3. essere ampliata e, se necessario, modificata, 4. consentire usi differenziati, a seconda del tipo di utente. Particolare attenzione è stata dedicata all’archiviazione delle informazioni di carattere archeologico, che si sono rivelate estremamente eterogenee, poiché derivano da fonti documentarie molto diverse, quali indagini di scavo – talvolta illustrate in modo estremamente sintetico all’interno di brevi pubblicazioni a stampa (non sempre nell’archivio della Soprintendenza è disponibile la documentazione originale di scavo), talvolta, al contrario, mancanti di una sintesi interpretativa (non tutti gli scavi sono oggetto di pubblicazione) – fotointerpretazione, analisi stratigrafica degli elevati, catasti storici, toponomastica. Ad accrescere la disomogeneità dei dati contribuisce in maniera sostanziale anche la diversa cronologia delle fonti documentarie che, come abbiamo detto, si distribuiscono nell’arco di cinque secoli e pertanto presentano inevitabili difformità sia nelle definizioni cronologiche (periodizzazioni quali “Tarda antichità” o “Alto Medioevo”, ad esempio, hanno fatto la loro comparsa negli studi archeologici solo in epoca recente), sia nella terminologia utilizzata per descrivere le varie tipologie di rinvenimenti. A prescindere dallo sforzo compiuto dal gruppo di ricerca per “interpretare” le informazioni, alla luce della cultura archeologica dell’epoca in cui sono state prodotte, e per ricondurre categorie cronologiche ormai desuete all’interno degli attuali schemi di periodizzazione, si è scelto di trattare tutte le fonti in modo paritetico. Per far ciò è stato individuato in esse un minimo comun denominatore, rappresentato dall’intervento archeologico, di qualunque natura esso sia stato (dallo scavo al recupero occasionale) e indipendentemente dal momento storico in cui sia stato realizzato. Per poter tenere insieme e rendere confrontabili dati documentari tanto diversi, il RDBMS è stato organizzato su quattro differenti livelli logici, in grado di gestire l’informazione con un grado di dettaglio progressivamente decrescente, mediante un processo di sintesi interpretativa che, dalla definizione della traccia materiale, giunge alla trasposizione del dato in macro categorie tipologiche e alla sua collocazione all’interno della periodizzazione storica. Il tutto, però, senza mai perdere il collegamento diretto fra sintesi interpretativa (ed eventuale rilettura storica dei dati) e documentazione originale. Sulla base delle indicazioni fornite dal gruppo dei matematici, l’archivio dei dati archeologici è stato pensato anche in funzione della “categorizzazione” delle informazioni, ovvero della valutazione del peso che ognuna di esse avrà nella determinazione predittiva del potenziale archeologico di una specifica area. Si tratta di un nodo particolarmente delicato, poiché da esso dipendono in modo diretto la riflessione storico-archeologica e quella matematica che porteranno alla definizione del potenziale archeologico. Dopo una lunga discussione sull’opportunità di usare un software open source, si è preferito adottare un prodotto proprietario, quale Microsoft Access. I motivi della scelta possono essere ricondotti sostanzialmente alla possibilità di inglobare nella ricerca parti di archivi di dati archeologici e geologico-geomorfologici già elaborati in occasione di tesi di laurea e di dottorato o disponibili presso altri Enti (ad esempio il Comune di Pisa) e l’assoluta compatibilità con il software GIS di ESRI, il cui utilizzo era già familiare ai componenti il gruppo di ricerca. 2. OPENING THE PAST. ARCHAEOLOGICAL OPEN DATA. PISA, 9.6.2012 La complessità della fase di raccolta e organizzazione dei dati ha posto in evidenza la necessità di entrare nel vivo di una questione – l’accessibilità delle informazioni – che è assolutamente vitale per lo sviluppo della ricerca e, nel caso specifico dell’archeologia, anche per un’efficace attività di tutela e pianificazione territoriale. L’espansione delle città e delle infrastrutture che attraversano le campagne, infatti, ha portato in questi anni anche in Italia allo sviluppo delle pratiche di archeologia preventiva in vaste aree urbane e rurali. A questa maggiore necessità di reperire informazioni in tempi sempre più brevi e da parte di un numero crescente di soggetti (agli archeologi che operano nel MiBAC, nelle Università e negli Enti locali si affiancano sempre più spesso archeologi “liberi professionisti”) non ha, però, fatto riscontro una maggiore accessibilità delle informazioni. Nella migliore delle ipotesi, queste sono conservate negli archivi delle Soprintendenze, che non sempre sono facili da consultare, anche per una sempre più drammatica carenza di personale. Ma vi sono anche casi più gravi, in cui la documentazione non è disponibile perché chi ha condotto gli scavi la tiene per sé per anni e talvolta per decenni, con il pretesto che si tratta di materiale “in corso di studio”, di fatto sottraendo alla collettività informazioni su un patrimonio – i Beni Culturali – che appartiene a tutti. La questione non è di poco conto. Da un lato, infatti, è indispensabile salvaguardare i diritti di “paternità” (che è ben altra cosa dalla “proprietà”) intellettuale di chi ha prodotto i dati con il proprio lavoro sul campo, garantendogli la possibilità di pubblicarli con i tempi necessari (che nel caso delle pubblicazioni archeologiche sono sempre inevitabilmente lunghi). Ma dall’altro lato occorre affrontare quanto prima il dibattito sul tema dell’accessibilità e della rapida diffusione delle informazioni o, per meglio dire, sul tema degli archivi open data, che sta investendo settori sempre più ampi della vita pubblica. Premesso che uno degli obiettivi finali del Progetto MAPPA è proprio la realizzazione del MOD – Mappa Open Data, il primo archivio italiano open con i dati archeologici della città di Pisa, si è ritenuto di dare un contributo al dibattito organizzando una giornata internazionale di scambio e discussione sul tema degli open data in archeologia. Di quell’incontro, intitolato Opening the Past. Archaeological Open Data, in cui per la prima volta si sono messi a confronto i punti di vista di amministratori, ricercatori universitari e professionisti (sia archeologi che esperti di diritto), sono qui pubblicati gli abstract delle comunicazioni e i poster. Non è che un primo passo in un Paese come l’Italia, ancora lontano dagli standard europei per la condivisione e il riutilizzo dei dati, ma al quale l’Agenda Digitale Italiana, approvata all’interno del Decreto Legge “Crescita 2.0″ dello scorso 4 ottobre, ha dato ora una sensibile spinta in avanti.
2012
9788861349117
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