Lo studio dei possibili avvicendamenti colturali (diversi per durata, composizione, ordine di successione, tipologia di materiale genetico, modalità di realizzazione in azienda, ecc.), nonché la valutazione dei diversi segmenti della tecnica colturale (lavorazioni del terreno, impiego dei fertilizzanti, strategie di difesa da parassiti e patogeni, modalità di impiego dell'acqua irrigua, ecc.) hanno costituito da sempre gli obiettivi strategici che la ricerca agronomica si è posta. Le domande fondamentali cui l'agricoltore infatti era (ed è) chiamato a rispondere riguardano proprio cosa coltivare (avvicendamento) e come coltivare (tecnica colturale). Niente di più logico quindi che gli agronomi abbiano deciso di dedicare il loro lavoro alla risoluzione di tali problemi e le sperimentazioni realizzate presso il CIRAA a partire dagli anni '80 ne costituiscono una diretta conseguenza. Con l'approssimarsi della fine del secolo però ha iniziato a farsi strada negli ambienti scientifici la convinzione che la risposta a tali domande (cosa e come coltivare), per risultare veramente efficace, non dovesse più essere formulata in maniera indipendente ma che le scelte operate dall'agricoltore dovessero risultare coerenti rispetto ad uno stesso principio di comportamento, valevole rispetto sia alla scelta delle colture (cosa), sia alle tecniche di coltivazione da adottare (come). Solo così sarebbe stato possibile proporre soluzioni realmente esportabili a livello aziendale e far fronte alle esigenze espresse da una società civile in continua evoluzione, cui non basta più il soddisfacimento dei soli bisogni alimentari, ma che richiede all'agricoltura anche un contributo adeguato in termini di salvaguardia ambientale, di protezione del territorio, di tutela del paesaggio, di produzione di energie rinnovabili, di mitigazione dei cambiamenti globali, ecc. (agricoltura multifunzionale). Ecco che allora l'oggetto privilegiato della ricerca agronomica non poteva più essere costituito dall’esperimento impostato su criteri "riduzionistici" (come ad esempio il semplice confronto fra modalità alternative di lavorazione del terreno o fra le varietà commerciali di frumento), ma doveva più opportunamente spostarsi verso ricerche di tipo "olistico", finalizzate alla valutazione comparativa fra modi diversi di intendere, e quindi di realizzare, l'esercizio dell'attività agricola. A tali entità si attribuisce il nome di "sistemi colturali" costituiti dalla combinazione dei due fattori componenti il processo di produzione vegetale e cioè le colture (le specie e la loro successione) e le tecniche utilizzate per la loro coltivazione (impiego di input chimici e meccanici) ed ispirata ad una precisa strategia tecnico-economica. L'olismo è un concetto basato sull'idea che le proprietà di un sistema non possono essere spiegate esclusivamente tramite il comportamento delle sue componenti. Secondo questa logica la somma delle parti è sempre inferiore/differente rispetto al valore dell'insieme. Un essere vivente, ad esempio, non può essere considerato come l'assemblaggio di organi e tessuti in quanto le proprietà che lo caratterizzano non sono pertinenti agli elementi che lo compongono. Abbracciando questa impostazione l’attenzione del ricercatore si è spostata dallo studio dei singoli fattori che concorrono a determinare il comportamento del sistema a quello del sistema nel suo complesso, che diviene il solo elemento cui fare riferimento nella discussione e nell’interpretazione dei risultati. La contropartita che si è costretti ad accettare, in questo caso, è costituita dalla sostanziale impossibilità di procedere ad una qualsiasi scomposizione dei risultati ottenuti e quindi a definire il contributo attribuibile alle singole colture e/o ai singoli segmenti dell'agro-tecnica. Ogni tentativo di operare in questo senso deve anzi essere ritenuto illegittimo in quanto le evidenze sperimentali osservate sono legate all'intero pacchetto di scelte che le ha generate, nel quale gli apporti delle singole componenti del sistema risultano irrimediabilmente confusi. In questo senso l’approccio "sistemico" può risultare quello più idoneo per valutare le performances agronomiche, economiche ed ambientali dei sistemi produttivi adottati a livello aziendale e dimostrarsi assai utile anche per pianificare e gestire più correttamente l’esercizio dell’attività agricola in ambito territoriale.

Oltre il campo coltivato: i nuovi obiettivi della ricerca agronomica al Centro Avanzi

SILVESTRI, NICOLA;MAZZONCINI, MARCO
2014-01-01

Abstract

Lo studio dei possibili avvicendamenti colturali (diversi per durata, composizione, ordine di successione, tipologia di materiale genetico, modalità di realizzazione in azienda, ecc.), nonché la valutazione dei diversi segmenti della tecnica colturale (lavorazioni del terreno, impiego dei fertilizzanti, strategie di difesa da parassiti e patogeni, modalità di impiego dell'acqua irrigua, ecc.) hanno costituito da sempre gli obiettivi strategici che la ricerca agronomica si è posta. Le domande fondamentali cui l'agricoltore infatti era (ed è) chiamato a rispondere riguardano proprio cosa coltivare (avvicendamento) e come coltivare (tecnica colturale). Niente di più logico quindi che gli agronomi abbiano deciso di dedicare il loro lavoro alla risoluzione di tali problemi e le sperimentazioni realizzate presso il CIRAA a partire dagli anni '80 ne costituiscono una diretta conseguenza. Con l'approssimarsi della fine del secolo però ha iniziato a farsi strada negli ambienti scientifici la convinzione che la risposta a tali domande (cosa e come coltivare), per risultare veramente efficace, non dovesse più essere formulata in maniera indipendente ma che le scelte operate dall'agricoltore dovessero risultare coerenti rispetto ad uno stesso principio di comportamento, valevole rispetto sia alla scelta delle colture (cosa), sia alle tecniche di coltivazione da adottare (come). Solo così sarebbe stato possibile proporre soluzioni realmente esportabili a livello aziendale e far fronte alle esigenze espresse da una società civile in continua evoluzione, cui non basta più il soddisfacimento dei soli bisogni alimentari, ma che richiede all'agricoltura anche un contributo adeguato in termini di salvaguardia ambientale, di protezione del territorio, di tutela del paesaggio, di produzione di energie rinnovabili, di mitigazione dei cambiamenti globali, ecc. (agricoltura multifunzionale). Ecco che allora l'oggetto privilegiato della ricerca agronomica non poteva più essere costituito dall’esperimento impostato su criteri "riduzionistici" (come ad esempio il semplice confronto fra modalità alternative di lavorazione del terreno o fra le varietà commerciali di frumento), ma doveva più opportunamente spostarsi verso ricerche di tipo "olistico", finalizzate alla valutazione comparativa fra modi diversi di intendere, e quindi di realizzare, l'esercizio dell'attività agricola. A tali entità si attribuisce il nome di "sistemi colturali" costituiti dalla combinazione dei due fattori componenti il processo di produzione vegetale e cioè le colture (le specie e la loro successione) e le tecniche utilizzate per la loro coltivazione (impiego di input chimici e meccanici) ed ispirata ad una precisa strategia tecnico-economica. L'olismo è un concetto basato sull'idea che le proprietà di un sistema non possono essere spiegate esclusivamente tramite il comportamento delle sue componenti. Secondo questa logica la somma delle parti è sempre inferiore/differente rispetto al valore dell'insieme. Un essere vivente, ad esempio, non può essere considerato come l'assemblaggio di organi e tessuti in quanto le proprietà che lo caratterizzano non sono pertinenti agli elementi che lo compongono. Abbracciando questa impostazione l’attenzione del ricercatore si è spostata dallo studio dei singoli fattori che concorrono a determinare il comportamento del sistema a quello del sistema nel suo complesso, che diviene il solo elemento cui fare riferimento nella discussione e nell’interpretazione dei risultati. La contropartita che si è costretti ad accettare, in questo caso, è costituita dalla sostanziale impossibilità di procedere ad una qualsiasi scomposizione dei risultati ottenuti e quindi a definire il contributo attribuibile alle singole colture e/o ai singoli segmenti dell'agro-tecnica. Ogni tentativo di operare in questo senso deve anzi essere ritenuto illegittimo in quanto le evidenze sperimentali osservate sono legate all'intero pacchetto di scelte che le ha generate, nel quale gli apporti delle singole componenti del sistema risultano irrimediabilmente confusi. In questo senso l’approccio "sistemico" può risultare quello più idoneo per valutare le performances agronomiche, economiche ed ambientali dei sistemi produttivi adottati a livello aziendale e dimostrarsi assai utile anche per pianificare e gestire più correttamente l’esercizio dell’attività agricola in ambito territoriale.
2014
Silvestri, Nicola; Bonari, Enrico; Mazzoncini, Marco
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/663068
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