The article investigates the narrative modes and strategies through which the 'new' Gordimer of "Beethoven Was One-Sixteenth Black and Other Stories" (2007) could be shown to explore a multifaceted range of motifs, situations and character profiles with much less strained, deterministic overtones than in most of her previous works. Her old 'transparent ego' (see Lionel Abrahams, "Nadine Gordimer: The Transparent Ego", 1960) loses here its monolithic aplomb to nimbly or parodically pursue minor tracks in search of half-buried traces and a liminality no longer strictly associated with blackness or white dissidence. If they may look weird or just negligible, such splintered fragments of human and animal experience often fit within Njabulo Ndebele’s province of a 'rediscovery of the ordinary' and, in a wider perspective, chime in with a post-apartheid and postcolonial episteme distrustful of hierarchical polarities and totalizing metanarratives. While moving away from the politically 'spectacular' and the spectre of pigmentation, the texts also exemplify the ways contemporary South Africa enters a crucial dialectic between local and global scenarios. Though never obliterated, the South African background is in fact alluded to as just one among others – as a 'one-sixteenth fraction' on a worldwide scale, as it were – and the reader is thus encouraged to connect the decolonized Rainbow Nation’s advancement (Mandela’s aura, women’s and homosexuals’ rights, affirmative action, cultural sharing) and evils (political rivalries, the new capitalism drawbacks) with a transnational geography. At the same time, when casting animals as protagonists, Gordimer appears to probe into a deracialized dimension of alterity which clears a space for half-mocking defamiliarization, epistemological or ontological doubt, (postmodern) intertextual play and authorial self-referentiality. / L’articolo investiga le modalità e le strategie narrative attraverso le quali la 'nuova' Gordimer di "Beethoven Was One-Sixteenth Black and Other Stories" (2007) mostra di esplorare un ventaglio policromo di motivi, situazioni e fisionomie caratteriali con accenti molto meno cupi e deterministici rispetto alla sua produzione precedente. Ciò che Lionel Abrahams aveva un tempo definito l'‘io trasparente’ dell’autrice (in "Nadine Gordimer: The Transparent Ego", 1960) perde qui l’aplomb monolitico e si inoltra invece, con passo più agile e leggero, in percorsi collaterali, alla ricerca di tracce semi-sepolte e una liminarità non più strettamente associata alla blackness o alla dissidenza bianca. Se possono apparire bizzarri o semplicemente insignificanti, questi frammenti di esperienze umane e animali spesso si collocano nell'ambito della ‘riscoperta della normalità’ nell'accezione di Njabulo Ndebele, e, in prospettiva più ampia, si raccordano con un'episteme post-apartheid e postcoloniale che guarda con sospetto alle polarità gerarchiche e alle macronarrazioni totalizzanti. Allontanandosi dallo ‘spettacolare’ in senso politico e dallo spettro della pigmentazione, i testi offrono anche un esempio di come il Sudafrica contemporaneo partecipi a un'importante dialettica tra scenari locali e globali. Benché mai cancellato, il contesto sudafricano si profila qui come uno tra molti – come la ‘frazione di un sedicesimo’ su scala mondiale, per così dire – e il lettore è incoraggiato a collegare i progressi della decolonizzata Rainbow Nation (l’aura di Mandela, i diritti delle donne e degli omosessuali, l’affirmative action, il cultural sharing), nonché i mali ancora esistenti (le rivalità politiche, le ripercussioni del nuovo capitalismo), con una geografia transnazionale. Al contempo, quando elegge a protagonisti gli animali, Gordimer sembra misurarsi con una tipologia di alterità non più legata al concetto di razza, con una dimensione che apre spiragli a effetti parodici e di straniamento, al dubbio epistemologico o ontologico, a un (postmoderno) gioco intertestuale e all'autoreferenzialità.

'Hieroglyph to be decoded': Exploring Routes of Representation and Telling in Nadine Gordimer's "Beethoven Was One-Sixteenth Black and Other Stories"

GIOVANNELLI, LAURA
2014-01-01

Abstract

The article investigates the narrative modes and strategies through which the 'new' Gordimer of "Beethoven Was One-Sixteenth Black and Other Stories" (2007) could be shown to explore a multifaceted range of motifs, situations and character profiles with much less strained, deterministic overtones than in most of her previous works. Her old 'transparent ego' (see Lionel Abrahams, "Nadine Gordimer: The Transparent Ego", 1960) loses here its monolithic aplomb to nimbly or parodically pursue minor tracks in search of half-buried traces and a liminality no longer strictly associated with blackness or white dissidence. If they may look weird or just negligible, such splintered fragments of human and animal experience often fit within Njabulo Ndebele’s province of a 'rediscovery of the ordinary' and, in a wider perspective, chime in with a post-apartheid and postcolonial episteme distrustful of hierarchical polarities and totalizing metanarratives. While moving away from the politically 'spectacular' and the spectre of pigmentation, the texts also exemplify the ways contemporary South Africa enters a crucial dialectic between local and global scenarios. Though never obliterated, the South African background is in fact alluded to as just one among others – as a 'one-sixteenth fraction' on a worldwide scale, as it were – and the reader is thus encouraged to connect the decolonized Rainbow Nation’s advancement (Mandela’s aura, women’s and homosexuals’ rights, affirmative action, cultural sharing) and evils (political rivalries, the new capitalism drawbacks) with a transnational geography. At the same time, when casting animals as protagonists, Gordimer appears to probe into a deracialized dimension of alterity which clears a space for half-mocking defamiliarization, epistemological or ontological doubt, (postmodern) intertextual play and authorial self-referentiality. / L’articolo investiga le modalità e le strategie narrative attraverso le quali la 'nuova' Gordimer di "Beethoven Was One-Sixteenth Black and Other Stories" (2007) mostra di esplorare un ventaglio policromo di motivi, situazioni e fisionomie caratteriali con accenti molto meno cupi e deterministici rispetto alla sua produzione precedente. Ciò che Lionel Abrahams aveva un tempo definito l'‘io trasparente’ dell’autrice (in "Nadine Gordimer: The Transparent Ego", 1960) perde qui l’aplomb monolitico e si inoltra invece, con passo più agile e leggero, in percorsi collaterali, alla ricerca di tracce semi-sepolte e una liminarità non più strettamente associata alla blackness o alla dissidenza bianca. Se possono apparire bizzarri o semplicemente insignificanti, questi frammenti di esperienze umane e animali spesso si collocano nell'ambito della ‘riscoperta della normalità’ nell'accezione di Njabulo Ndebele, e, in prospettiva più ampia, si raccordano con un'episteme post-apartheid e postcoloniale che guarda con sospetto alle polarità gerarchiche e alle macronarrazioni totalizzanti. Allontanandosi dallo ‘spettacolare’ in senso politico e dallo spettro della pigmentazione, i testi offrono anche un esempio di come il Sudafrica contemporaneo partecipi a un'importante dialettica tra scenari locali e globali. Benché mai cancellato, il contesto sudafricano si profila qui come uno tra molti – come la ‘frazione di un sedicesimo’ su scala mondiale, per così dire – e il lettore è incoraggiato a collegare i progressi della decolonizzata Rainbow Nation (l’aura di Mandela, i diritti delle donne e degli omosessuali, l’affirmative action, il cultural sharing), nonché i mali ancora esistenti (le rivalità politiche, le ripercussioni del nuovo capitalismo), con una geografia transnazionale. Al contempo, quando elegge a protagonisti gli animali, Gordimer sembra misurarsi con una tipologia di alterità non più legata al concetto di razza, con una dimensione che apre spiragli a effetti parodici e di straniamento, al dubbio epistemologico o ontologico, a un (postmoderno) gioco intertestuale e all'autoreferenzialità.
2014
Giovannelli, Laura
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/736269
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