Lo studio collettaneo si propone di delineare l’attuale assetto disciplinare dei servizi pubblici locali, nel tentativo di porre a sistema le plurime novità che hanno interessato la materia nell’ultimo decennio, su cui è mancata, ad oggi, una riflessione scientifica d’insieme, capace di andare oltre il commento delle singole novelle, per evidenziare criticità e potenzialità della stessa regolazione del settore. Quest’ultima è il riflesso del clima di perenne attesa, su cui si sofferma la prima parte del volume, addivenendo alla conclusione che la creazione di mercati locali si stia rivelando spesso nulla più di un’ “epifania”. Se l’efficienza non si raggiunge allora attraverso l’applicazione delle regole di concorrenza, si deve constatare come sia la legislazione di riduzione della spesa pubblica (trattata nella seconda parte del lavoro) ad avere, nella realtà, maggiormente innovato la materia. L’effetto potrebbe finalmente essere quello di creare i presupposti, di cui ci si occupa nella terza ed ultima parte del libro, per una valorizzazione industriale del comparto, si pensi alla governance del gruppo pubblico locale, alle problematiche antitrust sottese alle c.d. gare uniche, o all’importante funzione strategica che può essere svolta dalla disciplina dell’informazione tra ente locale e sue partecipate. Tuttavia, il diritto positivo non sembra ancora capace di sfruttare queste potenzialità, accidentalmente occasionate dalla crisi finanziaria in atto, limitandosi a “ripiegare” sugli strumenti giuridici, i quali rischiano di venire impiegati senza una cura attenta del fine. Temiamo allora che non sarà la delega Madia a restituirci una legge organica in materia di servizi pubblici locali, perché, in analogia con le norme del recente passato, essa manca di una chiara prospettiva degli obiettivi prioritari, anzi i principi che dovrebbero fungere da sfondo, si ergono spesso in contraddizione reciproca. Indirizzi e criteri direttivi sono, infatti, affastellati su aspetti puntuali che incrociandosi tra loro ci rimandano ad un quadro complessivo, che è poco più di un’impressione: concorrenza, insieme ad autoproduzione; funzioni fondamentali degli enti locali unite ad una non meglio precisata «organizzazione» territoriale ottimale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica; soppressione dei regimi di esclusiva, ma definizione dei criteri per l’attribuzione di diritti speciali o esclusivi; tensione verso il continuo contenimento dei costi aumentando nel contempo gli standard qualitativi dei servizi. Manca una chiara indicazione dei fini sociali e industriali di cui il potere politico si assuma la responsabilità. Il regolatore è perennemente prigioniero all’esigenza di ridurre la complessità di un’organizzazione amministrativa in divenire verso ambiti territoriali più fluidi ed estesi; di un mercato costantemente in divenire, pur recando seco le complicanze delle sue regole intrinseche; di una finanza pubblica in perenne affanno, ma dissociata dal centro amministrativo di livello locale cui va, invece, ricondotta la responsabilità del servizio; di un utente che deve essere tutelato, attraverso tariffe contenute e trasparenti a remunerazione di imprese spesso frammentate ed inefficienti. Non è dunque questo il contesto in cui possa rifiorire un’interpretazione di tipo sistematico, ormai in fase di desuetudine. Perché ciò accada, è indispensabile, preliminarmente, ricostruire una intelaiatura organica, imperniata sulla delineazione chiara degli interessi che si vogliono tutelare, per poi procedere a rinvenire le modalità della tutela, affidandosi quando alla riorganizzazione amministrativa, quando alla riforma della finanza locale, quando al mercato ecc., e solo in fase successiva soffermarsi sulle modalità di perfezionamento di governance ed efficienza. Erroneo, invece, è muovere da questi ultimi aspetti, svincolandoli dal contesto amministrativo in cui incidono; l’effetto sarà di dover poi continuamente correggersi il tiro per ricucire antinomie di fondo, radicatesi sugli interessi lasciati orfani spesso della storia e talvolta, purtroppo, della Costituzione.

Il «disordine» dei servizi pubblici locali. Dalla promozione del mercato ai vincoli di finanza pubblica

PASSALACQUA, MICHELA;
2015-01-01

Abstract

Lo studio collettaneo si propone di delineare l’attuale assetto disciplinare dei servizi pubblici locali, nel tentativo di porre a sistema le plurime novità che hanno interessato la materia nell’ultimo decennio, su cui è mancata, ad oggi, una riflessione scientifica d’insieme, capace di andare oltre il commento delle singole novelle, per evidenziare criticità e potenzialità della stessa regolazione del settore. Quest’ultima è il riflesso del clima di perenne attesa, su cui si sofferma la prima parte del volume, addivenendo alla conclusione che la creazione di mercati locali si stia rivelando spesso nulla più di un’ “epifania”. Se l’efficienza non si raggiunge allora attraverso l’applicazione delle regole di concorrenza, si deve constatare come sia la legislazione di riduzione della spesa pubblica (trattata nella seconda parte del lavoro) ad avere, nella realtà, maggiormente innovato la materia. L’effetto potrebbe finalmente essere quello di creare i presupposti, di cui ci si occupa nella terza ed ultima parte del libro, per una valorizzazione industriale del comparto, si pensi alla governance del gruppo pubblico locale, alle problematiche antitrust sottese alle c.d. gare uniche, o all’importante funzione strategica che può essere svolta dalla disciplina dell’informazione tra ente locale e sue partecipate. Tuttavia, il diritto positivo non sembra ancora capace di sfruttare queste potenzialità, accidentalmente occasionate dalla crisi finanziaria in atto, limitandosi a “ripiegare” sugli strumenti giuridici, i quali rischiano di venire impiegati senza una cura attenta del fine. Temiamo allora che non sarà la delega Madia a restituirci una legge organica in materia di servizi pubblici locali, perché, in analogia con le norme del recente passato, essa manca di una chiara prospettiva degli obiettivi prioritari, anzi i principi che dovrebbero fungere da sfondo, si ergono spesso in contraddizione reciproca. Indirizzi e criteri direttivi sono, infatti, affastellati su aspetti puntuali che incrociandosi tra loro ci rimandano ad un quadro complessivo, che è poco più di un’impressione: concorrenza, insieme ad autoproduzione; funzioni fondamentali degli enti locali unite ad una non meglio precisata «organizzazione» territoriale ottimale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica; soppressione dei regimi di esclusiva, ma definizione dei criteri per l’attribuzione di diritti speciali o esclusivi; tensione verso il continuo contenimento dei costi aumentando nel contempo gli standard qualitativi dei servizi. Manca una chiara indicazione dei fini sociali e industriali di cui il potere politico si assuma la responsabilità. Il regolatore è perennemente prigioniero all’esigenza di ridurre la complessità di un’organizzazione amministrativa in divenire verso ambiti territoriali più fluidi ed estesi; di un mercato costantemente in divenire, pur recando seco le complicanze delle sue regole intrinseche; di una finanza pubblica in perenne affanno, ma dissociata dal centro amministrativo di livello locale cui va, invece, ricondotta la responsabilità del servizio; di un utente che deve essere tutelato, attraverso tariffe contenute e trasparenti a remunerazione di imprese spesso frammentate ed inefficienti. Non è dunque questo il contesto in cui possa rifiorire un’interpretazione di tipo sistematico, ormai in fase di desuetudine. Perché ciò accada, è indispensabile, preliminarmente, ricostruire una intelaiatura organica, imperniata sulla delineazione chiara degli interessi che si vogliono tutelare, per poi procedere a rinvenire le modalità della tutela, affidandosi quando alla riorganizzazione amministrativa, quando alla riforma della finanza locale, quando al mercato ecc., e solo in fase successiva soffermarsi sulle modalità di perfezionamento di governance ed efficienza. Erroneo, invece, è muovere da questi ultimi aspetti, svincolandoli dal contesto amministrativo in cui incidono; l’effetto sarà di dover poi continuamente correggersi il tiro per ricucire antinomie di fondo, radicatesi sugli interessi lasciati orfani spesso della storia e talvolta, purtroppo, della Costituzione.
2015
978-88-9210019-0
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/764700
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