Benché decisamente più circoscritto rispetto al numero degli apologeti dell’“Oscar martire”, il coro di voci che in epoca recente si è attivato a favore di un riassestamento della controversa “leggenda” dei due amanti vittoriani ha di fatto ridisegnato il profilo di Bosie, attribuendogli tratti di umana generosità. Al personaggio demonizzato nel “De Profundis” (il giovane capriccioso, irresponsabile, egoista e vile parassita) si è così andata sovrapponendo la figura benevola dell’amico premuroso, incompreso, vittima a sua volta di ostracismi e delle malaugurate vicissitudini che condussero alla carcerazione dell’artista. Pur tenendo in debita considerazione questa seconda prospettiva, il presente contributo mira a ricostruire e valutare il filo logico delle argomentazioni di Lord Alfred Douglas in due opere auto/biografiche composte a distanza di quasi tre decenni l’una dall’altra: “Oscar Wilde and Myself” (1914) e “Oscar Wilde: A Summing-Up” (1940). Si noterà come Douglas ricorra a modalità espressive e argomentative che, sotto la patina di una giustificata reazione ai torti subiti (maldicenze e atteggiamenti faziosi), tendono a degenerare in una controffensiva meschina e petulante, in una sequela di attacchi stizziti. I pronunciamenti di Bosie si rivelano raramente indulgenti o magnanimi, e la loro “eloquenza volgare” pare nascere da un vittimismo e un senso di inferiorità mai sopiti: da un bisogno pressante di stipulare un’alleanza con un pubblico disposto ad ascoltarlo e a riconoscerne finalmente il valore umano e artistico. Tutto ciò eserciterà un peso rilevante sul percorso di “coming out” relativo al paradigma dell’effeminatezza e dell’omosessualità, negate e condannate in maniera categorica nell’opera del 1914 e poi ritrattate in “A Summing-Up”, seppur ancora nei termini di “vices”, “sinfulness” e "wickedness”.

Sulla "volgare eloquenza" di Bosie: "Oscar Wilde and Myself" e "Oscar Wilde: A Summing-Up"

GIOVANNELLI, LAURA
2016-01-01

Abstract

Benché decisamente più circoscritto rispetto al numero degli apologeti dell’“Oscar martire”, il coro di voci che in epoca recente si è attivato a favore di un riassestamento della controversa “leggenda” dei due amanti vittoriani ha di fatto ridisegnato il profilo di Bosie, attribuendogli tratti di umana generosità. Al personaggio demonizzato nel “De Profundis” (il giovane capriccioso, irresponsabile, egoista e vile parassita) si è così andata sovrapponendo la figura benevola dell’amico premuroso, incompreso, vittima a sua volta di ostracismi e delle malaugurate vicissitudini che condussero alla carcerazione dell’artista. Pur tenendo in debita considerazione questa seconda prospettiva, il presente contributo mira a ricostruire e valutare il filo logico delle argomentazioni di Lord Alfred Douglas in due opere auto/biografiche composte a distanza di quasi tre decenni l’una dall’altra: “Oscar Wilde and Myself” (1914) e “Oscar Wilde: A Summing-Up” (1940). Si noterà come Douglas ricorra a modalità espressive e argomentative che, sotto la patina di una giustificata reazione ai torti subiti (maldicenze e atteggiamenti faziosi), tendono a degenerare in una controffensiva meschina e petulante, in una sequela di attacchi stizziti. I pronunciamenti di Bosie si rivelano raramente indulgenti o magnanimi, e la loro “eloquenza volgare” pare nascere da un vittimismo e un senso di inferiorità mai sopiti: da un bisogno pressante di stipulare un’alleanza con un pubblico disposto ad ascoltarlo e a riconoscerne finalmente il valore umano e artistico. Tutto ciò eserciterà un peso rilevante sul percorso di “coming out” relativo al paradigma dell’effeminatezza e dell’omosessualità, negate e condannate in maniera categorica nell’opera del 1914 e poi ritrattate in “A Summing-Up”, seppur ancora nei termini di “vices”, “sinfulness” e "wickedness”.
2016
978-88-6923-172-8
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