Nel diritto positivo italiano, il bene comune è un bene collettivo in proprietà di una pluralità di soggetti. Il tentativo di modificarne il perimetro, a creazione di una nuova categoria proprietaria “diffusa” è, al momento, fallito, e comunque, pare inidoneo a trasfondere nell’ordinamento nazionale il concetto, invalso in disparati contesti geografici, cui restano assimilate “pratiche sociali” che attecchiscono grazie al ripetersi di esperienze volte al riconoscimento, alla valorizzazione e alla tutela del “Comune”. Il concetto di “Comune” non sembra coincidere né pare capace di esaurirsi nelle teorie filosofiche del tomismo politico, ovvero dell’aristotelismo politico o della dottrina sociale della Chiesa che pure vi si dedicano. Il “Comune” sembra infatti piuttosto emergere come un sentire diffuso che accomuna le persone per l’assoluta rilevanza, generalità e imprescindibilità degli interessi da proteggere, bisognosi di una tutela giuridica al momento solo formale e non effettiva. È un’esperienza intuitiva che si presenta come un riflesso fenomenologico, cioè una conseguenza cognitiva, prima ancora che giuridica o economica, derivante dal manifestarsi di una realtà, sia essa il paesaggio, lo sgorgare delle sorgenti, uno spazio verde urbano, un’industria in piena capacità di produzione. Il diritto è chiamato ad occuparsene? Oppure gli approfondimenti teorici del caso devono essere lasciati ad altre scienze come la sociologia o la filosofia, se non addirittura la psicologia? In altre parole, al di là della tutela dell'interesse generale e di come esso possa incidere sulle forme di regolazione e tutela, il diritto dovrebbe confrontarsi con tale approccio fenomenologico? indagarne le possibili evidenze empiriche? per poi verificare se l’eventuale comprovata esistenza di questa dimensione debba essere assunta ad elemento di rilievo o di influenza delle modalità decisionali che concernono il “Comune”?

Instruments juridiques pour la gestion commune. Le débat actuel en Italie

Michela Passalacqua
2016-01-01

Abstract

Nel diritto positivo italiano, il bene comune è un bene collettivo in proprietà di una pluralità di soggetti. Il tentativo di modificarne il perimetro, a creazione di una nuova categoria proprietaria “diffusa” è, al momento, fallito, e comunque, pare inidoneo a trasfondere nell’ordinamento nazionale il concetto, invalso in disparati contesti geografici, cui restano assimilate “pratiche sociali” che attecchiscono grazie al ripetersi di esperienze volte al riconoscimento, alla valorizzazione e alla tutela del “Comune”. Il concetto di “Comune” non sembra coincidere né pare capace di esaurirsi nelle teorie filosofiche del tomismo politico, ovvero dell’aristotelismo politico o della dottrina sociale della Chiesa che pure vi si dedicano. Il “Comune” sembra infatti piuttosto emergere come un sentire diffuso che accomuna le persone per l’assoluta rilevanza, generalità e imprescindibilità degli interessi da proteggere, bisognosi di una tutela giuridica al momento solo formale e non effettiva. È un’esperienza intuitiva che si presenta come un riflesso fenomenologico, cioè una conseguenza cognitiva, prima ancora che giuridica o economica, derivante dal manifestarsi di una realtà, sia essa il paesaggio, lo sgorgare delle sorgenti, uno spazio verde urbano, un’industria in piena capacità di produzione. Il diritto è chiamato ad occuparsene? Oppure gli approfondimenti teorici del caso devono essere lasciati ad altre scienze come la sociologia o la filosofia, se non addirittura la psicologia? In altre parole, al di là della tutela dell'interesse generale e di come esso possa incidere sulle forme di regolazione e tutela, il diritto dovrebbe confrontarsi con tale approccio fenomenologico? indagarne le possibili evidenze empiriche? per poi verificare se l’eventuale comprovata esistenza di questa dimensione debba essere assunta ad elemento di rilievo o di influenza delle modalità decisionali che concernono il “Comune”?
2016
Passalacqua, Michela
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