Procedendo a ritroso, da un ricordo personale della performance di Eduardo, in “strana coppia” con Carmelo Bene, al Teatro Verdi di Pisa nel 1982, l’autrice si propone di chiarire il malinteso critico di una sua recitazione naturalistica. L’interscambio fra la scena e la vita nell’attore è apparente, magari equivoco, ma mai illusionistico; naturalezza inquietante, costruita su una dialettica frequente e mirata fra il volto e la maschera, cui concorrono linguaggio fonico-verbale e gestica. Su una sostanziale mobilità del viso innestava alcuni momenti di fissità, che inducevano il pubblico “a usare il primo piano verso il solo volto” (Fo); quando l'attore ricominciava a muoverlo, il gioco di prestigio era fatto e il “personaggio in più” seguitava a guardare il suo viso, anche se la sua recitazione senza parole rasentava l’ineffabile. La grande magia dell’attore derivava dalla capacità di rendere possibile questa doppia significazione, mentre certe sue battute rimasticate si spegnevano in risatelle beffarde (che lasciavano un brivido in platea), i garbugli onomatopeici ne interrompevano e disarticolavano il flusso vocale (medio-basso, raramente sopra le righe). Quindi si stabiliscono nessi fra l’origine dei suoi singolari “primi piani”, la straordinaria capacità di “parlare senza parole”, e la ricorrente alternanza di affabulazione e di silenzi nell’ambito della sua stessa drammaturgia d’attore. Come accade – nel suo “romanzo teatrale” – a Gennaro Jovine, comiziante e finto morto, a Pasquale Lojacono, pantomimo e dialogante con interlocutori (spettatori) fantasma, ad Alberto Stigliano, finto muto e riconquistatore della parola, a Guglielmo Speranza, borghese “io epico” e figurino di varietà, risorto nell’occasione grottesca del proprio funerale… Creature di un “attore che scrive”, e che con la sua parte intrattiene sempre un rapporto ambiguo di distacco e di partecipazione, per arrivare a una specie di confidenza sinistra col pubblico. Il fenomeno appare evidente in una commedia che, invece di alternare nello stesso protagonista affabulazione e silenzi, scinde le due funzioni fondamentali della recitazione eduardiana in due diversi, ma corrispettivi, personaggi (Alberto Stigliano e Zio Nicola). L’uno protesi dell’altro, ma nessuno dei due spalla dell’altro. Ed è, significativamente, una commedia sulla “comunicazione difficile” e sulla phonè, "Le voci di dentro"…

"Eduardo: affabulazione e silenzi"

BARSOTTI, ANNA
2005-01-01

Abstract

Procedendo a ritroso, da un ricordo personale della performance di Eduardo, in “strana coppia” con Carmelo Bene, al Teatro Verdi di Pisa nel 1982, l’autrice si propone di chiarire il malinteso critico di una sua recitazione naturalistica. L’interscambio fra la scena e la vita nell’attore è apparente, magari equivoco, ma mai illusionistico; naturalezza inquietante, costruita su una dialettica frequente e mirata fra il volto e la maschera, cui concorrono linguaggio fonico-verbale e gestica. Su una sostanziale mobilità del viso innestava alcuni momenti di fissità, che inducevano il pubblico “a usare il primo piano verso il solo volto” (Fo); quando l'attore ricominciava a muoverlo, il gioco di prestigio era fatto e il “personaggio in più” seguitava a guardare il suo viso, anche se la sua recitazione senza parole rasentava l’ineffabile. La grande magia dell’attore derivava dalla capacità di rendere possibile questa doppia significazione, mentre certe sue battute rimasticate si spegnevano in risatelle beffarde (che lasciavano un brivido in platea), i garbugli onomatopeici ne interrompevano e disarticolavano il flusso vocale (medio-basso, raramente sopra le righe). Quindi si stabiliscono nessi fra l’origine dei suoi singolari “primi piani”, la straordinaria capacità di “parlare senza parole”, e la ricorrente alternanza di affabulazione e di silenzi nell’ambito della sua stessa drammaturgia d’attore. Come accade – nel suo “romanzo teatrale” – a Gennaro Jovine, comiziante e finto morto, a Pasquale Lojacono, pantomimo e dialogante con interlocutori (spettatori) fantasma, ad Alberto Stigliano, finto muto e riconquistatore della parola, a Guglielmo Speranza, borghese “io epico” e figurino di varietà, risorto nell’occasione grottesca del proprio funerale… Creature di un “attore che scrive”, e che con la sua parte intrattiene sempre un rapporto ambiguo di distacco e di partecipazione, per arrivare a una specie di confidenza sinistra col pubblico. Il fenomeno appare evidente in una commedia che, invece di alternare nello stesso protagonista affabulazione e silenzi, scinde le due funzioni fondamentali della recitazione eduardiana in due diversi, ma corrispettivi, personaggi (Alberto Stigliano e Zio Nicola). L’uno protesi dell’altro, ma nessuno dei due spalla dell’altro. Ed è, significativamente, una commedia sulla “comunicazione difficile” e sulla phonè, "Le voci di dentro"…
2005
Barsotti, Anna
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