Nel nostro paese, dopo un rapido aumento di questo settore in risposta alla crescente richiesta di prodotti biologici, stiamo assistendo ad un rallentamento di questo fenomeno: nel 2002 le aziende biologiche certificate o in via di conversione sono diminuite dell’8.9% rispetto all’anno precedente (MiPAF, 2002) passando da 56.440 a 51.401 (di cui 4.100 zootecniche, concentrate soprattutto nell’Italia insulare) e la SAU ha registrato una contrazione del 5%. La situazione al dicembre 2003 confermava questa tendenza in quanto i produttori agricoli erano scesi a 42.000 unità e anche il numero dei trasformatori aveva subito una leggero calo. Più in particolare la riduzione è stata evidente nelle regioni meridionali (fino al 22% in Sicilia), ad eccezione di Campania e Basilicata. Per quanto riguarda le produzioni animali invece, si assiste, in generale, ad una tendenza ad una costante espansione del numero di capi allevati, dovuta principalmente all’incremento numerico di pollame, caprini e api e, relativamente al 2003 nei confronti dell’anno precedente, anche di bovini e suini.Anche per quanto riguarda i principali comparti produttivi (latte e carne) emergono situazioni piuttosto eterogenee. Nel 2002 le aziende biologiche ad indirizzo da latte risultavano 1.149, rappresentando il 28,0% del totale, con un rilevante aumento rispetto agli anni precedenti (solo 399 aziende nel 2000). La produzione di latte biologico nel 2000 ammontava a 32.500 tonnellate, con un livello di autosufficienza del 72,4%. La crescente domanda di questo prodotto inoltre, potrebbe consentire buone possibilità di espansione di questo settore. Piuttosto diverso è lo scenario relativo alla produzione di carne biologica per la quale la difficoltà di trovare uno specifico mercato rende il suo avvio più laborioso. Una quota sempre maggiore di aziende tende a mettere sul mercato la propria produzione tramite punti vendita aziendali o attraverso l’agriturismo, valorizzando il proprio prodotto e, riducendone il prezzo al consumo, agevolando l’acquisto da parte del consumatore. Sul fronte opposto, è abbastanza frequente il caso di commercializzazione della carne biologica come convenzionale. Circa la produzione di carne suina, l’allevamento di questa specie con metodo biologico è ancora poco sviluppato e presenta un’incidenza sul patrimonio suinicolo nazionale solo dello 0,2%. La maggior parte delle strutture è di piccola dimensione (meno di 1.000 capi) ed è rappresentata da allevamenti a ciclo aperto che hanno utilizzato, fino al 2003, suinetti provenienti da aziende convenzionali. Il ciclo chiuso è adottato prevalentemente in realtà produttive che utilizzano di razze autoctone per ottenere un prodotto di particolare pregio. Le difficoltà principali della suinicoltura biologica sono riconducibile a fattori di ordine: - economico, quali gli alti costi di investimento per capo (considerando gli spazi minimi da rispettare), l’alto prezzo dei mangimi biologici, le dimensioni medio-piccole dell’azienda che determinano un offerta sul mercato di limitate quantità di prodotto a prezzi elevati. - gestionale, quali la difficoltà di reperimento di suinetti di origine biologica, i risultati tecnici inferiori, il minor numero di parti all’anno; - qualitativo, quali il rapporto tra tagli magri e grassi più sfavorevole e una maggiore variabilità nella qualità tecnica della carne suina biologica. Del tutto opposta appare la situazione degli ovicaprini, che rappresentano una tipologia di allevamento più facilmente può essere convertita nel sistema di allevamento biologiche. Alla luce di quanto descritto, ed in considerazione della crisi che attraversa il settore zootecnico, le produzioni biologiche possono presentare buone prospettive di ulteriore crescita e consolidamento: tra gli altri fattori, questo sviluppo è subordinato al perfezionamento del sistema di commercializzazione e ad una più approfondita e capillare informazione del consumatore.

Analisi delle produzioni biologiche

GIULIOTTI, LORELLA
2005-01-01

Abstract

Nel nostro paese, dopo un rapido aumento di questo settore in risposta alla crescente richiesta di prodotti biologici, stiamo assistendo ad un rallentamento di questo fenomeno: nel 2002 le aziende biologiche certificate o in via di conversione sono diminuite dell’8.9% rispetto all’anno precedente (MiPAF, 2002) passando da 56.440 a 51.401 (di cui 4.100 zootecniche, concentrate soprattutto nell’Italia insulare) e la SAU ha registrato una contrazione del 5%. La situazione al dicembre 2003 confermava questa tendenza in quanto i produttori agricoli erano scesi a 42.000 unità e anche il numero dei trasformatori aveva subito una leggero calo. Più in particolare la riduzione è stata evidente nelle regioni meridionali (fino al 22% in Sicilia), ad eccezione di Campania e Basilicata. Per quanto riguarda le produzioni animali invece, si assiste, in generale, ad una tendenza ad una costante espansione del numero di capi allevati, dovuta principalmente all’incremento numerico di pollame, caprini e api e, relativamente al 2003 nei confronti dell’anno precedente, anche di bovini e suini.Anche per quanto riguarda i principali comparti produttivi (latte e carne) emergono situazioni piuttosto eterogenee. Nel 2002 le aziende biologiche ad indirizzo da latte risultavano 1.149, rappresentando il 28,0% del totale, con un rilevante aumento rispetto agli anni precedenti (solo 399 aziende nel 2000). La produzione di latte biologico nel 2000 ammontava a 32.500 tonnellate, con un livello di autosufficienza del 72,4%. La crescente domanda di questo prodotto inoltre, potrebbe consentire buone possibilità di espansione di questo settore. Piuttosto diverso è lo scenario relativo alla produzione di carne biologica per la quale la difficoltà di trovare uno specifico mercato rende il suo avvio più laborioso. Una quota sempre maggiore di aziende tende a mettere sul mercato la propria produzione tramite punti vendita aziendali o attraverso l’agriturismo, valorizzando il proprio prodotto e, riducendone il prezzo al consumo, agevolando l’acquisto da parte del consumatore. Sul fronte opposto, è abbastanza frequente il caso di commercializzazione della carne biologica come convenzionale. Circa la produzione di carne suina, l’allevamento di questa specie con metodo biologico è ancora poco sviluppato e presenta un’incidenza sul patrimonio suinicolo nazionale solo dello 0,2%. La maggior parte delle strutture è di piccola dimensione (meno di 1.000 capi) ed è rappresentata da allevamenti a ciclo aperto che hanno utilizzato, fino al 2003, suinetti provenienti da aziende convenzionali. Il ciclo chiuso è adottato prevalentemente in realtà produttive che utilizzano di razze autoctone per ottenere un prodotto di particolare pregio. Le difficoltà principali della suinicoltura biologica sono riconducibile a fattori di ordine: - economico, quali gli alti costi di investimento per capo (considerando gli spazi minimi da rispettare), l’alto prezzo dei mangimi biologici, le dimensioni medio-piccole dell’azienda che determinano un offerta sul mercato di limitate quantità di prodotto a prezzi elevati. - gestionale, quali la difficoltà di reperimento di suinetti di origine biologica, i risultati tecnici inferiori, il minor numero di parti all’anno; - qualitativo, quali il rapporto tra tagli magri e grassi più sfavorevole e una maggiore variabilità nella qualità tecnica della carne suina biologica. Del tutto opposta appare la situazione degli ovicaprini, che rappresentano una tipologia di allevamento più facilmente può essere convertita nel sistema di allevamento biologiche. Alla luce di quanto descritto, ed in considerazione della crisi che attraversa il settore zootecnico, le produzioni biologiche possono presentare buone prospettive di ulteriore crescita e consolidamento: tra gli altri fattori, questo sviluppo è subordinato al perfezionamento del sistema di commercializzazione e ad una più approfondita e capillare informazione del consumatore.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/98013
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