La maggior parte degli storici della medicina è concorde nel ritenere che la lebbra sia stata importata in Egitto dall’India dagli eserciti di Alessandro Magno di ritorno dalla spedizione nella Valle dell’Indo nel 327-326 a.C. Infatti, fra le migliaia di mummie e di scheletri studiati in Egitto, mancano completamente casi patognomonici di lebbra anteriori al II secolo a.C., ritrovati nell’oasi di Dakleh in Nubia . La malattia è certamente presente nel bacino del Mediterraneo già in epoca ellenistica ma, se dobbiamo dare credito alla testimonianza di Celso (I secolo d.C.), doveva essere piuttosto rara , e solo in Età tardoantica sembra che abbia avuto una progressiva diffusione, probabilmente in seguito agli apporti di popolazioni provenienti dall’Oriente. La questione della prima diffusione della lebbra in Europa e dei suoi sviluppi tra Tardo antico e Alto medioevo è ancora piuttosto dibattuta, dal momento che gli studiosi devono basarsi su scarse testimonianze storico-letterarie e su pochi reperti osteoarcheologici, cui si sono aggiunti in questi ultimi anni alcuni importanti dati paleomolecolari . Il Sushruta Samhita, un testo medico indiano risalente al VI secolo a.C., descrive magistralmente il quadro clinico della lebbra, caratterizzato da “retrazione della cute, anestesia locale, sudorazione abbondante, edema, deformità degli arti e raucedine, caduta delle dita, collasso e caduta del naso e delle orecchie ed arrossamento degli occhi” , . Il paleopatologo Møller-Christensen, negli anni ’60, studiò per primo i cimiteri di alcuni lebbrosari medievali (1250-1550) della Danimarca, con un totale di 650 individui, individuando la cosiddetta facies leprosa dello scheletro, caratterizzata da trofia delle regioni nasali, da riassorbimento alveolare, con caduta dei denti anteriori-superiori, e da atrofia e riassorbimento delle piccole ossa delle mani e dei piedi. Solo in questi ultimi anni la moderna paleobiologia molecolare, grazie al sequenziamento completo di ben 16 genomi antichi di Mycobacterium leprae e al loro confronto con i ceppi moderni, ha cominciato a chiarire, almeno in parte, il problema dell’origine della lebbra. È stato visto che i casi medievali di lebbra comprendevano sia ceppi di origine asiatica che africana, ed anche diversi ceppi che attualmente si ritrovano in America, importati dall’Africa in Età moderna in seguito alla tratta degli schiavi. Grazie a questi studi, è stato possibile ricostruire l’albero filogenetico dell’agente patogeno della lebbra e stabilire la datazione dell’antenato comune più recente [Most Recent Common Ancestor (tMRCA)], che è risultata risalire a 4031 anni da oggi per l’intero albero di M. leprae, con un possibile range al 95% fra i 3110 e i 5020 anni. Questa datazione coincide in maniera straordinaria con i resti osteoarcheologici di lebbra, ritrovati nella valle dell’Indo e risalenti alla civiltà di Harappa (1990-1300 a.C.) e ha fatto rivalutare la vecchia teoria dell’arrivo della lebbra nel bacino del Mediterraneo grazie alle truppe di Alessandro Magno alla fine del IV secolo a.C., anche se non si possono escludere i traffici commerciali per via marittima di Età ellenistica, via che sembrerebbe confermata anche per la comparsa della lebbra in Cina nel IV-III secolo a.C. Successivamente la “via della lebbra” si estese dall’Egitto, dove sono stati rinvenuti diversi casi tipici nell’oasi di Dakleh in Nubia, alla Palestina ed alla Siria, per giungere infine in Europa, nella penisola italica al seguito delle campagne militari di Pompeo Magno nel I secolo a.C. Con la conquista della Gallia e della Britannia la lebbra si diffuse nell’Europa settentrionale e in tutto il resto dell’impero. I dati paleomolecolari hanno anche dimostrato una possibile recrudescenza della malattia in seguito ai movimenti delle popolazioni delle steppe dell’Est euroasiatico, in particolare degli Avari nel VII-VIII secolo d.C.

Origine e diffusione della lebbra in Europa

GINO FORNACIARI
Conceptualization
2020-01-01

Abstract

La maggior parte degli storici della medicina è concorde nel ritenere che la lebbra sia stata importata in Egitto dall’India dagli eserciti di Alessandro Magno di ritorno dalla spedizione nella Valle dell’Indo nel 327-326 a.C. Infatti, fra le migliaia di mummie e di scheletri studiati in Egitto, mancano completamente casi patognomonici di lebbra anteriori al II secolo a.C., ritrovati nell’oasi di Dakleh in Nubia . La malattia è certamente presente nel bacino del Mediterraneo già in epoca ellenistica ma, se dobbiamo dare credito alla testimonianza di Celso (I secolo d.C.), doveva essere piuttosto rara , e solo in Età tardoantica sembra che abbia avuto una progressiva diffusione, probabilmente in seguito agli apporti di popolazioni provenienti dall’Oriente. La questione della prima diffusione della lebbra in Europa e dei suoi sviluppi tra Tardo antico e Alto medioevo è ancora piuttosto dibattuta, dal momento che gli studiosi devono basarsi su scarse testimonianze storico-letterarie e su pochi reperti osteoarcheologici, cui si sono aggiunti in questi ultimi anni alcuni importanti dati paleomolecolari . Il Sushruta Samhita, un testo medico indiano risalente al VI secolo a.C., descrive magistralmente il quadro clinico della lebbra, caratterizzato da “retrazione della cute, anestesia locale, sudorazione abbondante, edema, deformità degli arti e raucedine, caduta delle dita, collasso e caduta del naso e delle orecchie ed arrossamento degli occhi” , . Il paleopatologo Møller-Christensen, negli anni ’60, studiò per primo i cimiteri di alcuni lebbrosari medievali (1250-1550) della Danimarca, con un totale di 650 individui, individuando la cosiddetta facies leprosa dello scheletro, caratterizzata da trofia delle regioni nasali, da riassorbimento alveolare, con caduta dei denti anteriori-superiori, e da atrofia e riassorbimento delle piccole ossa delle mani e dei piedi. Solo in questi ultimi anni la moderna paleobiologia molecolare, grazie al sequenziamento completo di ben 16 genomi antichi di Mycobacterium leprae e al loro confronto con i ceppi moderni, ha cominciato a chiarire, almeno in parte, il problema dell’origine della lebbra. È stato visto che i casi medievali di lebbra comprendevano sia ceppi di origine asiatica che africana, ed anche diversi ceppi che attualmente si ritrovano in America, importati dall’Africa in Età moderna in seguito alla tratta degli schiavi. Grazie a questi studi, è stato possibile ricostruire l’albero filogenetico dell’agente patogeno della lebbra e stabilire la datazione dell’antenato comune più recente [Most Recent Common Ancestor (tMRCA)], che è risultata risalire a 4031 anni da oggi per l’intero albero di M. leprae, con un possibile range al 95% fra i 3110 e i 5020 anni. Questa datazione coincide in maniera straordinaria con i resti osteoarcheologici di lebbra, ritrovati nella valle dell’Indo e risalenti alla civiltà di Harappa (1990-1300 a.C.) e ha fatto rivalutare la vecchia teoria dell’arrivo della lebbra nel bacino del Mediterraneo grazie alle truppe di Alessandro Magno alla fine del IV secolo a.C., anche se non si possono escludere i traffici commerciali per via marittima di Età ellenistica, via che sembrerebbe confermata anche per la comparsa della lebbra in Cina nel IV-III secolo a.C. Successivamente la “via della lebbra” si estese dall’Egitto, dove sono stati rinvenuti diversi casi tipici nell’oasi di Dakleh in Nubia, alla Palestina ed alla Siria, per giungere infine in Europa, nella penisola italica al seguito delle campagne militari di Pompeo Magno nel I secolo a.C. Con la conquista della Gallia e della Britannia la lebbra si diffuse nell’Europa settentrionale e in tutto il resto dell’impero. I dati paleomolecolari hanno anche dimostrato una possibile recrudescenza della malattia in seguito ai movimenti delle popolazioni delle steppe dell’Est euroasiatico, in particolare degli Avari nel VII-VIII secolo d.C.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/1076917
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