Lo studio guarda al migrante che arriva, in particolare a colui che una volta giunto richiede la protezione internazionale, ai contesti da cui fugge ed alle ragioni per cui lo fa; la riflessione hail suo centro nella richiesta di protezione che egli rivolge allo Stato che lo accoglie e ai procedimenti di tutela che l’ordinamento ricevente appronta per essa. Nel capitolo I si tenta perciò di dar conto dell’articolato quadro normativo in tema di protezione internazionale e delle altre forme di tutela, un insieme – spesso intricato – di fonti normative sovranazionali ed interne, un quadro in continuo divenire che però rivela un preciso disegno. Il tessuto concettuale che fa da sfondo a tutti i provvedimenti normativi assunti in tema di immigrazione negli ultimi quindici anni è infatti figlio dello stesso “flusso di coscienza” che ha imbevuto di sé la politica degli ultimi tre lustri, indipendentemente dagli schieramenti, indipendentemente dalle visioni perseguite: quella visione, intesa come modello di società verso il quale tendere, che i partiti ed i movimenti politici hanno ormai rinunciato a proporre. Lo straniero, preferibilmente migrante, appartiene alle categorie dei “diversi”, devianti dallo standard ideale, portatori di un “disordine sociale”, dunque “indesiderabili” (anzitutto per il legislatore), la cui marginalità sociale viene gestita come questione di ordine pubblico e sicurezza; lo straniero migrante è, da questo punto di vista, sicuramente il “diverso perfetto”, il più “pericoloso” (secondo il legislatore), e nei riguardi di costui è necessario approntare progressivi restringimenti rispetto alle possibilità di ingresso legale e alla permanenza nel territorio italiano, accelerarne le procedure di allontanamento (questo in teoria, dal momento che la reale finalizzazione dei provvedimenti ablativi sconta, tra le altre, deficienze logistiche e diplomatiche che spesso prescindono dal contesto normativo). Nel capitolo II viene approfondita la fase amministrativa della procedura di riconoscimento della protezione internazionale, quella che si svolge dinanzi alle Commissioni Territoriali; la riflessione condotta restituisce l’immagine di una fotografia sfocata, in cui “chi regge la macchina fotografica” (il legislatore nazionale) pare dimenticarsi del soggetto principale da ritrarre (il richiedente protezione), concentrando la sua “messa a fuoco” su altri elementi, la cui enfatizzazione fa pensare alla intenzione da parte di uno Stato costituzionale di diritto di volersi quasi difendere dall’immigrazione. Ma questa è una scelta legittima? Al momento giurisdizionale è dedicato il capitolo III. Di “corto respiro” sono apparse le scelte sulla “giurisdizione della protezione” operate negli anni più recenti: la creazione delle Sezioni specializzate non è stata accompagnata né dalla reale specializzazione dei suoi componenti, né da una efficace politica di reclutamento (come invece accaduto per il nuovo assetto delle Commissioni Territoriali, sulla composizione delle quali pure permangono – come poc’anzi osservato – perplessità di altro tipo); si è poi persa l’occasione per ridisegnare la giurisdizione in materia di diritto degli stranieri, devolvendo tutte le relative controversie ad una giurisdizione unica e (davvero) specializzata, ponendo così fine al sistema di doppia tutela; quanto poi all’abolizione del doppio grado di merito, tramite la soppressione del giudizio di appello per tutte le controversie relative alla protezione internazionale, è essa parsa misura irragionevole ed incapace di raggiungere gli obiettivi di maggior speditezza delle procedure.

Il richiedente protezione internazionale davanti ai suoi “giudici”

Famiglietti
2021-01-01

Abstract

Lo studio guarda al migrante che arriva, in particolare a colui che una volta giunto richiede la protezione internazionale, ai contesti da cui fugge ed alle ragioni per cui lo fa; la riflessione hail suo centro nella richiesta di protezione che egli rivolge allo Stato che lo accoglie e ai procedimenti di tutela che l’ordinamento ricevente appronta per essa. Nel capitolo I si tenta perciò di dar conto dell’articolato quadro normativo in tema di protezione internazionale e delle altre forme di tutela, un insieme – spesso intricato – di fonti normative sovranazionali ed interne, un quadro in continuo divenire che però rivela un preciso disegno. Il tessuto concettuale che fa da sfondo a tutti i provvedimenti normativi assunti in tema di immigrazione negli ultimi quindici anni è infatti figlio dello stesso “flusso di coscienza” che ha imbevuto di sé la politica degli ultimi tre lustri, indipendentemente dagli schieramenti, indipendentemente dalle visioni perseguite: quella visione, intesa come modello di società verso il quale tendere, che i partiti ed i movimenti politici hanno ormai rinunciato a proporre. Lo straniero, preferibilmente migrante, appartiene alle categorie dei “diversi”, devianti dallo standard ideale, portatori di un “disordine sociale”, dunque “indesiderabili” (anzitutto per il legislatore), la cui marginalità sociale viene gestita come questione di ordine pubblico e sicurezza; lo straniero migrante è, da questo punto di vista, sicuramente il “diverso perfetto”, il più “pericoloso” (secondo il legislatore), e nei riguardi di costui è necessario approntare progressivi restringimenti rispetto alle possibilità di ingresso legale e alla permanenza nel territorio italiano, accelerarne le procedure di allontanamento (questo in teoria, dal momento che la reale finalizzazione dei provvedimenti ablativi sconta, tra le altre, deficienze logistiche e diplomatiche che spesso prescindono dal contesto normativo). Nel capitolo II viene approfondita la fase amministrativa della procedura di riconoscimento della protezione internazionale, quella che si svolge dinanzi alle Commissioni Territoriali; la riflessione condotta restituisce l’immagine di una fotografia sfocata, in cui “chi regge la macchina fotografica” (il legislatore nazionale) pare dimenticarsi del soggetto principale da ritrarre (il richiedente protezione), concentrando la sua “messa a fuoco” su altri elementi, la cui enfatizzazione fa pensare alla intenzione da parte di uno Stato costituzionale di diritto di volersi quasi difendere dall’immigrazione. Ma questa è una scelta legittima? Al momento giurisdizionale è dedicato il capitolo III. Di “corto respiro” sono apparse le scelte sulla “giurisdizione della protezione” operate negli anni più recenti: la creazione delle Sezioni specializzate non è stata accompagnata né dalla reale specializzazione dei suoi componenti, né da una efficace politica di reclutamento (come invece accaduto per il nuovo assetto delle Commissioni Territoriali, sulla composizione delle quali pure permangono – come poc’anzi osservato – perplessità di altro tipo); si è poi persa l’occasione per ridisegnare la giurisdizione in materia di diritto degli stranieri, devolvendo tutte le relative controversie ad una giurisdizione unica e (davvero) specializzata, ponendo così fine al sistema di doppia tutela; quanto poi all’abolizione del doppio grado di merito, tramite la soppressione del giudizio di appello per tutte le controversie relative alla protezione internazionale, è essa parsa misura irragionevole ed incapace di raggiungere gli obiettivi di maggior speditezza delle procedure.
2021
Famiglietti, Gianluca
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/1118029
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