Oggetto di questo studio è "Alonso e i visionari" (1996), l’ultimo romanzo di Anna Maria Ortese. Il saggio ricostruisce la storia compositiva del testo, inquadrandolo nell’itinerario creativo ortesiano, e lo àncora ai numerosi tentativi autoesegetici dell’autrice, che a più riprese, in interviste e interventi giornalistici, ne forza la natura oracolare, l’ambiguità d’impianto e l’intrinseca elusività. Opera impervia, nella quale deflagrano più forme romanzesche, l’ultimo romanzo di Ortese consegna al lettore una serrata riflessione sul rapporto fra uomo e natura, bene e male, responsabilità e innocenza. Da un groviglio cangiante e straniante di fatti supposti o accaduti, prende forma una sofferta indagine su cosa sia reale e cosa vero, e su come possa realizzarsi il senso del nostro essere al mondo. La quête si risolve in un accorato appello alla riparazione, unico atto capace di «correggere la creazione», che è «tarata» e figlia del «lutto», ossia imperfetta e bisognevole di cure e compimento. Di questa riparazione è strumento necessario la scrittura, che attraverso «l’estremo fantastico» fa emergere ciò che è sostanziale e, al contempo, implausibile o inevidente agli occhi dei più.

Vox clamantis in deserto. "Alonso e i visionari" di Anna Maria Ortese

Chiara Tognarelli
2023-01-01

Abstract

Oggetto di questo studio è "Alonso e i visionari" (1996), l’ultimo romanzo di Anna Maria Ortese. Il saggio ricostruisce la storia compositiva del testo, inquadrandolo nell’itinerario creativo ortesiano, e lo àncora ai numerosi tentativi autoesegetici dell’autrice, che a più riprese, in interviste e interventi giornalistici, ne forza la natura oracolare, l’ambiguità d’impianto e l’intrinseca elusività. Opera impervia, nella quale deflagrano più forme romanzesche, l’ultimo romanzo di Ortese consegna al lettore una serrata riflessione sul rapporto fra uomo e natura, bene e male, responsabilità e innocenza. Da un groviglio cangiante e straniante di fatti supposti o accaduti, prende forma una sofferta indagine su cosa sia reale e cosa vero, e su come possa realizzarsi il senso del nostro essere al mondo. La quête si risolve in un accorato appello alla riparazione, unico atto capace di «correggere la creazione», che è «tarata» e figlia del «lutto», ossia imperfetta e bisognevole di cure e compimento. Di questa riparazione è strumento necessario la scrittura, che attraverso «l’estremo fantastico» fa emergere ciò che è sostanziale e, al contempo, implausibile o inevidente agli occhi dei più.
2023
9788890790591
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/1179687
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