La raccolta contiene 1158 documenti riguardanti Andrea Doria, la maggior parte sue lettere, risalenti al periodo che va dal 1528 al 1560: dall’anno in cui egli entro con 12 galere al servizio Carlo V a quello della sua morte. Tra la fine degli anni ’20 e i primi anni ’30 il Doria compi rapidamente il salto da « povero gentilhomo », come si defini alcune volte (nn. 82, 83, 140), ai piu alti gradi del prestigio e del potere nel sistema imperiale spagnolo. Ottenne dall’imperatore, tra l’altro, il principato di Melfi e il collare dell’ordine del Toson d’oro, che gli diedero accesso all’elite transnazionale dell’aristocrazia europea. Tuttavia, come afferma Edoardo Grendi, « egli non era uno ‘sradicato’ »; Genova era la sua « patria » (cfr. ad es. nn. 138, 254, 331) e, per interesse ed affezione, fu sempre «un elemento della sua passione politica». Liberando Genova dal dominio francese nel settembre del 1528, acquisi agli occhi dei suoi concittadini un’autorevolezza tale da garantire un largo consenso alla complessa operazione che stava allora compiendo: stabilizzare la politica interna genovese e inserire la rinata repubblica nell’area d’influenza e protezione asburgica per i decenni a venire. Il Doria vedeva questi due obiettivi in stretta connessione, da perseguire insieme. Entrambe le cose sarebbero state impossibili, o perlomeno non durature, l’una senza l’altra. Nella straordinaria congiuntura di fine anni ’20, esse andavano realizzate con la medesima rapidita e risolutezza con cui aveva abbandonato il servizio del re di Francia Francesco I per quello dell’imperatore.
Lettere di Andrea Doria a Carlo V e a Filippo II
Pacini, Arturo
2023-01-01
Abstract
La raccolta contiene 1158 documenti riguardanti Andrea Doria, la maggior parte sue lettere, risalenti al periodo che va dal 1528 al 1560: dall’anno in cui egli entro con 12 galere al servizio Carlo V a quello della sua morte. Tra la fine degli anni ’20 e i primi anni ’30 il Doria compi rapidamente il salto da « povero gentilhomo », come si defini alcune volte (nn. 82, 83, 140), ai piu alti gradi del prestigio e del potere nel sistema imperiale spagnolo. Ottenne dall’imperatore, tra l’altro, il principato di Melfi e il collare dell’ordine del Toson d’oro, che gli diedero accesso all’elite transnazionale dell’aristocrazia europea. Tuttavia, come afferma Edoardo Grendi, « egli non era uno ‘sradicato’ »; Genova era la sua « patria » (cfr. ad es. nn. 138, 254, 331) e, per interesse ed affezione, fu sempre «un elemento della sua passione politica». Liberando Genova dal dominio francese nel settembre del 1528, acquisi agli occhi dei suoi concittadini un’autorevolezza tale da garantire un largo consenso alla complessa operazione che stava allora compiendo: stabilizzare la politica interna genovese e inserire la rinata repubblica nell’area d’influenza e protezione asburgica per i decenni a venire. Il Doria vedeva questi due obiettivi in stretta connessione, da perseguire insieme. Entrambe le cose sarebbero state impossibili, o perlomeno non durature, l’una senza l’altra. Nella straordinaria congiuntura di fine anni ’20, esse andavano realizzate con la medesima rapidita e risolutezza con cui aveva abbandonato il servizio del re di Francia Francesco I per quello dell’imperatore.File | Dimensione | Formato | |
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