I provvedimenti anticorruzione presentano caratteristiche analoghe alle politiche generatrici di benefici diffusi e costi concentrati, una condizione descritta da Wilson (1980) come entrepreneurial politics. In questi casi la capacità di coordinamento e di organizzazione messa in opera da un imprenditore politico risulta spesso necessaria per coordinare la mobilitazione dei potenziali ma inconsapevoli beneficiari di una riforma delle condizioni istituzionali che favoriscono abusi nell’esercizio del potere pubblico, vincendo tanto l’inerzia che le invisibili resistenze degli ‘interessi organizzati’ di corrotti e corruttori. Le iniziative anticorruzione sono state formulate e attuate in Italia in un contesto politico-amministrativo caratterizzato da un retaggio stratificato di attività informali o illegali, che in alcune aree e settori hanno assunto forme sistemiche, coinvolgendo esponenti di tutti i principali attori partitici (della Porta e Vannucci 2021) Di qui i perduranti dilemmi delle politiche anticorruzione: in assenza di una salienza significativa del tema nel discorso pubblico – spesso innescata accidentalmente da inchieste giudiziarie, ovvero frutto di tensioni nascoste nella spartizione della rendita della corruzione – non vi sono incentivi per gli attori politici, specie se coinvolti e vulnerabili al ‘potere di ricatto’, a politicizzare il tema per ottenere consensi proponendo riforme. La politicizzazione del tema da parte di alcuni attori politici può tuttavia generare esiti differenti a seconda che vi siano o meno ‘imprenditori politici’ esterni alle reti corruttive, credibili nella loro polarizzazione anti-sistema e dunque in grado di capitalizzare il consenso elettorale che ne consegue. Diverso è il caso in cui prevalga l’orientamento consensuale di attori politici colpiti dalle inchieste ma privi di sfidanti interni al sistema partitico, che cercano nell’adesione ad ambiziosi o innovativi programmi anticorruzione la strada verso un’improbabile ri-legittimazione agli occhi dell’opinione pubblica. Anche nelle fasi di alta salienza e attenzione mediatica il tema corruzione appare tuttavia ‘incandescente’: chi lo maneggia denunciandone portata e costi sociali alimenta una sfiducia verso l’intera classe politica che può estendersi agli stessi fautori, generando aspettative difficili da realizzare (Ares e Hernandez 2017). La formula semplificatrice di un inasprimento degli strumenti di repressione penale è stata la scorciatoia di valenza comunicativa spesso utilizzata per affrontare la complessità del tema, che per sua stessa natura – in assenza di scandali rilevanti o in fasi di minore incisività dell’azione dei magistrati – tende naturalmente a scomparire dai radar dell’interesse del pubblico, facendo così scemare gli incentivi elettorali ad una sua politicizzazione e all’adozione di provvedimenti conseguenti.

Politiche e movimenti anticorruzione. Un bilancio a vent'anni dalla Convenzione di Merida

Vannucci Alberto
;
Sberna Salvatore
;
Rispoli Francesca
;
Antonelli Marco
;
2024-01-01

Abstract

I provvedimenti anticorruzione presentano caratteristiche analoghe alle politiche generatrici di benefici diffusi e costi concentrati, una condizione descritta da Wilson (1980) come entrepreneurial politics. In questi casi la capacità di coordinamento e di organizzazione messa in opera da un imprenditore politico risulta spesso necessaria per coordinare la mobilitazione dei potenziali ma inconsapevoli beneficiari di una riforma delle condizioni istituzionali che favoriscono abusi nell’esercizio del potere pubblico, vincendo tanto l’inerzia che le invisibili resistenze degli ‘interessi organizzati’ di corrotti e corruttori. Le iniziative anticorruzione sono state formulate e attuate in Italia in un contesto politico-amministrativo caratterizzato da un retaggio stratificato di attività informali o illegali, che in alcune aree e settori hanno assunto forme sistemiche, coinvolgendo esponenti di tutti i principali attori partitici (della Porta e Vannucci 2021) Di qui i perduranti dilemmi delle politiche anticorruzione: in assenza di una salienza significativa del tema nel discorso pubblico – spesso innescata accidentalmente da inchieste giudiziarie, ovvero frutto di tensioni nascoste nella spartizione della rendita della corruzione – non vi sono incentivi per gli attori politici, specie se coinvolti e vulnerabili al ‘potere di ricatto’, a politicizzare il tema per ottenere consensi proponendo riforme. La politicizzazione del tema da parte di alcuni attori politici può tuttavia generare esiti differenti a seconda che vi siano o meno ‘imprenditori politici’ esterni alle reti corruttive, credibili nella loro polarizzazione anti-sistema e dunque in grado di capitalizzare il consenso elettorale che ne consegue. Diverso è il caso in cui prevalga l’orientamento consensuale di attori politici colpiti dalle inchieste ma privi di sfidanti interni al sistema partitico, che cercano nell’adesione ad ambiziosi o innovativi programmi anticorruzione la strada verso un’improbabile ri-legittimazione agli occhi dell’opinione pubblica. Anche nelle fasi di alta salienza e attenzione mediatica il tema corruzione appare tuttavia ‘incandescente’: chi lo maneggia denunciandone portata e costi sociali alimenta una sfiducia verso l’intera classe politica che può estendersi agli stessi fautori, generando aspettative difficili da realizzare (Ares e Hernandez 2017). La formula semplificatrice di un inasprimento degli strumenti di repressione penale è stata la scorciatoia di valenza comunicativa spesso utilizzata per affrontare la complessità del tema, che per sua stessa natura – in assenza di scandali rilevanti o in fasi di minore incisività dell’azione dei magistrati – tende naturalmente a scomparire dai radar dell’interesse del pubblico, facendo così scemare gli incentivi elettorali ad una sua politicizzazione e all’adozione di provvedimenti conseguenti.
2024
Vannucci, Alberto; Sberna, Salvatore; Rispoli, FRANCESCA ROSARIA; Antonelli, Marco; Aureliani, Thomas; Esposito, Federico
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