Secondo la tradizionale classificazione dei sonetti shakespeariani, basata principalmente su criteri tematico-contenutistici, il sonetto 138 si inserirebbe nella seconda parte della raccolta, tra le liriche incentrate sulla passione del poet per la mistress e, più precisamente, nel sottogruppo detto “del compromesso”. Questa piatta conformità al tema dell’amore-passione è tuttavia apparente: la presenza di un alto numero di elementi non identificabili come esclusivamente appartenenti al codice amoroso, ma che invece assolvono una funzione di tipo metatestuale, rende il componimento un testo assai più complesso di quanto non appaia ad una prima lettura. L’analisi proposta nel saggio, incentrata su un orientamento metodologico di impianto linguistico-semiotico, ha infatti rivelato la presenza, al di sotto del primo e più manifesto livello di significazione, attivato dal codice amoroso, di un secondo livello, latente, attraverso il quale Shakespeare sviluppa artisticamente un’altra problematica, assai più rilevante, dal punto di vista critico, della prima: si tratta di una riflessione metatestuale, straordinariamente moderna e innovativa, sulla natura, sul funzionamento e sulle finalità della comunicazione artistica. Quella che emerge nel sonetto 138 è una visione dell’arte che considera la finzionalità, l’inganno concordato e il meccanismo che Coleridge avrebbe più tardi definito nei termini di una “temporary suspension of disbelief” come elementi costitutivi sostanziali e mai accidentali della comunicazione estetica e che afferma, in riferimento al binomio di “teach” vs. “delight” relativo alle finalità dell’arte stessa – di ascendenza oraziana e tanto caro agli elisabettiani – l’assoluta preminenza del secondo termine (delight) rispetto al primo. Questo al fine di propugnare, verosimilmente a partire da questo sonetto, per poi ribadirlo con maggiore evidenza in opere più mature, come l’Henry V, una vera e propria concezione shakespeariana dell’art for art’s sake, di matrice neoplatonica e in netto contrasto con le maggiori teorie estetiche coeve, di stampo invece prevalentemente neoaristotelico.

“I do believe her though I know she lies”: il sonetto 138 o l’apologia shakespeariana della poesia

BECCONE, SIMONA
2008-01-01

Abstract

Secondo la tradizionale classificazione dei sonetti shakespeariani, basata principalmente su criteri tematico-contenutistici, il sonetto 138 si inserirebbe nella seconda parte della raccolta, tra le liriche incentrate sulla passione del poet per la mistress e, più precisamente, nel sottogruppo detto “del compromesso”. Questa piatta conformità al tema dell’amore-passione è tuttavia apparente: la presenza di un alto numero di elementi non identificabili come esclusivamente appartenenti al codice amoroso, ma che invece assolvono una funzione di tipo metatestuale, rende il componimento un testo assai più complesso di quanto non appaia ad una prima lettura. L’analisi proposta nel saggio, incentrata su un orientamento metodologico di impianto linguistico-semiotico, ha infatti rivelato la presenza, al di sotto del primo e più manifesto livello di significazione, attivato dal codice amoroso, di un secondo livello, latente, attraverso il quale Shakespeare sviluppa artisticamente un’altra problematica, assai più rilevante, dal punto di vista critico, della prima: si tratta di una riflessione metatestuale, straordinariamente moderna e innovativa, sulla natura, sul funzionamento e sulle finalità della comunicazione artistica. Quella che emerge nel sonetto 138 è una visione dell’arte che considera la finzionalità, l’inganno concordato e il meccanismo che Coleridge avrebbe più tardi definito nei termini di una “temporary suspension of disbelief” come elementi costitutivi sostanziali e mai accidentali della comunicazione estetica e che afferma, in riferimento al binomio di “teach” vs. “delight” relativo alle finalità dell’arte stessa – di ascendenza oraziana e tanto caro agli elisabettiani – l’assoluta preminenza del secondo termine (delight) rispetto al primo. Questo al fine di propugnare, verosimilmente a partire da questo sonetto, per poi ribadirlo con maggiore evidenza in opere più mature, come l’Henry V, una vera e propria concezione shakespeariana dell’art for art’s sake, di matrice neoplatonica e in netto contrasto con le maggiori teorie estetiche coeve, di stampo invece prevalentemente neoaristotelico.
2008
Beccone, Simona
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