Il dossier che presentiamo ai lettori si compone di tre saggi, i quali propongono alcuni piani di lettura del volume di Carmine Pinto, La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici, briganti 1860-1870 (Laterza, Bari-Roma, 2019), assurto recentemente a punto di riferimento di una ricca stagione di studi centrata sul brigantaggio. Nel primo, Giulio Tatasciore, muovendo dalla considerazione dell’attualità del tema nel discorso pubblico, nel quale la figura del brigante sembra ricoprire in maniera crescente significati identitari e polemici, identifica quale chiave storiografica del volume in discussione la rilevanza del dato politico della violenza e la centralità del paradigma della guerra. Da tale prospettiva, l’autore sottolinea come nel volume di Pinto risulti enfatizzato il ruolo dei funzionari civili impegnati nel Mezzogiorno durante i primi anni della nazione risorgimentale, così come le pratiche di prevenzione e di polizia. Infine, Tatasciore suggerisce alcuni spunti critici e delinea possibili ulteriori prospettive di ricerca. Il contributo di Laura Di Fiore si sofferma invece su un altro tra i molteplici aspetti che emergono dal volume, ovvero le forme di legittimismo e controrivoluzione che si svilupparono nel decennio dell’unificazione italiana. A partire dall’analisi di Pinto sulla dimensione politica del brigantaggio, l’autrice si concentra, in primo luogo, sul rapporto tra questo fenomeno e le insorgenze più risalenti, interrogandosi sulla possibilità di individuare una “tradizione controrivoluzionaria” nella storia del Mezzogiorno. Successivamente passa ad analizzare il borbonismo nel quadro della controrivoluzione ottocentesca europea, sottolineando i limiti di tale progetto politico e la conseguente difficoltà a essere percepito dagli antagonisti italiani come un avversario legittimo. Un quadro che spiega anche in parte l’ampio ricorso a misure eccezionali da parte dello Stato italiano, in fase di costruzione, anche per andare incontro a istanze della stessa società meridionale. Anche la prospettiva prescelta da Pedro Rújula López invita a inserire comparativamente il brigantaggio postunitario nel quadro della mobilitazione controrivoluzionaria del XIX secolo in area mediterranea, sottolineando come il tratto unificante di queste esperienze – accanto a quella dell’Italia meridionale viene focalizzato il caso della Spagna durante le guerre carliste – vada individuato nel patriottismo monarchico, vera e propria cultura politica diffusa fra le masse popolari da tempo abituate all’uso delle armi e quindi capaci di sostenere il conflitto civile in nome dell’assolutismo contro il nuovo potere rivoluzionario. Il dossier che presentiamo ai lettori si compone di tre saggi, i quali propongono alcuni piani di lettura del volume di Carmine Pinto, La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici, briganti 1860-1870 (Laterza, Bari-Roma, 2019), assurto recentemente a punto di riferimento di una ricca stagione di studi centrata sul brigantaggio. Nel primo, Giulio Tatasciore, muovendo dalla considerazione dell’attualità del tema nel discorso pubblico, nel quale la figura del brigante sembra ricoprire in maniera crescente significati identitari e polemici, identifica quale chiave storiografica del volume in discussione la rilevanza del dato politico della violenza e la centralità del paradigma della guerra. Da tale prospettiva, l’autore sottolinea come nel volume di Pinto risulti enfatizzato il ruolo dei funzionari civili impegnati nel Mezzogiorno durante i primi anni della nazione risorgimentale, così come le pratiche di prevenzione e di polizia. Infine, Tatasciore suggerisce alcuni spunti critici e delinea possibili ulteriori prospettive di ricerca. Il contributo di Laura Di Fiore si sofferma invece su un altro tra i molteplici aspetti che emergono dal volume, ovvero le forme di legittimismo e controrivoluzione che si svilupparono nel decennio dell’unificazione italiana. A partire dall’analisi di Pinto sulla dimensione politica del brigantaggio, l’autrice si concentra, in primo luogo, sul rapporto tra questo fenomeno e le insorgenze più risalenti, interrogandosi sulla possibilità di individuare una “tradizione controrivoluzionaria” nella storia del Mezzogiorno. Successivamente passa ad analizzare il borbonismo nel quadro della controrivoluzione ottocentesca europea, sottolineando i limiti di tale progetto politico e la conseguente difficoltà a essere percepito dagli antagonisti italiani come un avversario legittimo. Un quadro che spiega anche in parte l’ampio ricorso a misure eccezionali da parte dello Stato italiano, in fase di costruzione, anche per andare incontro a istanze della stessa società meridionale. Anche la prospettiva prescelta da Pedro Rújula López invita a inserire comparativamente il brigantaggio postunitario nel quadro della mobilitazione controrivoluzionaria del XIX secolo in area mediterranea, sottolineando come il tratto unificante di queste esperienze – accanto a quella dell’Italia meridionale viene focalizzato il caso della Spagna durante le guerre carliste – vada individuato nel patriottismo monarchico, vera e propria cultura politica diffusa fra le masse popolari da tempo abituate all’uso delle armi e quindi capaci di sostenere il conflitto civile in nome dell’assolutismo contro il nuovo potere rivoluzionario.

Controrivoluzione, patriottismi monarchici e violenza politica nel Mezzogiorno dell'Ottocento

Gian Luca Fruci
Co-primo
2023-01-01

Abstract

Il dossier che presentiamo ai lettori si compone di tre saggi, i quali propongono alcuni piani di lettura del volume di Carmine Pinto, La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici, briganti 1860-1870 (Laterza, Bari-Roma, 2019), assurto recentemente a punto di riferimento di una ricca stagione di studi centrata sul brigantaggio. Nel primo, Giulio Tatasciore, muovendo dalla considerazione dell’attualità del tema nel discorso pubblico, nel quale la figura del brigante sembra ricoprire in maniera crescente significati identitari e polemici, identifica quale chiave storiografica del volume in discussione la rilevanza del dato politico della violenza e la centralità del paradigma della guerra. Da tale prospettiva, l’autore sottolinea come nel volume di Pinto risulti enfatizzato il ruolo dei funzionari civili impegnati nel Mezzogiorno durante i primi anni della nazione risorgimentale, così come le pratiche di prevenzione e di polizia. Infine, Tatasciore suggerisce alcuni spunti critici e delinea possibili ulteriori prospettive di ricerca. Il contributo di Laura Di Fiore si sofferma invece su un altro tra i molteplici aspetti che emergono dal volume, ovvero le forme di legittimismo e controrivoluzione che si svilupparono nel decennio dell’unificazione italiana. A partire dall’analisi di Pinto sulla dimensione politica del brigantaggio, l’autrice si concentra, in primo luogo, sul rapporto tra questo fenomeno e le insorgenze più risalenti, interrogandosi sulla possibilità di individuare una “tradizione controrivoluzionaria” nella storia del Mezzogiorno. Successivamente passa ad analizzare il borbonismo nel quadro della controrivoluzione ottocentesca europea, sottolineando i limiti di tale progetto politico e la conseguente difficoltà a essere percepito dagli antagonisti italiani come un avversario legittimo. Un quadro che spiega anche in parte l’ampio ricorso a misure eccezionali da parte dello Stato italiano, in fase di costruzione, anche per andare incontro a istanze della stessa società meridionale. Anche la prospettiva prescelta da Pedro Rújula López invita a inserire comparativamente il brigantaggio postunitario nel quadro della mobilitazione controrivoluzionaria del XIX secolo in area mediterranea, sottolineando come il tratto unificante di queste esperienze – accanto a quella dell’Italia meridionale viene focalizzato il caso della Spagna durante le guerre carliste – vada individuato nel patriottismo monarchico, vera e propria cultura politica diffusa fra le masse popolari da tempo abituate all’uso delle armi e quindi capaci di sostenere il conflitto civile in nome dell’assolutismo contro il nuovo potere rivoluzionario. Il dossier che presentiamo ai lettori si compone di tre saggi, i quali propongono alcuni piani di lettura del volume di Carmine Pinto, La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici, briganti 1860-1870 (Laterza, Bari-Roma, 2019), assurto recentemente a punto di riferimento di una ricca stagione di studi centrata sul brigantaggio. Nel primo, Giulio Tatasciore, muovendo dalla considerazione dell’attualità del tema nel discorso pubblico, nel quale la figura del brigante sembra ricoprire in maniera crescente significati identitari e polemici, identifica quale chiave storiografica del volume in discussione la rilevanza del dato politico della violenza e la centralità del paradigma della guerra. Da tale prospettiva, l’autore sottolinea come nel volume di Pinto risulti enfatizzato il ruolo dei funzionari civili impegnati nel Mezzogiorno durante i primi anni della nazione risorgimentale, così come le pratiche di prevenzione e di polizia. Infine, Tatasciore suggerisce alcuni spunti critici e delinea possibili ulteriori prospettive di ricerca. Il contributo di Laura Di Fiore si sofferma invece su un altro tra i molteplici aspetti che emergono dal volume, ovvero le forme di legittimismo e controrivoluzione che si svilupparono nel decennio dell’unificazione italiana. A partire dall’analisi di Pinto sulla dimensione politica del brigantaggio, l’autrice si concentra, in primo luogo, sul rapporto tra questo fenomeno e le insorgenze più risalenti, interrogandosi sulla possibilità di individuare una “tradizione controrivoluzionaria” nella storia del Mezzogiorno. Successivamente passa ad analizzare il borbonismo nel quadro della controrivoluzione ottocentesca europea, sottolineando i limiti di tale progetto politico e la conseguente difficoltà a essere percepito dagli antagonisti italiani come un avversario legittimo. Un quadro che spiega anche in parte l’ampio ricorso a misure eccezionali da parte dello Stato italiano, in fase di costruzione, anche per andare incontro a istanze della stessa società meridionale. Anche la prospettiva prescelta da Pedro Rújula López invita a inserire comparativamente il brigantaggio postunitario nel quadro della mobilitazione controrivoluzionaria del XIX secolo in area mediterranea, sottolineando come il tratto unificante di queste esperienze – accanto a quella dell’Italia meridionale viene focalizzato il caso della Spagna durante le guerre carliste – vada individuato nel patriottismo monarchico, vera e propria cultura politica diffusa fra le masse popolari da tempo abituate all’uso delle armi e quindi capaci di sostenere il conflitto civile in nome dell’assolutismo contro il nuovo potere rivoluzionario.
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