I contributi che compongono questo numero monografico prendono le mosse da una lettura analitica e critica delle dinamiche formative e culturali in carcere, linea riflessiva seguita da Saverio Migliori che, nel rilevare quanto questi processi possano svolgere un ruolo determinante per l’emancipazione ed il reinserimento sociale della persona detenuta, precisa che andrebbero posti al riparo dalle emergenze carcerarie e da ogni pretesa correzionale. A seguire, con il saggio di Carlotta Vignali, il focus si sposta in modo più deciso sull’istruzione universitaria in carcere nel quadro di una visione di insieme dell’esperienza dei Poli Universitari Penitenziari in Italia tra punti di forza, criticità e prospettive di sviluppo. Nel medesimo solco, ma discutendo distinti casi studio, si collocano i successivi articoli. Nello specifico, Teresa Consoli, Daniela Ferrarello e Irene Selvaggio, attraverso l’analisi del lavoro dei Tutor Junior e due Focus Group, mirano ad individuare alcune dimensioni del cambiamento in un Polo Universitario Penitenziario del meridione. Anche Franca Garreffa ed Emanuela Pascuzzi fermano l’attenzione su un Polo Universitario Penitenziario meridionale, quello dell’Università della Calabria, focalizzando l’attenzione su alcuni importanti aspetti: il contesto di riferimento, le ori-gini e lo sviluppo dell’impegno universitario in carcere; le attività realizzate con gli studenti detenuti e la popolazione carceraria; i soggetti interni ed esterni coinvolti nelle iniziative; gli outcome di rilevanza sociale, culturale ed economica; le ricadute sull’istituzione accademica. Successivamente, Chiara Dell’oca e Giulia Di Donato prendono in esame, in chiave comparativa, le esperienze in atto nelle due carceri principali ove opera il Polo Universitario Penitenziario dell’Università Statale di Milano: l’Istituto di Bollate e quello di Opera. Renata Leardi, invece, nel presentare i primi risultati di una ricerca qualitativa condotta in alcuni penitenziari della Toscana, si interroga sul ruolo svolto dai Poli Universitari Penitenziari con particolare riferimento al contesto detentivo e alle logiche securitarie che lo attraversano: un iter riflessivo che considera le reali interazioni fra università e penitenziario nonché la possibile strumentalizzazione operata da quest’ultimo nei confronti delle azioni educative. Una prospettiva relazionale che è centrale anche nel contributo di Vincenza Pellegrino che, a partire da un’attenta e sistematica esplorazione etnografica delle dinamiche penitenziarie, si concentra sul rischio - come studiosi o studenti “liberi” - di essere coinvolti in processi ambivalenti che non stabilizzano la creazione di spazi pubblici del dibattito e rendono instabile, opzionale, segregante (individualizzato) lo spazio\tempo dello studio. In una seconda parte del contributo, in linea con l’orientamento della ricerca azione, Pellegrino suggerisce un percorso per valorizzare l’incontro tra università e carcere mediante azioni e interazioni che chiamano le istituzioni a “disambiguarsi” proprio a partire dalla implementazione di pratiche (di didattica, di studio, di dibattito) non (sol)tanto poste all’interno del carcere quanto piuttosto volte a sviluppare flussi di comunicazioni “tra” dentro e fuori. L’iter conoscitivo sulle esperienze di studio in carcere prosegue con il lavoro di Elton Kalica e Francesca Vianello dedicato alla restituzione di una singolare iniziativa formativa portata avanti nella Casa di Reclusione di Padova: un corso universitario sulla ricerca sociologica dedicato a studenti detenuti come occasione di analisi riflessiva sulle condizioni di vita in carcere e acquisizione e riproduzione di saperi critici sul penitenziario, ma anche sul ruolo dell’esperto e dello scienziato. Si tratta, come precisa-no gli autori, di un contributo che si collega al filone teorico e metodologico aperto dalla New School of Convict Criminology, con particolare riferimento alla sua declinazione nella forma del mentoring che mira a valo-rizzare le competenze accademiche di un ricercatore con trascorsi detentivi. Altra importante attività è quella analizzata da Ivana Acocella, Silvia Bruni, Silvia Pezzoli nel saggio Nel frattempo…un libro che prende in esame un progetto culturale, ideato nel biennio pandemico 2020-2021, dal Sistema bibliotecario di ateneo dell’Università di Firenze, con la partecipazione di esponenti del mondo della cultura, di cittadini e di persone recluse. Si tratta di un percorso di valorizzazione della conoscenza e di costruzione di reti tra “dentro” e “fuori” che va ben oltre la missione didatti-ca dell’università e si inserisce sulla scia della cosiddetta terza missione: un progetto di impegno pubblico – come precisano le autrici – dove l’impegno è di tutti gli attori verso tutti gli altri attori, così come pubblici sono i benefici. Un tema da porre al centro nel dibattito sul futuro della formazione universitaria nello spazio della pena è sicuramente legato alla promozione degli studi universitari per le donne detenute. Si tratta di una questione complessa che Patrizia Pacini Volpe e Carlo Alberto Romano affrontano in modo accurato mediante la trattazione di un caso studio internazionale, quello del progetto “Campus connectés” sperimentato a Rennes nel più grande istituto penitenziario femminile francese. A completare l’excursus sulle possibilità formative e culturali in carcere, il saggio di Giulia Giraudo sposta l’attenzione sul teatro come occasione di emancipazione del soggetto e della società tutta. Il percorso analitico e critico proposto dall’autrice si inserisce all’interno di una riflessione più ampia che vede nelle pratiche discorsive sulla pena e sul carcere oggi egemoni, il contesto conflittuale in cui costruire “altre-retoriche”. Il numero monografico si chiude con l’approfondimento critico su “Architettura e carcere. Spazio e tempo della detenzione” sviluppato da Marella Santangelo. Come ricorda l’autrice ripensare lo spazio del carcere significa intervenire sulla vita del detenuto, immaginarne i movimenti, gli spostamenti, in una certa misura significa progettare il suo tempo allo stesso modo dello spazio. In tal senso, l’occasione straordinaria dei Poli Universitari Penitenziari deve configurarsi come imprescindibile momento di progettazione nel quadro, appunto, di un totale ripensamento dell’architettura del carcere.

In carcere, oltre il carcere. Teorie, processi e pratiche di formazione

Andrea Borghini;Gerardo Pastore
2024-01-01

Abstract

I contributi che compongono questo numero monografico prendono le mosse da una lettura analitica e critica delle dinamiche formative e culturali in carcere, linea riflessiva seguita da Saverio Migliori che, nel rilevare quanto questi processi possano svolgere un ruolo determinante per l’emancipazione ed il reinserimento sociale della persona detenuta, precisa che andrebbero posti al riparo dalle emergenze carcerarie e da ogni pretesa correzionale. A seguire, con il saggio di Carlotta Vignali, il focus si sposta in modo più deciso sull’istruzione universitaria in carcere nel quadro di una visione di insieme dell’esperienza dei Poli Universitari Penitenziari in Italia tra punti di forza, criticità e prospettive di sviluppo. Nel medesimo solco, ma discutendo distinti casi studio, si collocano i successivi articoli. Nello specifico, Teresa Consoli, Daniela Ferrarello e Irene Selvaggio, attraverso l’analisi del lavoro dei Tutor Junior e due Focus Group, mirano ad individuare alcune dimensioni del cambiamento in un Polo Universitario Penitenziario del meridione. Anche Franca Garreffa ed Emanuela Pascuzzi fermano l’attenzione su un Polo Universitario Penitenziario meridionale, quello dell’Università della Calabria, focalizzando l’attenzione su alcuni importanti aspetti: il contesto di riferimento, le ori-gini e lo sviluppo dell’impegno universitario in carcere; le attività realizzate con gli studenti detenuti e la popolazione carceraria; i soggetti interni ed esterni coinvolti nelle iniziative; gli outcome di rilevanza sociale, culturale ed economica; le ricadute sull’istituzione accademica. Successivamente, Chiara Dell’oca e Giulia Di Donato prendono in esame, in chiave comparativa, le esperienze in atto nelle due carceri principali ove opera il Polo Universitario Penitenziario dell’Università Statale di Milano: l’Istituto di Bollate e quello di Opera. Renata Leardi, invece, nel presentare i primi risultati di una ricerca qualitativa condotta in alcuni penitenziari della Toscana, si interroga sul ruolo svolto dai Poli Universitari Penitenziari con particolare riferimento al contesto detentivo e alle logiche securitarie che lo attraversano: un iter riflessivo che considera le reali interazioni fra università e penitenziario nonché la possibile strumentalizzazione operata da quest’ultimo nei confronti delle azioni educative. Una prospettiva relazionale che è centrale anche nel contributo di Vincenza Pellegrino che, a partire da un’attenta e sistematica esplorazione etnografica delle dinamiche penitenziarie, si concentra sul rischio - come studiosi o studenti “liberi” - di essere coinvolti in processi ambivalenti che non stabilizzano la creazione di spazi pubblici del dibattito e rendono instabile, opzionale, segregante (individualizzato) lo spazio\tempo dello studio. In una seconda parte del contributo, in linea con l’orientamento della ricerca azione, Pellegrino suggerisce un percorso per valorizzare l’incontro tra università e carcere mediante azioni e interazioni che chiamano le istituzioni a “disambiguarsi” proprio a partire dalla implementazione di pratiche (di didattica, di studio, di dibattito) non (sol)tanto poste all’interno del carcere quanto piuttosto volte a sviluppare flussi di comunicazioni “tra” dentro e fuori. L’iter conoscitivo sulle esperienze di studio in carcere prosegue con il lavoro di Elton Kalica e Francesca Vianello dedicato alla restituzione di una singolare iniziativa formativa portata avanti nella Casa di Reclusione di Padova: un corso universitario sulla ricerca sociologica dedicato a studenti detenuti come occasione di analisi riflessiva sulle condizioni di vita in carcere e acquisizione e riproduzione di saperi critici sul penitenziario, ma anche sul ruolo dell’esperto e dello scienziato. Si tratta, come precisa-no gli autori, di un contributo che si collega al filone teorico e metodologico aperto dalla New School of Convict Criminology, con particolare riferimento alla sua declinazione nella forma del mentoring che mira a valo-rizzare le competenze accademiche di un ricercatore con trascorsi detentivi. Altra importante attività è quella analizzata da Ivana Acocella, Silvia Bruni, Silvia Pezzoli nel saggio Nel frattempo…un libro che prende in esame un progetto culturale, ideato nel biennio pandemico 2020-2021, dal Sistema bibliotecario di ateneo dell’Università di Firenze, con la partecipazione di esponenti del mondo della cultura, di cittadini e di persone recluse. Si tratta di un percorso di valorizzazione della conoscenza e di costruzione di reti tra “dentro” e “fuori” che va ben oltre la missione didatti-ca dell’università e si inserisce sulla scia della cosiddetta terza missione: un progetto di impegno pubblico – come precisano le autrici – dove l’impegno è di tutti gli attori verso tutti gli altri attori, così come pubblici sono i benefici. Un tema da porre al centro nel dibattito sul futuro della formazione universitaria nello spazio della pena è sicuramente legato alla promozione degli studi universitari per le donne detenute. Si tratta di una questione complessa che Patrizia Pacini Volpe e Carlo Alberto Romano affrontano in modo accurato mediante la trattazione di un caso studio internazionale, quello del progetto “Campus connectés” sperimentato a Rennes nel più grande istituto penitenziario femminile francese. A completare l’excursus sulle possibilità formative e culturali in carcere, il saggio di Giulia Giraudo sposta l’attenzione sul teatro come occasione di emancipazione del soggetto e della società tutta. Il percorso analitico e critico proposto dall’autrice si inserisce all’interno di una riflessione più ampia che vede nelle pratiche discorsive sulla pena e sul carcere oggi egemoni, il contesto conflittuale in cui costruire “altre-retoriche”. Il numero monografico si chiude con l’approfondimento critico su “Architettura e carcere. Spazio e tempo della detenzione” sviluppato da Marella Santangelo. Come ricorda l’autrice ripensare lo spazio del carcere significa intervenire sulla vita del detenuto, immaginarne i movimenti, gli spostamenti, in una certa misura significa progettare il suo tempo allo stesso modo dello spazio. In tal senso, l’occasione straordinaria dei Poli Universitari Penitenziari deve configurarsi come imprescindibile momento di progettazione nel quadro, appunto, di un totale ripensamento dell’architettura del carcere.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/1257027
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