E’ nozione abbastanza pacifica oggi che la conoscenza,l’esperienza e le “buone pratiche” siano risorse essenziali a disposizione delle persone che operano in tutti i tipi di organizzazione; i problemi nascono quando si vuol capire prima e decidere poi di come concretamente creare, mantenere, riusare, valorizzare e condividere questi intagible assets. Ebbene, in questi ultimi anni sia negli ambienti accademici che in quelli imprenditoriali e manageriale è aumentata la consapevolezza che tali obiettivi possano essere più efficacemente e più “significativamente” perseguiti innescando processi di costruzione sociale della conoscenza. L’attuale crescente complessità dell’ambiente esterno ed interno di tutte le organizzazioni richiede una capacità attiva di promozione del cambiamento e di trasformazione del capitale umano in termini di irrobustimento delle conoscenze,competenze, capacità e skill possedute. Ma come sviluppare concretamente tale processo ? e con quali strumenti ? I solidi legami stabilitisi da tempo tra Persone e Conoscenza ha consentito alle aziende di far avanzare la frontiera dell’innovazione e della capacità competitiva in campi sempre più vasti e su sempre nuove frontiere; la conoscenza ha fornito a suo volta idee e soluzioni e linguaggi per innovare in profondità i processi di creazione dei prodotti e dei servizi,tanto che le economie occidentali sono definite non a caso “economie della conoscenza”, E poiché in tute le organizzazioni si producono risultati solo e soltanto quando la Conoscenza fluisce ed influisce sul lavoro quotidiano, essa richiede cooperazione e collaborazione tra le persone in esso coinvolte tanto che i loro valori, le loro motivazioni e passioni ed il senso etico e professionale di assumersi rischi e prendere iniziative tendono a diventare la leva primaria del successo imprenditoriale . Il Knowledge Management (KM) non può limitarsi dunque ad offrire strumenti e metodi per la diffusione della conoscenza ma deve interessarsi anche della sua reale disseminazione nei confronti delle persone che operano all’interno delle imprese.. Nel far questo però vanno rilevati atteggiamenti culturali diversi. C'è chi fa coincidere la diffusione di conoscenza con la realizzazione di basi di dati gestite e interrogabili via computer e chi invece sostiene che una gran parte della conoscenza d'impresa non abbia nulla a che fare con i dati, ma sia basata sulla conoscenza informale operativa e su quella tacita che ha anche un'importante dimensione cognitiva. Ogni appartenente all'organizzazione deve perciò essere coinvolto nella diffusione della conoscenza perché le sue percezioni e intuizioni , specie se provenienti dall'esperienza servono a “crearne” di sempre nuova. Da qui la rinnovata centralità delle persone e dell'apprendimento dinamico e continuo, che si basa certo anche su tecnologie informatiche e modalità organizzative ma che per funzionare efficacemente richiede la condivisione delle esperienze, l'individuazione delle migliori pratiche e l'aiuto reciproco nell'affrontare i problemi quotidiani della propria professione. Tutto ciò significa che bisogna attribuire alle persone un ruolo che trasmetta loro l’idea che la condivisione è essence for effectiveness in modo che siano le persone stesse a rendersi disponibili a trasferire conoscenze, esperienze e best practic, nella certezza di migliorare il loro modo di lavorare e di dare senso al lavoro, condividendo visioni e valori che esprimono al contempo la volontà dell’azienda di essere loro vicina nel lavoro quotidiano. E’ questo un approccio basato sulla “Salienza” che significa, sostanzialmente, un insieme di elementi che sono rilevanti, importanti, significativi per un possibile interlocutore, evitando il “mal di conoscenza ” che si manifesta quando l’informazione arriva non focalizzata, completa e nei tempi e modi necessari, proprio perché ci si è smarriti in un mare di informazioni e dati irrilevanti ai fini dell’attività o del problema o della decisione da prendere, dimenticando l che la conoscenza ha un suo valore percepito, un valore etico, ma anche un valore d’uso. Un possibile risposta è data la progettazione e realizzazione di Comunità di Pratica che in quanto comunità di individui che condividono un patrimonio di conoscenze, esperienze best practice attraverso un processo di apprendimento reciproco sembrano le “strutture” più idonee per lo sharing knowledge, il knowledge reuse e la condivisione delle best practicies. Esse consentono infatti, specie nella modalità on line, di condividere, trasferire e riusare la conoscenza e le best practice (frutto dell’esperienza) e, per conseguenza, le relative modalità di applicazione (procedure, protocolli, , ordini di servizio) in tutti i processi i processi aziendali con efficienza ed efficacia. La loro forza però non consiste solo e soltanto nel promuovere un migliore apprendimento del sapere e del saper fare specialistico e professionale fra le persone e sull'aiuto reciproco nell'affrontare i problemi quotidiani, quanto in un profondo cambiamento di mentalità che ne sta alla base e ne costituisce la vera essenza. Ciò che le comunità di pratica, hanno di veramente rivoluzionario (almeno potenzialmente ) è il mutamento culturale e di approccio al miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei processi che ne stà alla base e che fa da stimolo non tanto dal diffondersi delle nuove tecnologie multimediali , quanto piuttosto a far sì che : a) le persone tendano a gestire il proprio sapere ed il proprio ruolo e ambito professionale in un'ottica di condivisione, collaborazione e sua messa in comune; b) le aziende, quale ne sia la dimensione, l’ampiezza del portafoglio prodotti/servizi ed il settore di appartenenza, a perseguire tenacemente una cura metodica ed un’attenzione continua verso le persone che ne fanno parte, con l’obiettivo di migliorare la capacità di sapersi ri-organizzare in modo flessibile e “proattivo”; di attirare e trattenere le professionalità più pregiate ; di promuovere il “gioco di squadra” tra le diverse strutture ed aree funzionali ed al loro stesso interno,nell’ottica del perseguimento dell’innovazione e dell’eccellenza nello stare sul mercato. Sotto il primo aspetto (v. sub. a) il meccanismo di funzionamento è molto semplice: 1. se ho un problema, chiedo aiuto a chi lo ha già affrontato; 2. se mi viene data una soluzione e la comprendo ho imparato una cosa nuova; 3. se non mi viene data una soluzione, provo a cercarla insieme ad altri che hanno, o potrebbero avere in futuro, il mio stesso problema. È viva infatti la comune percezione di avere ciascuno l'esigenza di capire ciò che gli altri sanno e sanno fare ed è tale forza che rende coesa ed unita la compagine aziendale. Le comunità di pratica sono infatti, sostanzialmente, gruppi informali di persone che condividono le stesse mansioni lavorative o gli stessi interessi, e che nascono, spesso in maniera spontanea, per scambiarsi esperienze, consigli o pratiche quotidiane di lavoro. Le caratteristiche distintive di una comunità di pratica sono proprio gli interessi in comune e la forte coesione sociale, che le rende uno strumento potentissimo per far crescere e diffondere la conoscenza acquisita sul campo, trasformandola da tacita (o inconsapevole) in esplicita. Il patrimonio di conoscenze tacite, è estremamente importante per le aziende, ma anche estremamente difficile da trasmettere e codificare con mezzi tradizionali. Una comunità di pratica nasce per un’esigenza che viene dal basso: non è formalizzabile, né può essere costruita a tavolino, ma le nuove tecnologie possono favorire il processo di condivisione e di esplicitazione della conoscenza. Per quanto riguarda il secondo aspetto poi (v. sub. b), è indubbio che i fattori sopra richiamati accelerano il naturale evolversi delle comunità di pratica verso l’essere comunità di apprendimento; ciò peraltro deriva anche dalla rapidità con cui si creano sempre nuove conoscenze e dalla necessità di capitalizzare le best practice : il ruolo chiave della comunità si svincola così dal semplice concetto di compartecipazione per focalizzarsi sul piano formativo e informativo. La nuova conoscenza scambiata diventa l’esperienza del singolo, le sue conoscenze, le sue competenze, capacità possono essere condivise in rete, creando un patrimonio cognitivo e di intelligenza comune e comportamenti virtuosi in tutte le persone coinvolte. Il meccanismo che guida la vita di una comunità di pratica in rete è il concetto di comunità virtuale, intesa come un gruppo di persone accomunate da interessi professionali comuni, da un linguaggio condiviso, disposto ad un aiuto reciproco nell’individuare i problemi che quotidianamente si presentano e rendere migliori le relative soluzioni. Negli ambiti professionali dove è crescente il ruolo dell’innovazione, è questo il quid sul quale si gioca il successo della Comunità di pratica fatta di condivisione e di apprendimento continui. La comunità di pratica obbedisce dunque ai principi del miglioramento continuo e del costruttivismo, secondo i quali a livello personale , solo con un alta motivazione al fare, con l’impegno,l’abnegazione e l'interazione con gli altri (mediante il confronto fra prospettive differenti), l’apprendimento non si risolve in una semplice e passiva trasmissione del sapere e del saper fare ma è anche il presupposto per assicurare che le persone compiano azioni coordinate e collaborative (cooperating learning); mentre a livello aziendale si favorisce nel management una chiara visione strategica e l’ individuazione e la partecipazione alla messa a punto di linee - guida coerenti nel tempo, capaci di garantire una business continuity . Il livello imprenditoriale e quello dei top-manager sono dunque chiamati dunque a predisporre concretamente il terreno migliore per favorire la nascita di comunità di pratica e assicurarne la vitalità , mettendo a disposizione del personale non solo gli strumenti di collaborazione e le infrastrutture tecnologiche, ma accettando fino in fondo la sfida della condivisione delle conoscenze,della partecipazione attiva e responsabile di coloro che sono coinvolti e quindi anche della condivisione di poteri e responsabilità, tenendo conto che come ci esortava Galileo Galilei “dietro ogni problema c'è sempre un'opportunità”. D’altronde,l’ambiente di lavoro in cui ci si trova ad operare è sempre più quello tipico dell’azienda – rete in cui le relazioni interpersonali più efficaci e produttive sono senz’altro quelle imperiate su metodologie di lavoro di tipo cooperativo,le sole capaci di assicurare il perseguimento sistematico dell’ eccellenza aziendale nel lungo periodo.

La Conoscenza Partecipata

BELLANDI, GIUSEPPE
2009-01-01

Abstract

E’ nozione abbastanza pacifica oggi che la conoscenza,l’esperienza e le “buone pratiche” siano risorse essenziali a disposizione delle persone che operano in tutti i tipi di organizzazione; i problemi nascono quando si vuol capire prima e decidere poi di come concretamente creare, mantenere, riusare, valorizzare e condividere questi intagible assets. Ebbene, in questi ultimi anni sia negli ambienti accademici che in quelli imprenditoriali e manageriale è aumentata la consapevolezza che tali obiettivi possano essere più efficacemente e più “significativamente” perseguiti innescando processi di costruzione sociale della conoscenza. L’attuale crescente complessità dell’ambiente esterno ed interno di tutte le organizzazioni richiede una capacità attiva di promozione del cambiamento e di trasformazione del capitale umano in termini di irrobustimento delle conoscenze,competenze, capacità e skill possedute. Ma come sviluppare concretamente tale processo ? e con quali strumenti ? I solidi legami stabilitisi da tempo tra Persone e Conoscenza ha consentito alle aziende di far avanzare la frontiera dell’innovazione e della capacità competitiva in campi sempre più vasti e su sempre nuove frontiere; la conoscenza ha fornito a suo volta idee e soluzioni e linguaggi per innovare in profondità i processi di creazione dei prodotti e dei servizi,tanto che le economie occidentali sono definite non a caso “economie della conoscenza”, E poiché in tute le organizzazioni si producono risultati solo e soltanto quando la Conoscenza fluisce ed influisce sul lavoro quotidiano, essa richiede cooperazione e collaborazione tra le persone in esso coinvolte tanto che i loro valori, le loro motivazioni e passioni ed il senso etico e professionale di assumersi rischi e prendere iniziative tendono a diventare la leva primaria del successo imprenditoriale . Il Knowledge Management (KM) non può limitarsi dunque ad offrire strumenti e metodi per la diffusione della conoscenza ma deve interessarsi anche della sua reale disseminazione nei confronti delle persone che operano all’interno delle imprese.. Nel far questo però vanno rilevati atteggiamenti culturali diversi. C'è chi fa coincidere la diffusione di conoscenza con la realizzazione di basi di dati gestite e interrogabili via computer e chi invece sostiene che una gran parte della conoscenza d'impresa non abbia nulla a che fare con i dati, ma sia basata sulla conoscenza informale operativa e su quella tacita che ha anche un'importante dimensione cognitiva. Ogni appartenente all'organizzazione deve perciò essere coinvolto nella diffusione della conoscenza perché le sue percezioni e intuizioni , specie se provenienti dall'esperienza servono a “crearne” di sempre nuova. Da qui la rinnovata centralità delle persone e dell'apprendimento dinamico e continuo, che si basa certo anche su tecnologie informatiche e modalità organizzative ma che per funzionare efficacemente richiede la condivisione delle esperienze, l'individuazione delle migliori pratiche e l'aiuto reciproco nell'affrontare i problemi quotidiani della propria professione. Tutto ciò significa che bisogna attribuire alle persone un ruolo che trasmetta loro l’idea che la condivisione è essence for effectiveness in modo che siano le persone stesse a rendersi disponibili a trasferire conoscenze, esperienze e best practic, nella certezza di migliorare il loro modo di lavorare e di dare senso al lavoro, condividendo visioni e valori che esprimono al contempo la volontà dell’azienda di essere loro vicina nel lavoro quotidiano. E’ questo un approccio basato sulla “Salienza” che significa, sostanzialmente, un insieme di elementi che sono rilevanti, importanti, significativi per un possibile interlocutore, evitando il “mal di conoscenza ” che si manifesta quando l’informazione arriva non focalizzata, completa e nei tempi e modi necessari, proprio perché ci si è smarriti in un mare di informazioni e dati irrilevanti ai fini dell’attività o del problema o della decisione da prendere, dimenticando l che la conoscenza ha un suo valore percepito, un valore etico, ma anche un valore d’uso. Un possibile risposta è data la progettazione e realizzazione di Comunità di Pratica che in quanto comunità di individui che condividono un patrimonio di conoscenze, esperienze best practice attraverso un processo di apprendimento reciproco sembrano le “strutture” più idonee per lo sharing knowledge, il knowledge reuse e la condivisione delle best practicies. Esse consentono infatti, specie nella modalità on line, di condividere, trasferire e riusare la conoscenza e le best practice (frutto dell’esperienza) e, per conseguenza, le relative modalità di applicazione (procedure, protocolli, , ordini di servizio) in tutti i processi i processi aziendali con efficienza ed efficacia. La loro forza però non consiste solo e soltanto nel promuovere un migliore apprendimento del sapere e del saper fare specialistico e professionale fra le persone e sull'aiuto reciproco nell'affrontare i problemi quotidiani, quanto in un profondo cambiamento di mentalità che ne sta alla base e ne costituisce la vera essenza. Ciò che le comunità di pratica, hanno di veramente rivoluzionario (almeno potenzialmente ) è il mutamento culturale e di approccio al miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei processi che ne stà alla base e che fa da stimolo non tanto dal diffondersi delle nuove tecnologie multimediali , quanto piuttosto a far sì che : a) le persone tendano a gestire il proprio sapere ed il proprio ruolo e ambito professionale in un'ottica di condivisione, collaborazione e sua messa in comune; b) le aziende, quale ne sia la dimensione, l’ampiezza del portafoglio prodotti/servizi ed il settore di appartenenza, a perseguire tenacemente una cura metodica ed un’attenzione continua verso le persone che ne fanno parte, con l’obiettivo di migliorare la capacità di sapersi ri-organizzare in modo flessibile e “proattivo”; di attirare e trattenere le professionalità più pregiate ; di promuovere il “gioco di squadra” tra le diverse strutture ed aree funzionali ed al loro stesso interno,nell’ottica del perseguimento dell’innovazione e dell’eccellenza nello stare sul mercato. Sotto il primo aspetto (v. sub. a) il meccanismo di funzionamento è molto semplice: 1. se ho un problema, chiedo aiuto a chi lo ha già affrontato; 2. se mi viene data una soluzione e la comprendo ho imparato una cosa nuova; 3. se non mi viene data una soluzione, provo a cercarla insieme ad altri che hanno, o potrebbero avere in futuro, il mio stesso problema. È viva infatti la comune percezione di avere ciascuno l'esigenza di capire ciò che gli altri sanno e sanno fare ed è tale forza che rende coesa ed unita la compagine aziendale. Le comunità di pratica sono infatti, sostanzialmente, gruppi informali di persone che condividono le stesse mansioni lavorative o gli stessi interessi, e che nascono, spesso in maniera spontanea, per scambiarsi esperienze, consigli o pratiche quotidiane di lavoro. Le caratteristiche distintive di una comunità di pratica sono proprio gli interessi in comune e la forte coesione sociale, che le rende uno strumento potentissimo per far crescere e diffondere la conoscenza acquisita sul campo, trasformandola da tacita (o inconsapevole) in esplicita. Il patrimonio di conoscenze tacite, è estremamente importante per le aziende, ma anche estremamente difficile da trasmettere e codificare con mezzi tradizionali. Una comunità di pratica nasce per un’esigenza che viene dal basso: non è formalizzabile, né può essere costruita a tavolino, ma le nuove tecnologie possono favorire il processo di condivisione e di esplicitazione della conoscenza. Per quanto riguarda il secondo aspetto poi (v. sub. b), è indubbio che i fattori sopra richiamati accelerano il naturale evolversi delle comunità di pratica verso l’essere comunità di apprendimento; ciò peraltro deriva anche dalla rapidità con cui si creano sempre nuove conoscenze e dalla necessità di capitalizzare le best practice : il ruolo chiave della comunità si svincola così dal semplice concetto di compartecipazione per focalizzarsi sul piano formativo e informativo. La nuova conoscenza scambiata diventa l’esperienza del singolo, le sue conoscenze, le sue competenze, capacità possono essere condivise in rete, creando un patrimonio cognitivo e di intelligenza comune e comportamenti virtuosi in tutte le persone coinvolte. Il meccanismo che guida la vita di una comunità di pratica in rete è il concetto di comunità virtuale, intesa come un gruppo di persone accomunate da interessi professionali comuni, da un linguaggio condiviso, disposto ad un aiuto reciproco nell’individuare i problemi che quotidianamente si presentano e rendere migliori le relative soluzioni. Negli ambiti professionali dove è crescente il ruolo dell’innovazione, è questo il quid sul quale si gioca il successo della Comunità di pratica fatta di condivisione e di apprendimento continui. La comunità di pratica obbedisce dunque ai principi del miglioramento continuo e del costruttivismo, secondo i quali a livello personale , solo con un alta motivazione al fare, con l’impegno,l’abnegazione e l'interazione con gli altri (mediante il confronto fra prospettive differenti), l’apprendimento non si risolve in una semplice e passiva trasmissione del sapere e del saper fare ma è anche il presupposto per assicurare che le persone compiano azioni coordinate e collaborative (cooperating learning); mentre a livello aziendale si favorisce nel management una chiara visione strategica e l’ individuazione e la partecipazione alla messa a punto di linee - guida coerenti nel tempo, capaci di garantire una business continuity . Il livello imprenditoriale e quello dei top-manager sono dunque chiamati dunque a predisporre concretamente il terreno migliore per favorire la nascita di comunità di pratica e assicurarne la vitalità , mettendo a disposizione del personale non solo gli strumenti di collaborazione e le infrastrutture tecnologiche, ma accettando fino in fondo la sfida della condivisione delle conoscenze,della partecipazione attiva e responsabile di coloro che sono coinvolti e quindi anche della condivisione di poteri e responsabilità, tenendo conto che come ci esortava Galileo Galilei “dietro ogni problema c'è sempre un'opportunità”. D’altronde,l’ambiente di lavoro in cui ci si trova ad operare è sempre più quello tipico dell’azienda – rete in cui le relazioni interpersonali più efficaci e produttive sono senz’altro quelle imperiate su metodologie di lavoro di tipo cooperativo,le sole capaci di assicurare il perseguimento sistematico dell’ eccellenza aziendale nel lungo periodo.
2009
Bellandi, Giuseppe
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/127320
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