Questo lavoro cerca di ripercorrere, per grandi linee, il cammino del concetto di opinione pubblica dagli albori della modernità sino alla fine degli anni venti del Novecento, terminati con il dibattito a distanza tra Walter Lippmann e John Dewey, un dibattito che segnò forse la fine, se possiamo usare il termine, di un approccio allo studio dell’opinione pubblica che coinvolgeva le fondamenta teoriche, politiche e morali, della democrazia. Questo periodo, infatti, avrebbe lasciato il campo, anche in concomitanza con l’avvento dei nuovi mass media quali la radio e la televisione, ad un filone di studi più tecnico e quantitativo, sebbene non completamente estraneo alle problematiche sollevate nei periodi precedenti. Nel primo capitolo, quello che copre il periodo che va dal 1670 al 1815, si esamina la nascita del mito dell’opinione pubblica, esso sarebbe andato a sostituire termini simili ma non identici come legittimità, costume, tradizione, pregiudizio, e sarebbe venuto sempre di più ad identificarsi con la forma di governo democratica, innalzandosi come un giudice superpartes, un tribunale d’appello tra le opposte pretese di partiti in lotta e competizione fra di loro. In questo suo ruolo l’opinione pubblica avrebbe assunto i tratti stessi della sovranità regale, divenendo un vero e proprio principio di legittimazione politica che sarebbe andato a sostituire quello aristocratico e monarchico. Il secondo capitolo mostra come le due rivoluzioni, quella americana prima e quella francese poi, avrebbero scoperto le radici individualistiche della democrazia e quindi della moderna opinione pubblica, suscitando una fiera opposizione in coloro che scorsero in quest’ultima un pericolo per le stesse basi dell’ordine civilizzato. Edmund Burke, a questo proposito, diviene un vero e proprio caso emblematico, per rendersi conto delle contraddizioni insite nell’ideale settecentesco, e del suo carattere aristocratico; l’analisi dell’evoluzione teorica del pensatore irlandese chiarisce questo passaggio fondamentale. Altrettanto illuminante è soffermarsi sulla transizione dalla repubblica americana, così come concepita aristocraticamente dai suoi padri fondatori, alla nuova democrazia individualistica e volgare dell’era jacksoniana, lo sfondo sociale e politico al capolavoro di Alexis de Tocqueville ed alla sua descrizione della tirannia dell’opinione. Nel terzo capitolo viene dato conto della persistenza, per tutto l’Ottocento, di queste due visioni opposte dell’opinione pubblica, quella illuministica, idealizzata, e quella apertamente antiindividualista, in cui si riverberava il pregiudizio aristocratico. Vengono illustrati sia il caso ambiguo di John Stuart Mill, la cui posizione altalenò tra gli estremi dell’oppressione e dell’emancipazione dell’individuo, che il fuoco di fila diretto contro la massificazione culturale, ed espresso nell’opera di autori come Matthew Arnold, Ippolyte Taine, Ernest Renan, Friedrich Nietzsche, e culminante nel libro di Gustave Le Bon, in cui l’opinione pubblica finisce per non distinguersi più da quella delle folle. L’ultimo capitolo vede l’opinione pubblica considerata quale nuovo oggetto d’indagine da parte della Scienza Politica, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni di quello successivo e, a tal fine, passa in rassegna i contributi di James Bryce, Gabriel Tarde, Moisei Ostrogorski, Graham Wallas, Albert Venn Dicey, e Abbot Lawrence Lowell, tutti contributi più o meno gravitanti intorno al rapporto tra il moderno partito di massa e l’opinione. Questo capitolo si conclude infine affrontando il dibattito tra Lippmann e Dewey che, non solo, come accennato, chiude un particolare periodo di studi, ma rappresenta esemplarmente, anche due modi opposti di concepire il ruolo del cittadino in una democrazia, scettico l’uno, più fiducioso l’altro, modi opposti che si incontreranno anche nei decenni successivi fino ai giorni nostri, caratterizzati dal dibattito sulla democrazia deliberativa, e dalla discussione intorno alle nuove possibilità aperte alla partecipazione politica nell’era di internet.
Legittimità, tradizione, costume, opinione pubblica. Da Blaise Pascal a John Dewey, 1670-1930, Pisa, SEU
LENCI, MAURO
2009-01-01
Abstract
Questo lavoro cerca di ripercorrere, per grandi linee, il cammino del concetto di opinione pubblica dagli albori della modernità sino alla fine degli anni venti del Novecento, terminati con il dibattito a distanza tra Walter Lippmann e John Dewey, un dibattito che segnò forse la fine, se possiamo usare il termine, di un approccio allo studio dell’opinione pubblica che coinvolgeva le fondamenta teoriche, politiche e morali, della democrazia. Questo periodo, infatti, avrebbe lasciato il campo, anche in concomitanza con l’avvento dei nuovi mass media quali la radio e la televisione, ad un filone di studi più tecnico e quantitativo, sebbene non completamente estraneo alle problematiche sollevate nei periodi precedenti. Nel primo capitolo, quello che copre il periodo che va dal 1670 al 1815, si esamina la nascita del mito dell’opinione pubblica, esso sarebbe andato a sostituire termini simili ma non identici come legittimità, costume, tradizione, pregiudizio, e sarebbe venuto sempre di più ad identificarsi con la forma di governo democratica, innalzandosi come un giudice superpartes, un tribunale d’appello tra le opposte pretese di partiti in lotta e competizione fra di loro. In questo suo ruolo l’opinione pubblica avrebbe assunto i tratti stessi della sovranità regale, divenendo un vero e proprio principio di legittimazione politica che sarebbe andato a sostituire quello aristocratico e monarchico. Il secondo capitolo mostra come le due rivoluzioni, quella americana prima e quella francese poi, avrebbero scoperto le radici individualistiche della democrazia e quindi della moderna opinione pubblica, suscitando una fiera opposizione in coloro che scorsero in quest’ultima un pericolo per le stesse basi dell’ordine civilizzato. Edmund Burke, a questo proposito, diviene un vero e proprio caso emblematico, per rendersi conto delle contraddizioni insite nell’ideale settecentesco, e del suo carattere aristocratico; l’analisi dell’evoluzione teorica del pensatore irlandese chiarisce questo passaggio fondamentale. Altrettanto illuminante è soffermarsi sulla transizione dalla repubblica americana, così come concepita aristocraticamente dai suoi padri fondatori, alla nuova democrazia individualistica e volgare dell’era jacksoniana, lo sfondo sociale e politico al capolavoro di Alexis de Tocqueville ed alla sua descrizione della tirannia dell’opinione. Nel terzo capitolo viene dato conto della persistenza, per tutto l’Ottocento, di queste due visioni opposte dell’opinione pubblica, quella illuministica, idealizzata, e quella apertamente antiindividualista, in cui si riverberava il pregiudizio aristocratico. Vengono illustrati sia il caso ambiguo di John Stuart Mill, la cui posizione altalenò tra gli estremi dell’oppressione e dell’emancipazione dell’individuo, che il fuoco di fila diretto contro la massificazione culturale, ed espresso nell’opera di autori come Matthew Arnold, Ippolyte Taine, Ernest Renan, Friedrich Nietzsche, e culminante nel libro di Gustave Le Bon, in cui l’opinione pubblica finisce per non distinguersi più da quella delle folle. L’ultimo capitolo vede l’opinione pubblica considerata quale nuovo oggetto d’indagine da parte della Scienza Politica, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni di quello successivo e, a tal fine, passa in rassegna i contributi di James Bryce, Gabriel Tarde, Moisei Ostrogorski, Graham Wallas, Albert Venn Dicey, e Abbot Lawrence Lowell, tutti contributi più o meno gravitanti intorno al rapporto tra il moderno partito di massa e l’opinione. Questo capitolo si conclude infine affrontando il dibattito tra Lippmann e Dewey che, non solo, come accennato, chiude un particolare periodo di studi, ma rappresenta esemplarmente, anche due modi opposti di concepire il ruolo del cittadino in una democrazia, scettico l’uno, più fiducioso l’altro, modi opposti che si incontreranno anche nei decenni successivi fino ai giorni nostri, caratterizzati dal dibattito sulla democrazia deliberativa, e dalla discussione intorno alle nuove possibilità aperte alla partecipazione politica nell’era di internet.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.