Muovendo dal concetto freudiano di “Unheimliche” (il perturbante), l’articolo analizza la pièce “Senzația de elasticitate când păşim peste cadavre” / “La sensation d’élasticité lorsqu’on marche sur des cadavres”, dove l’esperienza della repressione e della reclusione prende forma attraverso apparizioni spettrali e situazioni irreali. Il protagonista, Sergiu Penegaru, poeta censurato e ridotto al ruolo di traduttore tollerato dal regime, incontra — in una serie di scene sospese tra allucinazione e monologo interiore — i fantasmi letterari dei suoi autori francesi preferiti: Lautréamont, Radiguet, Breton, Tzara, Queneau, Gide, Camus, Beckett e soprattutto Eugène Ionesco. Queste presenze, evocate in luoghi reali e immaginari (la casa, il ristorante dell’Unione degli Scrittori di Bucarest, un bistrot parigino), rappresentano forme di sopravvivenza psichica e resistenza simbolica. In carcere, insieme ad altri detenuti — ex figure centrali della cultura e della politica romena perseguitate negli anni ’50 — Penegaru inscena vere e proprie "performances" teatrali nate dalla fusione di battute e situazioni tratte dalle opere ioneschiane. La figura di Ionesco diventa così il catalizzatore di un teatro interiore capace di opporsi all’assurdità storica del totalitarismo. L’articolo interpreta queste apparizioni e messe in scena come dispositivi perturbanti, che si collocano al confine tra realtà e finzione, memoria e allucinazione, e propone una lettura dell’opera tanto sul piano intertestuale e letterario, quanto su quello simbolico e psico-politico, come denuncia e antidoto etico al trauma della storia.
Il fantasma di Ionesco, dei surrealisti e degli esistenzialisti francesi contro la reclusione e l’oppressione della Storia
Emilia David
2024-01-01
Abstract
Muovendo dal concetto freudiano di “Unheimliche” (il perturbante), l’articolo analizza la pièce “Senzația de elasticitate când păşim peste cadavre” / “La sensation d’élasticité lorsqu’on marche sur des cadavres”, dove l’esperienza della repressione e della reclusione prende forma attraverso apparizioni spettrali e situazioni irreali. Il protagonista, Sergiu Penegaru, poeta censurato e ridotto al ruolo di traduttore tollerato dal regime, incontra — in una serie di scene sospese tra allucinazione e monologo interiore — i fantasmi letterari dei suoi autori francesi preferiti: Lautréamont, Radiguet, Breton, Tzara, Queneau, Gide, Camus, Beckett e soprattutto Eugène Ionesco. Queste presenze, evocate in luoghi reali e immaginari (la casa, il ristorante dell’Unione degli Scrittori di Bucarest, un bistrot parigino), rappresentano forme di sopravvivenza psichica e resistenza simbolica. In carcere, insieme ad altri detenuti — ex figure centrali della cultura e della politica romena perseguitate negli anni ’50 — Penegaru inscena vere e proprie "performances" teatrali nate dalla fusione di battute e situazioni tratte dalle opere ioneschiane. La figura di Ionesco diventa così il catalizzatore di un teatro interiore capace di opporsi all’assurdità storica del totalitarismo. L’articolo interpreta queste apparizioni e messe in scena come dispositivi perturbanti, che si collocano al confine tra realtà e finzione, memoria e allucinazione, e propone una lettura dell’opera tanto sul piano intertestuale e letterario, quanto su quello simbolico e psico-politico, come denuncia e antidoto etico al trauma della storia.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


