Nonostante la loro recentissima disponibilità, i sistemi basati sull’intelligenza artificiale generativa hanno presto conquistato utenti in ogni settore—dall’istruzione alla sanità, dal creative all’industria—al punto da poter riconoscere un certo fenomeno di “proselitismo dell'IA” che, sbrigliato, guadagna terreno con la medesima facilità con cui è possibile accedere ai suoi strumenti generativi. Considerando la pervasività di tali sistemi, nonché l’impiego improprio che se ne fa attualmente, emerge prepotentemente una sfida per l’etica: a) riconoscere gli attuali schemi d’uso degli strumenti GenAI; b) anticiparne gli effetti collaterali rebus sic stantibus (ovvero sulla base della sregolatezza di quegli schemi d’uso); c) distinguerne gli elementi coadiuvanti da quelli degradanti, d) descrivere potenziali modelli d’impiego etico. Per quanto nei settori della cultura e della creatività serpeggino, sottotraccia, fenomeni di snobismo dell’IA—delle sorte di moti anticonformisti-reazionari per cui si sbarra il passo alla tecnologia, nel tentativo di confinarla all’industria, all’automotive e poc’altro—, assistiamo a incursioni della GenAI persino in momenti di produzione obbligatoriamente autentica (nella ricerca accademica, nella stesura di testi, nella realizzazione artistica, etc.), giustificati dalle straordinarie capacità human-like dei sistemi generativi che, dotati— autodotatisi, considerando il machine learning—di capacità e facoltà sino a ieri strettamente umane, si cimentano nella scrittura creativa, nella ricerca, nella produzione artistica, nell’inventiva. «Vi è dell’estro in loro», verrebbe da dire, non senza comprensibile diffidenza. Si inserisce, qui, la dicotomia di L. Floridi tra «agere e intelligere» che, quasi cartesianamente (ndr, res cogitans/res extensa), distingue l’intelligenza umana e dalla parvenza d’intelligenza dell’IA che, «non meno stupida di un tostapane», si limita ad azioni la cui compiutezza è in funzione del grado di envelopment, ovvero la flessione dell’ambiente circostante ai requisiti della macchina. La sfida etica, allora, si darà a livello di interazione umano- macchina (HMI), e la posta in gioco sarà alta: scongiurare il depotenziamento cognitivo dell’uomo e preservare capacità critica e abilità creativa.
Sistemi GAI-based e creatività: le sorti di cultura e istruzione nell’epoca delle produzioni artificiali human-like
Emanuele Fulvio Perri
2024-01-01
Abstract
Nonostante la loro recentissima disponibilità, i sistemi basati sull’intelligenza artificiale generativa hanno presto conquistato utenti in ogni settore—dall’istruzione alla sanità, dal creative all’industria—al punto da poter riconoscere un certo fenomeno di “proselitismo dell'IA” che, sbrigliato, guadagna terreno con la medesima facilità con cui è possibile accedere ai suoi strumenti generativi. Considerando la pervasività di tali sistemi, nonché l’impiego improprio che se ne fa attualmente, emerge prepotentemente una sfida per l’etica: a) riconoscere gli attuali schemi d’uso degli strumenti GenAI; b) anticiparne gli effetti collaterali rebus sic stantibus (ovvero sulla base della sregolatezza di quegli schemi d’uso); c) distinguerne gli elementi coadiuvanti da quelli degradanti, d) descrivere potenziali modelli d’impiego etico. Per quanto nei settori della cultura e della creatività serpeggino, sottotraccia, fenomeni di snobismo dell’IA—delle sorte di moti anticonformisti-reazionari per cui si sbarra il passo alla tecnologia, nel tentativo di confinarla all’industria, all’automotive e poc’altro—, assistiamo a incursioni della GenAI persino in momenti di produzione obbligatoriamente autentica (nella ricerca accademica, nella stesura di testi, nella realizzazione artistica, etc.), giustificati dalle straordinarie capacità human-like dei sistemi generativi che, dotati— autodotatisi, considerando il machine learning—di capacità e facoltà sino a ieri strettamente umane, si cimentano nella scrittura creativa, nella ricerca, nella produzione artistica, nell’inventiva. «Vi è dell’estro in loro», verrebbe da dire, non senza comprensibile diffidenza. Si inserisce, qui, la dicotomia di L. Floridi tra «agere e intelligere» che, quasi cartesianamente (ndr, res cogitans/res extensa), distingue l’intelligenza umana e dalla parvenza d’intelligenza dell’IA che, «non meno stupida di un tostapane», si limita ad azioni la cui compiutezza è in funzione del grado di envelopment, ovvero la flessione dell’ambiente circostante ai requisiti della macchina. La sfida etica, allora, si darà a livello di interazione umano- macchina (HMI), e la posta in gioco sarà alta: scongiurare il depotenziamento cognitivo dell’uomo e preservare capacità critica e abilità creativa.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


