Questo lavoro cerca di ripercorrere, per grandi linee, il cammino del concetto di opinione pubblica dagli albori della storia del pensiero politico sino ai nostri giorni. Nel primo capitolo prenderemo in esame la nascita e la formazione del mito dell’opinione pubblica: esso sarebbe andato a sostituire termini simili ma non identici come legittimità, costume, tradizione, pregiudizio, e sarebbe venuto sempre di più ad identificarsi con la forma di governo democratica, innalzandosi come un giudice super partes, un tribunale d’appello tra le opposte pretese di partiti in lotta e competizione fra di loro. In questo suo ruolo l’opinione pubblica avrebbe assunto i tratti stessi della maestà regale, divenendo un vero e proprio principio di legittimazione politica che sarebbe andato a sostituire quello aristocratico e monarchico. Vedremo, però, come la vera culla dell’opinione pubblica moderna sia stata l’Inghilterra, dove il diritto ad un giudizio personale di John Locke, ne sarebbe divenuto il principio individualista fondante che, attraverso la mediazione del radicalismo religioso e politico anglosassone, avrebbe influenzato la stessa tradizione francese. Il secondo capitolo mostrerà invece come le due rivoluzioni, quella americana prima e quella francese poi, avrebbero scoperto le radici individualistiche della democrazia e quindi della moderna opinione pubblica, suscitando una fiera opposizione in coloro che avrebbero scorso in quest’ultima un pericolo per le stesse basi dell’ordine civilizzato. Edmund Burke, a questo proposito, diviene un vero e proprio caso emblematico, che ci fa rendere conto delle contraddizioni insite nell’ideale settecentesco, e del suo carattere aristocratico; l’analisi teorica del pensatore irlandese avrebbe infatti preparato il terreno su cui si sarebbero confrontate le concezioni di scrittori di varia estrazione, concezioni spesso diverse ma accomunate dalla medesima preoccupazione riguardo alla nuova legittimazione del potere democratico. Problema questo che avrebbe investito lo stesso Tocqueville, impegnato a capire la sofferta transizione dalla repubblica americana, così come concepita aristocraticamente dai suoi padri fondatori, alla nuova democrazia individualistica e volgare dell’era jacksoniana, in cui l’opinione pubblica era assurta a vero principio legittimante. Nel terzo capitolo, ancora sullo sfondo sociale e politico dell’America, introdurremo la descrizione tocquevilliana della tirannia dell’opinione, il filo conduttore principale della successiva concezione ottocentesca, della quale analizzeremo sia il caso ambiguo di John Stuart Mill, la cui posizione altalenò tra gli estremi dell’oppressione e dell’emancipazione dell’individuo, che il fuoco di fila diretto contro la massificazione culturale, ed espresso nell’opera di autori come Matthew Arnold, Ippolyte Taine, Ernest Renan, Friedrich Nietzsche, e culminante nel libro di Gustave Le Bon, in cui l’opinione pubblica finiva per non distinguersi più da quella delle folle. Nel quarto capitolo l’opinione pubblica sarà considerata quale nuovo oggetto d’indagine da parte della Scienza Politica, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo successivo e, a tal fine, si passeranno in rassegna i contributi di James Bryce, Gabriel Tarde, Moisei Ostrogorski, Graham Wallas, Albert Venn Dicey, e Abbot Lawrence Lowell, tutti contributi più o meno gravitanti intorno al rapporto tra il moderno partito di massa e l’opinione. Il capitolo si concluderà affrontando il dibattito tra Walter Lippmann e John Dewey, dibattito che chiude un particolare periodo di studi il quale ancora coinvolgeva le fondamenta teoriche, politiche e morali, della democrazia, e che avrebbe lasciato il campo ad un filone di ricerca più tecnico e quantitativo, sebbene non completamente estraneo alle problematiche sollevate nei periodi precedenti. La diatriba tra Lippmann e Dewey rappresenta esemplarmente anche due modi opposti di concepire il ruolo del cittadino in una democrazia, scettico l’uno, più fiducioso l’altro, modi opposti che si sarebbero scontrati, come analizzeremo nel capitolo conclusivo, anche nei decenni successivi arrivando sino ai nostri giorni, caratterizzati dal dibattito sulla democrazia deliberativa, e dalla discussione intorno alle possibilità inusitate aperte alla partecipazione politica dall’avvento dei nuovi mass media quali la radio, la televisione, il personal computer e le tecnologie comunicative dell’era di internet.

Il leviatano invisibile. L'opinione pubblica nella storia del pensiero politico.

LENCI, MAURO
2012-01-01

Abstract

Questo lavoro cerca di ripercorrere, per grandi linee, il cammino del concetto di opinione pubblica dagli albori della storia del pensiero politico sino ai nostri giorni. Nel primo capitolo prenderemo in esame la nascita e la formazione del mito dell’opinione pubblica: esso sarebbe andato a sostituire termini simili ma non identici come legittimità, costume, tradizione, pregiudizio, e sarebbe venuto sempre di più ad identificarsi con la forma di governo democratica, innalzandosi come un giudice super partes, un tribunale d’appello tra le opposte pretese di partiti in lotta e competizione fra di loro. In questo suo ruolo l’opinione pubblica avrebbe assunto i tratti stessi della maestà regale, divenendo un vero e proprio principio di legittimazione politica che sarebbe andato a sostituire quello aristocratico e monarchico. Vedremo, però, come la vera culla dell’opinione pubblica moderna sia stata l’Inghilterra, dove il diritto ad un giudizio personale di John Locke, ne sarebbe divenuto il principio individualista fondante che, attraverso la mediazione del radicalismo religioso e politico anglosassone, avrebbe influenzato la stessa tradizione francese. Il secondo capitolo mostrerà invece come le due rivoluzioni, quella americana prima e quella francese poi, avrebbero scoperto le radici individualistiche della democrazia e quindi della moderna opinione pubblica, suscitando una fiera opposizione in coloro che avrebbero scorso in quest’ultima un pericolo per le stesse basi dell’ordine civilizzato. Edmund Burke, a questo proposito, diviene un vero e proprio caso emblematico, che ci fa rendere conto delle contraddizioni insite nell’ideale settecentesco, e del suo carattere aristocratico; l’analisi teorica del pensatore irlandese avrebbe infatti preparato il terreno su cui si sarebbero confrontate le concezioni di scrittori di varia estrazione, concezioni spesso diverse ma accomunate dalla medesima preoccupazione riguardo alla nuova legittimazione del potere democratico. Problema questo che avrebbe investito lo stesso Tocqueville, impegnato a capire la sofferta transizione dalla repubblica americana, così come concepita aristocraticamente dai suoi padri fondatori, alla nuova democrazia individualistica e volgare dell’era jacksoniana, in cui l’opinione pubblica era assurta a vero principio legittimante. Nel terzo capitolo, ancora sullo sfondo sociale e politico dell’America, introdurremo la descrizione tocquevilliana della tirannia dell’opinione, il filo conduttore principale della successiva concezione ottocentesca, della quale analizzeremo sia il caso ambiguo di John Stuart Mill, la cui posizione altalenò tra gli estremi dell’oppressione e dell’emancipazione dell’individuo, che il fuoco di fila diretto contro la massificazione culturale, ed espresso nell’opera di autori come Matthew Arnold, Ippolyte Taine, Ernest Renan, Friedrich Nietzsche, e culminante nel libro di Gustave Le Bon, in cui l’opinione pubblica finiva per non distinguersi più da quella delle folle. Nel quarto capitolo l’opinione pubblica sarà considerata quale nuovo oggetto d’indagine da parte della Scienza Politica, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo successivo e, a tal fine, si passeranno in rassegna i contributi di James Bryce, Gabriel Tarde, Moisei Ostrogorski, Graham Wallas, Albert Venn Dicey, e Abbot Lawrence Lowell, tutti contributi più o meno gravitanti intorno al rapporto tra il moderno partito di massa e l’opinione. Il capitolo si concluderà affrontando il dibattito tra Walter Lippmann e John Dewey, dibattito che chiude un particolare periodo di studi il quale ancora coinvolgeva le fondamenta teoriche, politiche e morali, della democrazia, e che avrebbe lasciato il campo ad un filone di ricerca più tecnico e quantitativo, sebbene non completamente estraneo alle problematiche sollevate nei periodi precedenti. La diatriba tra Lippmann e Dewey rappresenta esemplarmente anche due modi opposti di concepire il ruolo del cittadino in una democrazia, scettico l’uno, più fiducioso l’altro, modi opposti che si sarebbero scontrati, come analizzeremo nel capitolo conclusivo, anche nei decenni successivi arrivando sino ai nostri giorni, caratterizzati dal dibattito sulla democrazia deliberativa, e dalla discussione intorno alle possibilità inusitate aperte alla partecipazione politica dall’avvento dei nuovi mass media quali la radio, la televisione, il personal computer e le tecnologie comunicative dell’era di internet.
2012
Lenci, Mauro
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/155541
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