Il contenuto in sostanza organica del suolo costituisce uno degli indicatori-chiave nel definire il livello di fertilità attribuibile al terreno agrario e dunque rappresenta uno degli elementi fondamentali per poter esprimere un giudizio sulla sostenibilità dei sistemi colturali prescelti (Lugato et al., 2007). La sua importanza si è poi ulteriormente accresciuta in relazione alle implicazioni che legano la conservazione del contenuto in humus nel terreno all'entità del sequestro del carbonio e quindi alla riduzione del rilascio di gas serra (anidride carbonica, metano, ecc.) da parte delle aree coltivate (Lal, 2004; Smith, 2004). La possibilità di modulare il contenuto in sostanza organica attraverso l'adozione di sistemi colturali diversi è stata studiata da molti ricercatori (Baker et al., 2007; Blanco-Conqui e Lal, 2008; Alvaro-Fuentes et al., 2009; Powlson et al., 2012), ma non sempre risulta facile comprendere se le variazioni osservate siano da mettere in relazione all'interramento di un diverso stock quali-quantitativo di residui colturali e/o ad una modifica del tasso di mineralizzazione in conseguenza delle mutate condizioni ambientali indotte nel suolo stesso proprio da alcune delle scelte tecniche operate dall'agricoltore. Condizione necessaria all'approfondimento di tali aspetti è costituita dalla disponibilità di ricerche di medio-lungo periodo caratterizzate dalla ripetizione dei trattamenti sulle medesime parcelle sperimentali così da poter rilevare differenze legate ad effetti residui e cumulati che notoriamente si evidenziano solo dopo un adeguato intervallo di tempo (Silvestri, 2001). A questo riguardo si riportano i dati relativi ad una ricerca pluriennale che metteva a confronto quattro diverse modalità di gestione agronomica di una stessa omosuccessione di mais.

La dinamica della sostanza organica del terreno in una omosuccessione di mais condotta secondo modalità alternative di gestione agronomica.

SILVESTRI, NICOLA;MAZZONCINI, MARCO;
2013-01-01

Abstract

Il contenuto in sostanza organica del suolo costituisce uno degli indicatori-chiave nel definire il livello di fertilità attribuibile al terreno agrario e dunque rappresenta uno degli elementi fondamentali per poter esprimere un giudizio sulla sostenibilità dei sistemi colturali prescelti (Lugato et al., 2007). La sua importanza si è poi ulteriormente accresciuta in relazione alle implicazioni che legano la conservazione del contenuto in humus nel terreno all'entità del sequestro del carbonio e quindi alla riduzione del rilascio di gas serra (anidride carbonica, metano, ecc.) da parte delle aree coltivate (Lal, 2004; Smith, 2004). La possibilità di modulare il contenuto in sostanza organica attraverso l'adozione di sistemi colturali diversi è stata studiata da molti ricercatori (Baker et al., 2007; Blanco-Conqui e Lal, 2008; Alvaro-Fuentes et al., 2009; Powlson et al., 2012), ma non sempre risulta facile comprendere se le variazioni osservate siano da mettere in relazione all'interramento di un diverso stock quali-quantitativo di residui colturali e/o ad una modifica del tasso di mineralizzazione in conseguenza delle mutate condizioni ambientali indotte nel suolo stesso proprio da alcune delle scelte tecniche operate dall'agricoltore. Condizione necessaria all'approfondimento di tali aspetti è costituita dalla disponibilità di ricerche di medio-lungo periodo caratterizzate dalla ripetizione dei trattamenti sulle medesime parcelle sperimentali così da poter rilevare differenze legate ad effetti residui e cumulati che notoriamente si evidenziano solo dopo un adeguato intervallo di tempo (Silvestri, 2001). A questo riguardo si riportano i dati relativi ad una ricerca pluriennale che metteva a confronto quattro diverse modalità di gestione agronomica di una stessa omosuccessione di mais.
2013
9788890849909
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