Le due mediocri vestali, sacerdotesse di culti rivali che avrebbero assunto, volta a volta, differenti colori e connotazioni, Cosima Wagner ed Elisabeth Förster-Nietzsche, hanno concordemente convenuto sulla centralità delle letture di Nietzsche (con più acutezza, una sua amica, scrittrice svizzera, ha parlato, a tal proposito, de “le flair du livre”). Cosima per denigrare il ‘malvagio’ autore di un tradimento, Elisabeth per esaltare l’universalità del ‘genio’. Entrambe comunque lontane dal comprendere quanto, attraverso l’assimilazione e l’originale reazione al proprio tempo, Nietzsche, fin dai primi anni giovanili, abbia costruito con pazienza se stesso e i suoi stili. Elisabeth, alle soglie del secolo nuovo (1899), amava mostrare il fratello come perfettamente adeguato allo spirito cosmopolita dominante tra gli artisti che frequentavano l’Archivio-Nietzsche di Weimar, e, quindi, particolarmente imbevuto di letture francesi. (“Die Zukunft” vol. 26, 1899). Aveva colto un aspetto essenziale della cultura di Nietzsche sul quale, prima che trionfassero stereotipi nazionalistici, molti studiosi andavano intervendo. Tra questi, curioso il caso di quei Francesi suoi contemporanei che, parlando del rapporto del filosofo con la Francia, avevano avvertito forti consonanze, ignorando di aver contribuito a costituire, in diversa maniera, la trama dei suoi testi (Faguet, De Roberty, Brunetiere, Fouillée, Bourdeau etc.). Anche successivamente non sono mancati contributi specifici in questa direzione (da Andler a Williams, da Champromis a Bludau, da Krökel a Donnellan) ma è stata solo l’edizione Colli-Montinari delle opere e dell’epistolario di Nietzsche che ha dato la base concreta per un’indagine che mostrasse fino in fondo il peso di queste presenze francesi nel tessuto del testo nietzscheano (in particolare, per quest’aspetto, l’ultima fatica di Mazzino Montinari, l’apparato alla sez. VII, 1984 e 1986). Gli scritti, restituiti nella loro integralità e nell’ordine cronologico dei quaderni, e l’apparato critico, tuttora in corso, documentano il confronto attento e continuo, non soltanto con i ‘moralisti’ – limitati magari al cosiddetto periodo illuministico di Nietzsche – ma con la cultura a lui contemporanea: dai romanzi alla moda alla psicologia, dalla pubblicistica politica a quella letteraria, dalla poesia alla storia, dalla sociologia alle scienze naturali, dalla critica teatrale alle storie letterarie, dalle cronache di avvenimenti culturali a quelle giudiziarie. Grande la mole e la tempestività della sua informazione: una fonte, in buona parte inesplorata, sono le riviste e le gazzette dell’epoca: tra queste basterà ricordare – da Nietzsche stesso citate – la prestigiosa “Revue de deux mondes” e, soprattutto, il “Journal des Débats”. Tutto diviene materiale da incorporare e metabolizzare oltre che segno da interpretare della vitalità o meno di una società e di una cultura. Al centro degli interessi di Nietzsche, è la Francia, nei suoi tormentati movimenti dopo la guerra franco-prussiana (“la crise allemande de la pensée française”) ed è Parigi – la “capitale del XIX secolo” – il laboratorio sperimentale di nuovi valori e forme di vita dove nascono individui ibridi lontani comunque dalla ‘rabies nationalis’ e che preannunciano un nuovo europeo. Quella Parigi in cui aspirava andare con Erwin Rohde fin dagli anni dell’Università per “camminare, con lo sguardo serio e un sorriso sulle labbra, confusi nella folla parigina, come due flaneurs filosofici” abbandonando la filologia “tra le suppellettili degli antenati” (lettera a Rohde, 16 gennaio 1869), in cui con Rée e Lou von Salomé (la “trinità”) avrebbe trovato il luogo della sua libertà e della sua ‘rinascita’ dopo esser vissuto più vicino alla morte che alla vita: “ho ricominciato a credere nella vita, negli uomini, in Parigi, perfino in me stesso” (A Louise Ott, 7 novembre 1882); quella Parigi infine a cui, nel delirio incipiente della follia, si rivolge con crescente ossessione: “E’ ormai venuto il momento, per me, di tornare al mondo come francese” (dicembre 1888). Parigi, la città in cui mai ha messo piede, accompagna – come punto di riferimento costante ma con sensi diversi – il percorso filosofico di Nietzsche. Di questo percorso, il libro offre alcune linee significative. L’extratesto – a partire dalle letture documentate: dai volumi della Biblioteca postuma di Weimar, dalle citazioni implicite, dai numerosi excerpta di lettura, non sempre segnalati, dall’epistolario – ha consentito di restituire la trama francese del testo di Nietzsche anche per singole espressioni. Tale fondo metabolizzato e radicalmente trasformato, Nietzsche ha consegnato al nuovo secolo. Il recupero dello spessore storico di categorie filosofiche centrali non fa perdere affatto la loro originalità, ma riconquistare con più forza la concreta individualità del filosofo a confronto di ciò che è scomparso definitivamente dal nostro orizzonte: letture di autori di grande e piccolo rilievo, tra cui anche grandi “Maîtres de l’Heure” (Victor Giraud), interventi, discussioni, polemiche legate ad avvenimenti specifici, il tutto ormai lontano da noi come accade a ciò che più immediatamente si lega a bisogni storici diffusi. Il volume evidenzia, contro il “renanisme exaspeéré et sans ‘nuances’ attribuito a Nietzsche dai lettori contemporanei, l’effettivo ruolo – di vicinanza nel periodo wagneriano ‘idealistico’ e poi di decisa opposizione – svolto dal pensiero dell’intellettuale francese mettendo in gioco il tema della crisi, sviluppato da Burckhardt. Il rapporto complesso Nietzsche, Wagner, Renan, Burckhardt è diventato ora un capitolo di una storia del confronto tra esprit français e esprit allemand che ha nella sorprendente valorizzazione di Descartes un punto essenziale di partenza. In Descartes (ben più di un confronto filosofico sul tema del cogito che in realtà è discussione interna al neokantismo fisiologico del tempo) Nietzsche ha trovato il senso profondo della sua concezione di ‘passione della conoscenza’ ed il valore del ‘metodo’ inteso come cammino ordinato della conoscenza, contro l’intuizione del genio romantico che caratterizza lo stereotipo del pensiero germanico. Non a caso, all’immagine di Descartes, Nietzsche giunge attraverso mediazioni spurie e dubitose (quali ad esempio: Joly, Saint-Ogan, Brunetière, Albert, Taine, Frary). Tale raison ordinatrice affronta certo l’“amas de contradictions” qui nous sommes, non si allontana dal corpo ma ne prende la complessità come filo conduttore contro la semplificazione e trasparenza del soggetto classico. Descartes è figura paradigmatica che accompagna una tradizione di analisi da Montaigne ai romanciers delle gazzette di Parigi: la volontà e la raison del XVII secolo, unite, marcano l’allontanamento, fino all’opposizione, dalla concezione schopenhaueriana della volontà come istinto, pulsione, desiderio etc. ed il collegamento diretto con la fisiologia e la psicologia dinamica francese (la volontà è “activité raisonnable”, “puissance de direction”). Alla ricerca della complessità e pluralità che caratterizza la cultura superiore, Nietzsche scopre la Renaissance latina e l’âge classique in diretta contrapposizione alla “Rinascita tedesca” improntata dall’illusione wagneriana. Con Burckhardt egli scopre l’uomo individuale e il “poeta-filologo”, attuando il distacco dal mito germanico del Volk e iniziando il cammino verso la cultura romanza (ne sono precoce e inedita testimonianza le lezioni di introduzione alla filologia tenute a Basilea – un vero e proprio mosaico di citazioni dalla Civiltà del Rinascimento in Italia). Ma, ben presto, il Rinascimento, diventa luogo di valori e trova nella cultura francese i punti di riferimento: da Stendhal a Taine, da Gebhart a Barbey d’Aurevilly a Gobineau, per non parlare che dei maggiori. Il Rinascimento si popola allora di “personnages conceptuels”: da Cesare Borgia a Leonardo da Vinci fino ad arrivare a Goethe e Napoleone intesi anch’essi come “uomini del Rinascimento”: tutti costoro sono il grido di desiderio verso la salute di una civiltà ormai al tramonto (la décadence latina) che sa esprimere invece figure nuove, ibride, di grande valore sperimentale. E se la “bestia da preda” è assunta inequivocabilmente dalle fonti francesi, in Nietzsche questa figura diventa momento polemico (come il “monstre gai”) verso il disfacimento morboso della grande città (l’eroismo di Parsifal o degli eroi ariani alla Gobineau), energia animale che è premessa necessaria per diventare “più vasti, più sovranazionali, più europei, più sovraeuropei, più orientali, infine più greci”. Il Greco come l’uomo del Rinascimento è la cifra ideale di una umanità più chiara e affermatrice, di un’anima più vasta contro l’uniformità morale fanatica, è calore e vivacità delle forze plurali contro la grigia freddezza del Nord che può realizzarsi solo nel distacco idealistico dalla corporeità. Nietzsche, attraverso la Renaissance, ha già iniziato il suo viaggio verso Cosmopolis, l’esplorazione dei movimenti e delle contraddizioni dell’âme moderne che nel Pariser trova le sue varie e molteplici espressioni. “Gli dèi sono morti”: si afferma più che dovunque a Parigi dove l’adorable Heine, dove Schopenhauer, dove Dostoevski sono di casa. E la principale guida in questo percorso è lo ‘psicologo’ Paul Bourget, che più di tutti sente vicino (“Paul Bourget, der bei weitem am meisten von sich aus mir nahe gekommen ist”). Accanto all’analitica dissezione ed estremo intellettualismo dei ‘rougistes’, si trovano le nature tropicali di quella “serra surriscaldata”: mostri, eroi, malati della volontà e grandi criminali, bestie ed idealisti. Solo da questo materiale sperimentale o di scarto – che comunque si oppone al processo impetuoso di Verkleinerung – da questo caos incandescente potrà uscire l’uomo nuovo, europeo e sovraeuropeo, lontano dalle ristrettezze di un’Europa dei nazionalismi e delle improbabili razze, il nuovo ‘Greco’. Queste le linee generali del lavoro che, attraverso gli scritti di Nietzsche e dei suoi autori, ha restituito una nuova trama del testo del filosofo, ma anche un’ immagine più complessa della circolazione delle idee nell’Europa della seconda metà del secolo XIX. Il volume vuole offrire al lettore di lingua spagnola i risultati di lunghi anni di frequenza con Nietzsche e con il lavoro agli apparati delle Opere e dell’Epostolario di Nietzsche (edizione Colli-Montinari per le edizioni Adelphi, Milano)
Nietzsche y el espiritu latino
CAMPIONI, GIULIANO
2004-01-01
Abstract
Le due mediocri vestali, sacerdotesse di culti rivali che avrebbero assunto, volta a volta, differenti colori e connotazioni, Cosima Wagner ed Elisabeth Förster-Nietzsche, hanno concordemente convenuto sulla centralità delle letture di Nietzsche (con più acutezza, una sua amica, scrittrice svizzera, ha parlato, a tal proposito, de “le flair du livre”). Cosima per denigrare il ‘malvagio’ autore di un tradimento, Elisabeth per esaltare l’universalità del ‘genio’. Entrambe comunque lontane dal comprendere quanto, attraverso l’assimilazione e l’originale reazione al proprio tempo, Nietzsche, fin dai primi anni giovanili, abbia costruito con pazienza se stesso e i suoi stili. Elisabeth, alle soglie del secolo nuovo (1899), amava mostrare il fratello come perfettamente adeguato allo spirito cosmopolita dominante tra gli artisti che frequentavano l’Archivio-Nietzsche di Weimar, e, quindi, particolarmente imbevuto di letture francesi. (“Die Zukunft” vol. 26, 1899). Aveva colto un aspetto essenziale della cultura di Nietzsche sul quale, prima che trionfassero stereotipi nazionalistici, molti studiosi andavano intervendo. Tra questi, curioso il caso di quei Francesi suoi contemporanei che, parlando del rapporto del filosofo con la Francia, avevano avvertito forti consonanze, ignorando di aver contribuito a costituire, in diversa maniera, la trama dei suoi testi (Faguet, De Roberty, Brunetiere, Fouillée, Bourdeau etc.). Anche successivamente non sono mancati contributi specifici in questa direzione (da Andler a Williams, da Champromis a Bludau, da Krökel a Donnellan) ma è stata solo l’edizione Colli-Montinari delle opere e dell’epistolario di Nietzsche che ha dato la base concreta per un’indagine che mostrasse fino in fondo il peso di queste presenze francesi nel tessuto del testo nietzscheano (in particolare, per quest’aspetto, l’ultima fatica di Mazzino Montinari, l’apparato alla sez. VII, 1984 e 1986). Gli scritti, restituiti nella loro integralità e nell’ordine cronologico dei quaderni, e l’apparato critico, tuttora in corso, documentano il confronto attento e continuo, non soltanto con i ‘moralisti’ – limitati magari al cosiddetto periodo illuministico di Nietzsche – ma con la cultura a lui contemporanea: dai romanzi alla moda alla psicologia, dalla pubblicistica politica a quella letteraria, dalla poesia alla storia, dalla sociologia alle scienze naturali, dalla critica teatrale alle storie letterarie, dalle cronache di avvenimenti culturali a quelle giudiziarie. Grande la mole e la tempestività della sua informazione: una fonte, in buona parte inesplorata, sono le riviste e le gazzette dell’epoca: tra queste basterà ricordare – da Nietzsche stesso citate – la prestigiosa “Revue de deux mondes” e, soprattutto, il “Journal des Débats”. Tutto diviene materiale da incorporare e metabolizzare oltre che segno da interpretare della vitalità o meno di una società e di una cultura. Al centro degli interessi di Nietzsche, è la Francia, nei suoi tormentati movimenti dopo la guerra franco-prussiana (“la crise allemande de la pensée française”) ed è Parigi – la “capitale del XIX secolo” – il laboratorio sperimentale di nuovi valori e forme di vita dove nascono individui ibridi lontani comunque dalla ‘rabies nationalis’ e che preannunciano un nuovo europeo. Quella Parigi in cui aspirava andare con Erwin Rohde fin dagli anni dell’Università per “camminare, con lo sguardo serio e un sorriso sulle labbra, confusi nella folla parigina, come due flaneurs filosofici” abbandonando la filologia “tra le suppellettili degli antenati” (lettera a Rohde, 16 gennaio 1869), in cui con Rée e Lou von Salomé (la “trinità”) avrebbe trovato il luogo della sua libertà e della sua ‘rinascita’ dopo esser vissuto più vicino alla morte che alla vita: “ho ricominciato a credere nella vita, negli uomini, in Parigi, perfino in me stesso” (A Louise Ott, 7 novembre 1882); quella Parigi infine a cui, nel delirio incipiente della follia, si rivolge con crescente ossessione: “E’ ormai venuto il momento, per me, di tornare al mondo come francese” (dicembre 1888). Parigi, la città in cui mai ha messo piede, accompagna – come punto di riferimento costante ma con sensi diversi – il percorso filosofico di Nietzsche. Di questo percorso, il libro offre alcune linee significative. L’extratesto – a partire dalle letture documentate: dai volumi della Biblioteca postuma di Weimar, dalle citazioni implicite, dai numerosi excerpta di lettura, non sempre segnalati, dall’epistolario – ha consentito di restituire la trama francese del testo di Nietzsche anche per singole espressioni. Tale fondo metabolizzato e radicalmente trasformato, Nietzsche ha consegnato al nuovo secolo. Il recupero dello spessore storico di categorie filosofiche centrali non fa perdere affatto la loro originalità, ma riconquistare con più forza la concreta individualità del filosofo a confronto di ciò che è scomparso definitivamente dal nostro orizzonte: letture di autori di grande e piccolo rilievo, tra cui anche grandi “Maîtres de l’Heure” (Victor Giraud), interventi, discussioni, polemiche legate ad avvenimenti specifici, il tutto ormai lontano da noi come accade a ciò che più immediatamente si lega a bisogni storici diffusi. Il volume evidenzia, contro il “renanisme exaspeéré et sans ‘nuances’ attribuito a Nietzsche dai lettori contemporanei, l’effettivo ruolo – di vicinanza nel periodo wagneriano ‘idealistico’ e poi di decisa opposizione – svolto dal pensiero dell’intellettuale francese mettendo in gioco il tema della crisi, sviluppato da Burckhardt. Il rapporto complesso Nietzsche, Wagner, Renan, Burckhardt è diventato ora un capitolo di una storia del confronto tra esprit français e esprit allemand che ha nella sorprendente valorizzazione di Descartes un punto essenziale di partenza. In Descartes (ben più di un confronto filosofico sul tema del cogito che in realtà è discussione interna al neokantismo fisiologico del tempo) Nietzsche ha trovato il senso profondo della sua concezione di ‘passione della conoscenza’ ed il valore del ‘metodo’ inteso come cammino ordinato della conoscenza, contro l’intuizione del genio romantico che caratterizza lo stereotipo del pensiero germanico. Non a caso, all’immagine di Descartes, Nietzsche giunge attraverso mediazioni spurie e dubitose (quali ad esempio: Joly, Saint-Ogan, Brunetière, Albert, Taine, Frary). Tale raison ordinatrice affronta certo l’“amas de contradictions” qui nous sommes, non si allontana dal corpo ma ne prende la complessità come filo conduttore contro la semplificazione e trasparenza del soggetto classico. Descartes è figura paradigmatica che accompagna una tradizione di analisi da Montaigne ai romanciers delle gazzette di Parigi: la volontà e la raison del XVII secolo, unite, marcano l’allontanamento, fino all’opposizione, dalla concezione schopenhaueriana della volontà come istinto, pulsione, desiderio etc. ed il collegamento diretto con la fisiologia e la psicologia dinamica francese (la volontà è “activité raisonnable”, “puissance de direction”). Alla ricerca della complessità e pluralità che caratterizza la cultura superiore, Nietzsche scopre la Renaissance latina e l’âge classique in diretta contrapposizione alla “Rinascita tedesca” improntata dall’illusione wagneriana. Con Burckhardt egli scopre l’uomo individuale e il “poeta-filologo”, attuando il distacco dal mito germanico del Volk e iniziando il cammino verso la cultura romanza (ne sono precoce e inedita testimonianza le lezioni di introduzione alla filologia tenute a Basilea – un vero e proprio mosaico di citazioni dalla Civiltà del Rinascimento in Italia). Ma, ben presto, il Rinascimento, diventa luogo di valori e trova nella cultura francese i punti di riferimento: da Stendhal a Taine, da Gebhart a Barbey d’Aurevilly a Gobineau, per non parlare che dei maggiori. Il Rinascimento si popola allora di “personnages conceptuels”: da Cesare Borgia a Leonardo da Vinci fino ad arrivare a Goethe e Napoleone intesi anch’essi come “uomini del Rinascimento”: tutti costoro sono il grido di desiderio verso la salute di una civiltà ormai al tramonto (la décadence latina) che sa esprimere invece figure nuove, ibride, di grande valore sperimentale. E se la “bestia da preda” è assunta inequivocabilmente dalle fonti francesi, in Nietzsche questa figura diventa momento polemico (come il “monstre gai”) verso il disfacimento morboso della grande città (l’eroismo di Parsifal o degli eroi ariani alla Gobineau), energia animale che è premessa necessaria per diventare “più vasti, più sovranazionali, più europei, più sovraeuropei, più orientali, infine più greci”. Il Greco come l’uomo del Rinascimento è la cifra ideale di una umanità più chiara e affermatrice, di un’anima più vasta contro l’uniformità morale fanatica, è calore e vivacità delle forze plurali contro la grigia freddezza del Nord che può realizzarsi solo nel distacco idealistico dalla corporeità. Nietzsche, attraverso la Renaissance, ha già iniziato il suo viaggio verso Cosmopolis, l’esplorazione dei movimenti e delle contraddizioni dell’âme moderne che nel Pariser trova le sue varie e molteplici espressioni. “Gli dèi sono morti”: si afferma più che dovunque a Parigi dove l’adorable Heine, dove Schopenhauer, dove Dostoevski sono di casa. E la principale guida in questo percorso è lo ‘psicologo’ Paul Bourget, che più di tutti sente vicino (“Paul Bourget, der bei weitem am meisten von sich aus mir nahe gekommen ist”). Accanto all’analitica dissezione ed estremo intellettualismo dei ‘rougistes’, si trovano le nature tropicali di quella “serra surriscaldata”: mostri, eroi, malati della volontà e grandi criminali, bestie ed idealisti. Solo da questo materiale sperimentale o di scarto – che comunque si oppone al processo impetuoso di Verkleinerung – da questo caos incandescente potrà uscire l’uomo nuovo, europeo e sovraeuropeo, lontano dalle ristrettezze di un’Europa dei nazionalismi e delle improbabili razze, il nuovo ‘Greco’. Queste le linee generali del lavoro che, attraverso gli scritti di Nietzsche e dei suoi autori, ha restituito una nuova trama del testo del filosofo, ma anche un’ immagine più complessa della circolazione delle idee nell’Europa della seconda metà del secolo XIX. Il volume vuole offrire al lettore di lingua spagnola i risultati di lunghi anni di frequenza con Nietzsche e con il lavoro agli apparati delle Opere e dell’Epostolario di Nietzsche (edizione Colli-Montinari per le edizioni Adelphi, Milano)I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.