La parabola professionale e umana di Ivan Leonidov è una grande metafora sia per l’esperienza dell’architettura moderna che per la storia dell’avanguardia russa del Novecento. Autore dotato di straordinaria capacità visionaria, di immenso talento grafico, di grandi nozioni tecniche e costruttive, la sua vicenda mette in scena tutte le contraddizioni delle possibili relazioni tra politica, società e architettura. Dal precocissimo esordio con i progetti per la sede dell’Izvestia e dell’Istituto Lenin, fino all’ultima difesa, con l’edificio del Narkomtjažprom, contro l’involuzione realsocialista dell’architettura sovietica, tutti i suoi progetti sono indirizzati alla ridefinizione radicale di specifici temi di architettura, in vista della costruzione della coscienza e della città dell’“uomo nuovo”. A questo fine sono piegate le risorse dell’architettura moderna: la pianta libera è reimmaginata in termini che settant’anni dopo verranno definiti “generici”; le tecniche costruttive diventano metafora della “liberazione del lavoro” del paese dei Soviet; gli edifici sono brani di una città infinita che si estende fino agli Urali, ma anche ipotesi concrete di una nuova Mosca che si realizzerà secondo quelle direttrici solo nel secolo successivo. Anche la “caccia all’uomo” che si scatena contro Leonidov una volta che il potere di Stalin si estende anche sull’architettura sovietica è esemplare della topografia di un nuovo potere. La distruzione delle scuole di architettura, lo sradicamento delle connessioni con le avanguardie europee, l’emarginazione degli autori per la creazione di grandi collettivi di progettazione senza volto, sono il portato di una classe dirigente che opera non solo per l’annullamento di un’ipotesi avanguardista per l’architettura, ma per il fallimento del proprio paese. Dell’opera di Leonidov, “il codice genetico dell’architettura moderna” secondo la celebre definizione di Rem Koolhaas, restano pochissimi disegni e il fascino di questi oggetti architettonici che sembrano obbedire solo alle leggi universali della gravitazione in elegantissime orbite urbane e che continuano ad apparire supermoderni anche a novant’anni dalla loro creazione.

Ivan Leonidov. Ascesa e caduta

Luca Lanini
2018-01-01

Abstract

La parabola professionale e umana di Ivan Leonidov è una grande metafora sia per l’esperienza dell’architettura moderna che per la storia dell’avanguardia russa del Novecento. Autore dotato di straordinaria capacità visionaria, di immenso talento grafico, di grandi nozioni tecniche e costruttive, la sua vicenda mette in scena tutte le contraddizioni delle possibili relazioni tra politica, società e architettura. Dal precocissimo esordio con i progetti per la sede dell’Izvestia e dell’Istituto Lenin, fino all’ultima difesa, con l’edificio del Narkomtjažprom, contro l’involuzione realsocialista dell’architettura sovietica, tutti i suoi progetti sono indirizzati alla ridefinizione radicale di specifici temi di architettura, in vista della costruzione della coscienza e della città dell’“uomo nuovo”. A questo fine sono piegate le risorse dell’architettura moderna: la pianta libera è reimmaginata in termini che settant’anni dopo verranno definiti “generici”; le tecniche costruttive diventano metafora della “liberazione del lavoro” del paese dei Soviet; gli edifici sono brani di una città infinita che si estende fino agli Urali, ma anche ipotesi concrete di una nuova Mosca che si realizzerà secondo quelle direttrici solo nel secolo successivo. Anche la “caccia all’uomo” che si scatena contro Leonidov una volta che il potere di Stalin si estende anche sull’architettura sovietica è esemplare della topografia di un nuovo potere. La distruzione delle scuole di architettura, lo sradicamento delle connessioni con le avanguardie europee, l’emarginazione degli autori per la creazione di grandi collettivi di progettazione senza volto, sono il portato di una classe dirigente che opera non solo per l’annullamento di un’ipotesi avanguardista per l’architettura, ma per il fallimento del proprio paese. Dell’opera di Leonidov, “il codice genetico dell’architettura moderna” secondo la celebre definizione di Rem Koolhaas, restano pochissimi disegni e il fascino di questi oggetti architettonici che sembrano obbedire solo alle leggi universali della gravitazione in elegantissime orbite urbane e che continuano ad apparire supermoderni anche a novant’anni dalla loro creazione.
2018
Lanini, Luca
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