Gli edifici e i programmi per Mosca dell’avanguardia sovietica – costruttivismo, suprematismo, cubofuturismo, produttivismo, disurbanismo, etc – a cavallo degli anni ’20 e ’30 del Novecento hanno dispiegato i suoi effetti su tutto il ventesimo secolo e sta prolungando la sua straordinaria fascinazione anche nel nuovo. Soprattutto dal punto di vista dell’architettura e della città. Architetture che non sono state in grado, o lo sono state solo in parte, di costruire la Mosca capitale dei Soviet e che invece ritornano per edificare altre città, come è spesso accaduto nella storia urbana per architetture di grande potenza simbolica ed evocativa. Il senso della mostra La città d’acciaio. Mosca costruttivista 1917-1937, è proprio questo: da una parte costruire un piccolo archivio, destinato però ad ampliarsi, che restituisca alla loro dimensione reale ed oggettuale queste architetture, spesso solo conosciute e citate a partire da disegni scarsamente intellegibili, talvolta andati perduti durante quel terribile periodo della storia russa e dei quali restano poche, confuse fotografie. Dall’altro verificare come Mosca sarebbe cambiata, nei suoi caratteri morfologici, nella sua dimensione urbana se, in una delle tante sliding doors della storia, fosse stata costruita dalle avanguardie e non dal classicismo realsocialista che finì per diventare lo stile unico del totalitarismo staliniano, liquidando ogni altra opzione linguistica. Un processo di costruzione alternativa della città – una Mosca “analoga” – che in realtà, sia pure in forma latente, è sempre stato in atto, perché le architetture di Lissitsky, di Mel’nikov, di Leonidov, dei fratelli Vesnin avevano chiaramente predetto assi, temi e questioni che lo sviluppo di questa grande metropoli euroasiatica avrebbe fatalmente finito per affrontare nei cento anni a venire.

La Città d'Acciaio. Mosca Costruttivista 1917-1937

Luca Lanini
2018-01-01

Abstract

Gli edifici e i programmi per Mosca dell’avanguardia sovietica – costruttivismo, suprematismo, cubofuturismo, produttivismo, disurbanismo, etc – a cavallo degli anni ’20 e ’30 del Novecento hanno dispiegato i suoi effetti su tutto il ventesimo secolo e sta prolungando la sua straordinaria fascinazione anche nel nuovo. Soprattutto dal punto di vista dell’architettura e della città. Architetture che non sono state in grado, o lo sono state solo in parte, di costruire la Mosca capitale dei Soviet e che invece ritornano per edificare altre città, come è spesso accaduto nella storia urbana per architetture di grande potenza simbolica ed evocativa. Il senso della mostra La città d’acciaio. Mosca costruttivista 1917-1937, è proprio questo: da una parte costruire un piccolo archivio, destinato però ad ampliarsi, che restituisca alla loro dimensione reale ed oggettuale queste architetture, spesso solo conosciute e citate a partire da disegni scarsamente intellegibili, talvolta andati perduti durante quel terribile periodo della storia russa e dei quali restano poche, confuse fotografie. Dall’altro verificare come Mosca sarebbe cambiata, nei suoi caratteri morfologici, nella sua dimensione urbana se, in una delle tante sliding doors della storia, fosse stata costruita dalle avanguardie e non dal classicismo realsocialista che finì per diventare lo stile unico del totalitarismo staliniano, liquidando ogni altra opzione linguistica. Un processo di costruzione alternativa della città – una Mosca “analoga” – che in realtà, sia pure in forma latente, è sempre stato in atto, perché le architetture di Lissitsky, di Mel’nikov, di Leonidov, dei fratelli Vesnin avevano chiaramente predetto assi, temi e questioni che lo sviluppo di questa grande metropoli euroasiatica avrebbe fatalmente finito per affrontare nei cento anni a venire.
2018
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