Il controllo giudiziario sulla gestione della società per azioni si pone nell’ambito di quegli istituti giuridici che, oltre a regolare attività economiche, si spingono sino a disciplinare il rapporto tra intervento dello Stato e libertà di esercitare quelle attività: come tale, risente necessariamente del contesto socio-economico di riferimento e delle istanze di politica del diritto che da quel contesto dovessero emergere. Non potrebbe essere altrimenti. Anche singolarmente considerata, la società per azioni è infatti in grado di coinvolgere non solo una pluralità di interessi privati, ma anche molteplici interessi pubblici, spesso in conflitto, i cui titolari non sono sempre in grado di tutelarli (e di tutelarsi) adeguatamente e in autonomia. La presenza nella società per azioni di interessi privati e pubblici anche in conflitto tra loro ha tradizionalmente indotto il legislatore a sottoporre la gestione sociale ad un complesso reticolo di controlli, innanzitutto “privati”, sia interni sia esterni, con il fine di monitorare – a volte – il merito della gestione e – più spesso – la legittimità dell’amministrazione o comunque la sua regolarità. Tuttavia, il dato storico ha mostrato come – per quanto capillari e formalmente indipendenti – i controlli privati siano comunque riconducibili direttamente o indirettamente al gruppo di comando e non riescano quindi a tutelare adeguatamente gli interessi dei soci di minoranza e dei terzi lato sensu intesi. Gli ordinamenti giuridici tendono quindi a predisporre anche un sistema di controlli “pubblici” e ovviamente esterni, con l’obiettivo di porre un argine a quello che la letteratura scientifica qualifica come un vero e proprio fallimento di mercato: tali controlli sono generalmente affidati alla pubblica amministrazione o all’autorità giudiziaria ovvero in parte all’una e in parte all’altra. Le ragioni della presenza nel nostro ordinamento dell’istituto del controllo giudiziario sulla gestione della società per azioni sono allora da individuarsi nelle medesime ragioni – anche economiche – che giustificano una regolamentazione e una vigilanza da parte dello Stato sull’attività di impresa e che – nel nostro ordinamento – trovano riconoscimento nell’art. 41 della Carta costituzionale. Com’è noto, la fonte primaria della disciplina del controllo giudiziario sulla gestione della società per azioni è invece contenuta all’art. 2409 c.c.. Tradizionalmente, il dibattito intorno all’art. 2409 c.c. è stato intenso sia in dottrina sia in giurisprudenza. La circostanza è soprattutto vera con riferimento al periodo antecedente alla riforma del diritto societario del 2003. Prima della riforma del 2003, l’articolazione dell’istituto consentiva ai soggetti legittimati di ricorrere alla denuncia al tribunale in modo spesso strumentale e senza particolari filtri, così da rendere la casistica giurisprudenziale particolarmente ricca e conseguentemente ricco anche il dibattito dottrinale: il dibattito ha riguardato soprattutto quale fosse l’interesse autenticamente tutelato dalla norma e quale fosse la sua funzione, anche in ragione delle innumerevoli disposizioni speciali che richiamavano – e richiamano tuttora – l’art. 2409 c.c. in modo peraltro disordinato e tale da impedire una sicura ricostruzione sistematica. Con la riforma del 2003, si è sostenuto che l’istituto sia stato indebolito al fine di evitare che i soggetti legittimati potessero ricorrervi con finalità di mero disturbo: il ricorso ad esso si è quindi statisticamente ridotto e il dibattito sui tradizionali temi di interesse si è affievolito, ma si è acceso su nuovi versanti, non chiariti dalle modalità con le quali la riforma è intervenuta sul punto. Prima della riforma del 2003, la circostanza che la società per azioni fosse configurata come paradigma delle società di capitali ha infatti reso estendibile l’art. 2409 c.c. sia alla società in accomandita per azioni sia alla società a responsabilità limitata, con esclusione di qualsiasi applicabilità alle società di persone e con il solo dubbio circa una residuale applicabilità alle società cooperative. Con la riforma del 2003, il Governo ha risolto in senso affermativo il dubbio circa l’estensione dell’art. 2409 c.c. alle società cooperative, ma ha aperto ulteriori fronti di discussione perché, pur mantenendo la denuncia al tribunale per le società in accomandita per azioni, l’ha esclusa per le società a responsabilità limitata, senza che ciò fosse richiesto dalla delega conferitagli dal Parlamento e motivando la propria scelta solo nella Relazione illustrativa, sul presupposto che il controllo giudiziario per la società a responsabilità limitata sarebbe stato superfluo, a causa della sovrapponibilità del rimedio con quelli offerti dal nuovo art. 2476 c.c.. Sull’applicabilità dell’art. 2409 c.c. alle società a responsabilità limitata si è quindi acceso un diverso dibattito anche in ragione della costante presenza di numerose disposizioni speciali in materia, le quali – spesso – contraddicono la norma generale e ne ampliano il relativo ambito di applicazione, sulla scorta di ragioni non sempre cristalline: dopo diversi contributi dottrinali, il dibattito pareva comunque destinato a sopirsi anche in seguito ad alcune pronunce della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale, che parevano essere risolutive. Senonché, il dibattito intorno alla soluzione dei vari problemi posti dall’art. 2409 c.c. e dal sistema normativo che da esso trae origine pare oggi destinato a riprendere vita. Dopo oltre un decennio (l’ultimo intervento normativo in materia risale infatti alla legge sulla tutela del risparmio del 2005, che ha inserito nel corpo del testo unico della finanza l’art. 165-ter), il legislatore si è nuovamente occupato dell’istituto e ha adottato tre distinti provvedimenti, destinati a generare discussioni che potrebbero non limitarsi a risolvere puntuali problemi applicativi, ma potrebbero spingere gli interpreti ad interrogarsi se i risultati faticosamente raggiunti sul piano dogmatico non siano – in realtà – da porre nuovamente in discussione. La prima novità è stata introdotta nel 2016 dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, il quale – dopo aver previsto che, nelle società a controllo pubblico, ciascuna amministrazione pubblica socia è legittimata a presentare la denuncia ex art. 2409 c.c. indipendentemente dall’entità della partecipazione di cui è titolare – ha disposto che la disciplina di cui all’art. 2409 c.c. debba essere applicata alle società a controllo pubblico anche quando esse siano costituite in forma di società a responsabilità limitata: il legislatore ha introdotto quindi una nuova eccezione al canone generale della non applicabilità dell’art. 2409 c.c. alle società a responsabilità limitata. La seconda novità è stata introdotta nel 2017 dal codice del terzo settore, il quale ha previsto che la disciplina di cui all’art. 2409 c.c. possa essere applicata anche alle associazioni e alle fondazioni del terzo settore, aprendo nuovamente la riflessione sulla reale ampiezza dell’ambito di applicazione dell’istituto: è infatti evidente che prevedere l’estensione dell’istituto del controllo giudiziario sulla gestione anche ad enti che, non solo non sono né società di capitali né società cooperative, ma non sono neanche “società in generale”, apre la possibilità che esistano argomenti per sostenere che l’ambito di applicazione dell’istituto sia in realtà molto più ampio di ciò che – sino ad oggi – si è stati soliti sostenere. La terza novità è oggetto della riforma in atto delle procedure concorsuali, la quale prevede che il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza contenga al suo interno anche alcune modifiche al codice civile, tra le quali emerge l’estensione della disciplina di cui all’art. 2409 c.c. anche – e di nuovo – alle società a responsabilità limitata, andando quindi a modificare una delle milestones della riforma del 2003 e andando conseguentemente a chiudere in senso affermativo il dibattito intorno all’applicabilità o meno dell’istituto del controllo giudiziario sulla gestione alla società a responsabilità limitata: tuttavia, le posizioni che negli anni si sono confrontate e alternate e il contesto nel quale questa novità ha preso forma non possono essere tralasciate. La determinazione ad estendere il controllo giudiziario sulla gestione anche alle società a responsabilità limitata prende corpo all’interno di una riforma delle procedure concorsuali. Il contesto è quindi quello delle riflessioni condotte non tanto nell’ambito del diritto societario “comune”, quanto del diritto “speciale” della crisi di impresa e questo – si vedrà – è un canone interpretativo di non poco conto che può condurre – coordinato con le altre novità citate – ad aperture sistematiche non del tutto scontate. In prima approssimazione, l’estensione dell’art. 2409 c.c. alla società a responsabilità limitata rivela infatti solo come l’interesse generale tutelato dalla norma (qui individuato nell’interesse a prevenire i pericoli derivanti da irregolarità gestorie e a dissuadere gli amministratori dal porre in essere condotte irregolari, qui ritenuto trasversale non solo alla società per azioni di diritto comune, ma anche a tutti gli enti di diritto comune e di diritto speciale cui l’art. 2409 c.c. è applicabile) sia stato ritenuto nuovamente trasversale anche – e appunto – alla società a responsabilità limitata di diritto comune. In seconda approssimazione, l’estensione dell’art. 2409 c.c. alla società a responsabilità limitata impone tuttavia che si tenga anche conto del contesto riformatore nel quale è inserita e ciò consentirà di sostenere come la ratio della nuova disciplina sia quella di concorrere alla rilevazione tempestiva e alla trattazione precoce della crisi soprattutto nella piccola e media impresa: l’estensione dell’art. 2409 c.c. alla società a responsabilità limitata contribuirà cioè a specificare meglio quale sia l’interesse generale direttamente tutelato dall’istituto del controllo giudiziario nel suo complesso e – così facendo – lo amplierà sino a renderlo meritevole di tutela e dunque trasversale non solo agli enti di diritto comune e di diritto speciale già espressamente regolati, ma anche ad enti di diritto comune diversi che, secondo l’impostazione che sarà adottata, dovranno essere almeno caratterizzati da (i) organizzazione collettiva, (ii) esercizio di attività di impresa e (iii) nesso tra irregolarità gestoria e crisi patrimoniale dell’ente. È infatti ragionevole sostenere che è in corso un processo di “ri-codificazione” dei princìpi che sono posti a fondamento dell’istituto del controllo giudiziario sulla gestione, cui sta corrispondendo un processo di espansione del relativo ambito di applicazione, da ciò potendo ulteriormente desumere come, sull’individuazione dei problemi posti dall’istituto nel suo complesso e sull’elaborazione delle relative soluzioni, incidano congiuntamente non solo il “tipo” organizzativo prescelto per l’ente e l’“attività” esercitata dall’ente, ma anche un nuovo elemento, rappresentato dal sopravvenuto “contesto” di allerta aziendale. I condizionamenti socio-economici e di politica del diritto, l’evoluzione nel tempo e nello spazio dell’istituto, la frammentazione del sistema, la centralità al suo interno dell’art. 2409 c.c., le recenti novità e la loro collocazione all’interno del contesto della crisi di impresa e della più ampia e persistente crisi economico-finanziaria costituiscono quindi le basi di una riflessione sul controllo giudiziario sulla gestione non solo della società per azioni di diritto comune, ma anche degli altri enti di diritto comune e di diritto speciale, che dovrebbe condurre a proporre senz’altro alcune soluzioni a determinati problemi applicativi, ma dovrebbe anche offrire il destro per un tentativo di ricostruire la ratio stessa dell’istituto, e quindi di interrogarsi su quale sia – oggi – l’interesse tutelato e il relativo ambito di applicazione, così come la disciplina di volta in volta applicabile. Ciò, al duplice fine di comprendere se il controllo giudiziario sulla gestione possa anche configurarsi come uno strumento di corporate governance e possa quindi assurgere non solo a disposizione caratterizzante il nostro sistema capitalistico, ma anche a possibile principio (generale?) del nostro ordinamento giuridico.

Controllo giudiziario sulla gestione e forme collettive di esercizio dell’impresa. Tipi, attività e contesto di allerta aziendale

Benocci Alessandro
2019-01-01

Abstract

Il controllo giudiziario sulla gestione della società per azioni si pone nell’ambito di quegli istituti giuridici che, oltre a regolare attività economiche, si spingono sino a disciplinare il rapporto tra intervento dello Stato e libertà di esercitare quelle attività: come tale, risente necessariamente del contesto socio-economico di riferimento e delle istanze di politica del diritto che da quel contesto dovessero emergere. Non potrebbe essere altrimenti. Anche singolarmente considerata, la società per azioni è infatti in grado di coinvolgere non solo una pluralità di interessi privati, ma anche molteplici interessi pubblici, spesso in conflitto, i cui titolari non sono sempre in grado di tutelarli (e di tutelarsi) adeguatamente e in autonomia. La presenza nella società per azioni di interessi privati e pubblici anche in conflitto tra loro ha tradizionalmente indotto il legislatore a sottoporre la gestione sociale ad un complesso reticolo di controlli, innanzitutto “privati”, sia interni sia esterni, con il fine di monitorare – a volte – il merito della gestione e – più spesso – la legittimità dell’amministrazione o comunque la sua regolarità. Tuttavia, il dato storico ha mostrato come – per quanto capillari e formalmente indipendenti – i controlli privati siano comunque riconducibili direttamente o indirettamente al gruppo di comando e non riescano quindi a tutelare adeguatamente gli interessi dei soci di minoranza e dei terzi lato sensu intesi. Gli ordinamenti giuridici tendono quindi a predisporre anche un sistema di controlli “pubblici” e ovviamente esterni, con l’obiettivo di porre un argine a quello che la letteratura scientifica qualifica come un vero e proprio fallimento di mercato: tali controlli sono generalmente affidati alla pubblica amministrazione o all’autorità giudiziaria ovvero in parte all’una e in parte all’altra. Le ragioni della presenza nel nostro ordinamento dell’istituto del controllo giudiziario sulla gestione della società per azioni sono allora da individuarsi nelle medesime ragioni – anche economiche – che giustificano una regolamentazione e una vigilanza da parte dello Stato sull’attività di impresa e che – nel nostro ordinamento – trovano riconoscimento nell’art. 41 della Carta costituzionale. Com’è noto, la fonte primaria della disciplina del controllo giudiziario sulla gestione della società per azioni è invece contenuta all’art. 2409 c.c.. Tradizionalmente, il dibattito intorno all’art. 2409 c.c. è stato intenso sia in dottrina sia in giurisprudenza. La circostanza è soprattutto vera con riferimento al periodo antecedente alla riforma del diritto societario del 2003. Prima della riforma del 2003, l’articolazione dell’istituto consentiva ai soggetti legittimati di ricorrere alla denuncia al tribunale in modo spesso strumentale e senza particolari filtri, così da rendere la casistica giurisprudenziale particolarmente ricca e conseguentemente ricco anche il dibattito dottrinale: il dibattito ha riguardato soprattutto quale fosse l’interesse autenticamente tutelato dalla norma e quale fosse la sua funzione, anche in ragione delle innumerevoli disposizioni speciali che richiamavano – e richiamano tuttora – l’art. 2409 c.c. in modo peraltro disordinato e tale da impedire una sicura ricostruzione sistematica. Con la riforma del 2003, si è sostenuto che l’istituto sia stato indebolito al fine di evitare che i soggetti legittimati potessero ricorrervi con finalità di mero disturbo: il ricorso ad esso si è quindi statisticamente ridotto e il dibattito sui tradizionali temi di interesse si è affievolito, ma si è acceso su nuovi versanti, non chiariti dalle modalità con le quali la riforma è intervenuta sul punto. Prima della riforma del 2003, la circostanza che la società per azioni fosse configurata come paradigma delle società di capitali ha infatti reso estendibile l’art. 2409 c.c. sia alla società in accomandita per azioni sia alla società a responsabilità limitata, con esclusione di qualsiasi applicabilità alle società di persone e con il solo dubbio circa una residuale applicabilità alle società cooperative. Con la riforma del 2003, il Governo ha risolto in senso affermativo il dubbio circa l’estensione dell’art. 2409 c.c. alle società cooperative, ma ha aperto ulteriori fronti di discussione perché, pur mantenendo la denuncia al tribunale per le società in accomandita per azioni, l’ha esclusa per le società a responsabilità limitata, senza che ciò fosse richiesto dalla delega conferitagli dal Parlamento e motivando la propria scelta solo nella Relazione illustrativa, sul presupposto che il controllo giudiziario per la società a responsabilità limitata sarebbe stato superfluo, a causa della sovrapponibilità del rimedio con quelli offerti dal nuovo art. 2476 c.c.. Sull’applicabilità dell’art. 2409 c.c. alle società a responsabilità limitata si è quindi acceso un diverso dibattito anche in ragione della costante presenza di numerose disposizioni speciali in materia, le quali – spesso – contraddicono la norma generale e ne ampliano il relativo ambito di applicazione, sulla scorta di ragioni non sempre cristalline: dopo diversi contributi dottrinali, il dibattito pareva comunque destinato a sopirsi anche in seguito ad alcune pronunce della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale, che parevano essere risolutive. Senonché, il dibattito intorno alla soluzione dei vari problemi posti dall’art. 2409 c.c. e dal sistema normativo che da esso trae origine pare oggi destinato a riprendere vita. Dopo oltre un decennio (l’ultimo intervento normativo in materia risale infatti alla legge sulla tutela del risparmio del 2005, che ha inserito nel corpo del testo unico della finanza l’art. 165-ter), il legislatore si è nuovamente occupato dell’istituto e ha adottato tre distinti provvedimenti, destinati a generare discussioni che potrebbero non limitarsi a risolvere puntuali problemi applicativi, ma potrebbero spingere gli interpreti ad interrogarsi se i risultati faticosamente raggiunti sul piano dogmatico non siano – in realtà – da porre nuovamente in discussione. La prima novità è stata introdotta nel 2016 dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, il quale – dopo aver previsto che, nelle società a controllo pubblico, ciascuna amministrazione pubblica socia è legittimata a presentare la denuncia ex art. 2409 c.c. indipendentemente dall’entità della partecipazione di cui è titolare – ha disposto che la disciplina di cui all’art. 2409 c.c. debba essere applicata alle società a controllo pubblico anche quando esse siano costituite in forma di società a responsabilità limitata: il legislatore ha introdotto quindi una nuova eccezione al canone generale della non applicabilità dell’art. 2409 c.c. alle società a responsabilità limitata. La seconda novità è stata introdotta nel 2017 dal codice del terzo settore, il quale ha previsto che la disciplina di cui all’art. 2409 c.c. possa essere applicata anche alle associazioni e alle fondazioni del terzo settore, aprendo nuovamente la riflessione sulla reale ampiezza dell’ambito di applicazione dell’istituto: è infatti evidente che prevedere l’estensione dell’istituto del controllo giudiziario sulla gestione anche ad enti che, non solo non sono né società di capitali né società cooperative, ma non sono neanche “società in generale”, apre la possibilità che esistano argomenti per sostenere che l’ambito di applicazione dell’istituto sia in realtà molto più ampio di ciò che – sino ad oggi – si è stati soliti sostenere. La terza novità è oggetto della riforma in atto delle procedure concorsuali, la quale prevede che il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza contenga al suo interno anche alcune modifiche al codice civile, tra le quali emerge l’estensione della disciplina di cui all’art. 2409 c.c. anche – e di nuovo – alle società a responsabilità limitata, andando quindi a modificare una delle milestones della riforma del 2003 e andando conseguentemente a chiudere in senso affermativo il dibattito intorno all’applicabilità o meno dell’istituto del controllo giudiziario sulla gestione alla società a responsabilità limitata: tuttavia, le posizioni che negli anni si sono confrontate e alternate e il contesto nel quale questa novità ha preso forma non possono essere tralasciate. La determinazione ad estendere il controllo giudiziario sulla gestione anche alle società a responsabilità limitata prende corpo all’interno di una riforma delle procedure concorsuali. Il contesto è quindi quello delle riflessioni condotte non tanto nell’ambito del diritto societario “comune”, quanto del diritto “speciale” della crisi di impresa e questo – si vedrà – è un canone interpretativo di non poco conto che può condurre – coordinato con le altre novità citate – ad aperture sistematiche non del tutto scontate. In prima approssimazione, l’estensione dell’art. 2409 c.c. alla società a responsabilità limitata rivela infatti solo come l’interesse generale tutelato dalla norma (qui individuato nell’interesse a prevenire i pericoli derivanti da irregolarità gestorie e a dissuadere gli amministratori dal porre in essere condotte irregolari, qui ritenuto trasversale non solo alla società per azioni di diritto comune, ma anche a tutti gli enti di diritto comune e di diritto speciale cui l’art. 2409 c.c. è applicabile) sia stato ritenuto nuovamente trasversale anche – e appunto – alla società a responsabilità limitata di diritto comune. In seconda approssimazione, l’estensione dell’art. 2409 c.c. alla società a responsabilità limitata impone tuttavia che si tenga anche conto del contesto riformatore nel quale è inserita e ciò consentirà di sostenere come la ratio della nuova disciplina sia quella di concorrere alla rilevazione tempestiva e alla trattazione precoce della crisi soprattutto nella piccola e media impresa: l’estensione dell’art. 2409 c.c. alla società a responsabilità limitata contribuirà cioè a specificare meglio quale sia l’interesse generale direttamente tutelato dall’istituto del controllo giudiziario nel suo complesso e – così facendo – lo amplierà sino a renderlo meritevole di tutela e dunque trasversale non solo agli enti di diritto comune e di diritto speciale già espressamente regolati, ma anche ad enti di diritto comune diversi che, secondo l’impostazione che sarà adottata, dovranno essere almeno caratterizzati da (i) organizzazione collettiva, (ii) esercizio di attività di impresa e (iii) nesso tra irregolarità gestoria e crisi patrimoniale dell’ente. È infatti ragionevole sostenere che è in corso un processo di “ri-codificazione” dei princìpi che sono posti a fondamento dell’istituto del controllo giudiziario sulla gestione, cui sta corrispondendo un processo di espansione del relativo ambito di applicazione, da ciò potendo ulteriormente desumere come, sull’individuazione dei problemi posti dall’istituto nel suo complesso e sull’elaborazione delle relative soluzioni, incidano congiuntamente non solo il “tipo” organizzativo prescelto per l’ente e l’“attività” esercitata dall’ente, ma anche un nuovo elemento, rappresentato dal sopravvenuto “contesto” di allerta aziendale. I condizionamenti socio-economici e di politica del diritto, l’evoluzione nel tempo e nello spazio dell’istituto, la frammentazione del sistema, la centralità al suo interno dell’art. 2409 c.c., le recenti novità e la loro collocazione all’interno del contesto della crisi di impresa e della più ampia e persistente crisi economico-finanziaria costituiscono quindi le basi di una riflessione sul controllo giudiziario sulla gestione non solo della società per azioni di diritto comune, ma anche degli altri enti di diritto comune e di diritto speciale, che dovrebbe condurre a proporre senz’altro alcune soluzioni a determinati problemi applicativi, ma dovrebbe anche offrire il destro per un tentativo di ricostruire la ratio stessa dell’istituto, e quindi di interrogarsi su quale sia – oggi – l’interesse tutelato e il relativo ambito di applicazione, così come la disciplina di volta in volta applicabile. Ciò, al duplice fine di comprendere se il controllo giudiziario sulla gestione possa anche configurarsi come uno strumento di corporate governance e possa quindi assurgere non solo a disposizione caratterizzante il nostro sistema capitalistico, ma anche a possibile principio (generale?) del nostro ordinamento giuridico.
2019
Benocci, Alessandro
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