In questo contributo si guarda al tema della cittadinanza adottando la peculiare prospettiva fornita dal fenomeno dell’emigrazione di massa, fondamentale crocevia tematico sociale, economico, politico per la storia italiana nel periodo compreso tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e la prima guerra mondiale. In tal senso, è parso opportuno ritornare sul dibattito politico e parlamentare sviluppatosi intorno alla disciplina dello status civitatis degli emigrati, in merito alla quale disponiamo di accurati lavori, basti ricordare gli studi di Guido Tintori, Carlo Bersani, Sabina Donati. Ci si sofferma, in particolare, su alcune posizioni emerse all’interno della variegata galassia del liberalismo, articolatesi seguendo un itinerario che passò attraverso snodi istituzionali cruciali per la storia della cittadinanza e dell’emigrazione nel periodo preso in esame, quali la legge sull’emigrazione del 1901, la legge sulla concessione della cittadinanza del 1906, la legge sulla cittadinanza del 1912. Nel procedere in questo percorso, si è riconosciuta un’attenzione speciale al pensiero di Sidney Sonnino, facendo ricorso anche alla documentazione custodita presso l’Archivio Sonnino di Montespertoli. Com’è facilmente intuibile, Sonnino può essere considerato una figura emblematica che può fungere da punto di riferimento per un’analisi in profondità delle implicazioni, e delle ricadute, del dibattito politico-giuridico e dei processi di elaborazione legislativa relativi alla disciplina della cittadinanza degli emigrati: fu tra i principali deus ex machina della legge del 1901, fu artefice della legge del 1906, e, più in generale, tentò di promuovere una visione strategica dell’emigrazione all’interno della quale la questione della cittadinanza degli italiani trasferitisi all’estero possedesse un rilievo determinante. La connessione tra politiche della cittadinanza e politiche dell’emigrazione chiamava – evidentemente – in causa gli orizzonti della politica estera italiana. L’idea di un possibile colonialismo “indiretto”, attuato valorizzando i legami tra la “madrepatria” e le cospicue comunità degli italiani all’estero, si trovò presto a competere con il progressivo affermarsi del paradigma dell’imperialismo coloniale, alimentato da un nazionalismo più aggressivo. Le due divergenti tendenze avrebbero inevitabilmente influenzato le scelte riguardanti quella particolare categoria di sudditi italiani costituita da coloro che risiedevano all’estero.
Una doppia cittadinanza per gli emigrati? I liberali italiani tra tentativi di riforma e resistenze (1890-1912)
Alessandro Breccia
2019-01-01
Abstract
In questo contributo si guarda al tema della cittadinanza adottando la peculiare prospettiva fornita dal fenomeno dell’emigrazione di massa, fondamentale crocevia tematico sociale, economico, politico per la storia italiana nel periodo compreso tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e la prima guerra mondiale. In tal senso, è parso opportuno ritornare sul dibattito politico e parlamentare sviluppatosi intorno alla disciplina dello status civitatis degli emigrati, in merito alla quale disponiamo di accurati lavori, basti ricordare gli studi di Guido Tintori, Carlo Bersani, Sabina Donati. Ci si sofferma, in particolare, su alcune posizioni emerse all’interno della variegata galassia del liberalismo, articolatesi seguendo un itinerario che passò attraverso snodi istituzionali cruciali per la storia della cittadinanza e dell’emigrazione nel periodo preso in esame, quali la legge sull’emigrazione del 1901, la legge sulla concessione della cittadinanza del 1906, la legge sulla cittadinanza del 1912. Nel procedere in questo percorso, si è riconosciuta un’attenzione speciale al pensiero di Sidney Sonnino, facendo ricorso anche alla documentazione custodita presso l’Archivio Sonnino di Montespertoli. Com’è facilmente intuibile, Sonnino può essere considerato una figura emblematica che può fungere da punto di riferimento per un’analisi in profondità delle implicazioni, e delle ricadute, del dibattito politico-giuridico e dei processi di elaborazione legislativa relativi alla disciplina della cittadinanza degli emigrati: fu tra i principali deus ex machina della legge del 1901, fu artefice della legge del 1906, e, più in generale, tentò di promuovere una visione strategica dell’emigrazione all’interno della quale la questione della cittadinanza degli italiani trasferitisi all’estero possedesse un rilievo determinante. La connessione tra politiche della cittadinanza e politiche dell’emigrazione chiamava – evidentemente – in causa gli orizzonti della politica estera italiana. L’idea di un possibile colonialismo “indiretto”, attuato valorizzando i legami tra la “madrepatria” e le cospicue comunità degli italiani all’estero, si trovò presto a competere con il progressivo affermarsi del paradigma dell’imperialismo coloniale, alimentato da un nazionalismo più aggressivo. Le due divergenti tendenze avrebbero inevitabilmente influenzato le scelte riguardanti quella particolare categoria di sudditi italiani costituita da coloro che risiedevano all’estero.File | Dimensione | Formato | |
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