I corpi mummificati dei Santi rappresentano una categoria di mummie particolari, utili in particolare per ricostruire dal punto di vista antropologico l’uso dei corpi santi come simbolo di potere e di identità nel mondo cristiano. Il loro studio scientifico è fondamentale per stabilire il processo naturale o artificiale di mummificazione e per indagare lo stato di salute di questi importanti personaggi del passato. In Italia si conoscono molti esempi di mummie di Santi a partire già dal XIII secolo. Uno di questi esempi è rappresentato dal corpo di San Davino Armeno, conservato nell’altare maggiore della basilica di San Michele in Foro a Lucca. Le fonti agiografiche riferiscono che Davino, originario del Regno d’Armenia, giunse a Lucca nell’anno 1050, dopo un lungo pellegrinaggio che lo avrebbe condotto prima a Gerusalemme e poi a Roma, data che è stata onfermata dalla datazione 14C. Nel Medioevo Lucca era una città molto importante lungo la via Francigena, una via di pellegrinaggio che collegava la Francia e il Nord Europa a Roma. Davino era diretto al Santuario di Santiago de Compostela, ma non vi arrivò mai perché morì proprio durante la sua permanenza nella città toscana. Il corpo, conservatosi intatto, divenne presto oggetto di grande venerazione ed è tuttora esposto al culto nell’altare maggiore della Basilica di san Michele, una delle più importanti chiese romaniche di Lucca. Ritenuto il protettore del mal di testa, ancora in tempi recenti i devoti erano soliti indossare il cappello del Santo per chiedere la guarigione da questa frequente patologia. Il corpo mummificato di San Davino Armeno è stato oggetto di studio da parte della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, diretta dalla Prof.ssa Valentina Giuffra, durante una ricognizione canonica promossa dalla Curia Arcivescovile di Lucca e condotta nel marzo 2018 con la supervisione scientifica del Prof. Gino Fornaciari, che ha coordinato l’equipe costituita da Antonio Fornaciari, Valeria Mongelli, Marcello Gambini, il Prof. Davide Caramella, radiologo dell’Università di Pisa, e il Dr. Luca Melai, radiologo presso la Casa di Cura Barbantini di Lucca. Lo studio, che ha incluso l’esame macroscopico e la Tomografia Computerizzata (TC) del corpo, ha rivelato trattarsi di un giovane adulto di circa 25 anni, alto circa 1 metro e 70. Si tratta di una mummia naturale parzialmente scheletrizzata: la cute e i tessuti molli si conservano solo in corrispondenza degli arti superiori e inferiori e parzialmente nella regione pubica. Nel XVI-XVII secolo il corpo fu ricomposto per l'esposizione liturgica e il viso fu restaurato con garza e materiale ceroso, mentre le ossa del torace e del bacino vennero ricomposte con sottili fili metallici. La tomografia computerizzata (TC) ha rivelato la parziale conservazione del cervello nella fossa cranica posteriore e i resti del retto, della prostata e dei genitali esterni. Lo studio dei denti ha rivelato una carie penetrante del secondo molare superiore destro e malattia parodontale diffusa, con riassorbimento alveolare parziale dei denti anteriori e accumulo di tartaro sul lato linguale degli incisivi inferiori. Le inserzioni muscolari degli arti superiori e inferiori dimostrano una intensa attività muscolare e, in particolare, la pratica dell’equitazione che fa pensare ad un passato di cavaliere. Segni di periostite, un’infezione superficiale dell’osso, sono evidenti su tibie e fibule. Ma la scoperta più interessante emersa dallo studio è stata la presenza di due lesioni traumatiche del cranio. Si tratta degli esiti di una ferita da fendente sulla parte sinistra del frontale della lunghezza di circa 5 cm, prodotta da una lama dentata, e di una frattura penetrante da impatto di forma ellittica in corrispondenza del tratto di destra della sutura coronale. Entrambe le lesioni mostravano segni di lunga sopravvivenza. In conclusione Davino era stato ferito probabilmente con una spada e verosimilmente anche con un “martello d’arme”, che gli aveva gravemente lesionato il cranio, senza causarne il decesso, lasciando segni evidenti di una vita esposta a episodi di violenza e molto verosimilmente a combattimenti. La scoperta più sorprendente è stata però la presenza di una cicatrice di forma pentagonale con margini sottili intorno alla frattura depressa, interpretabile come il segno lasciato da un cauterio a testa pentagonale, applicato probabilmente per arrestare l’emorragia dopo la toilette chirurgica della ferita. Se ne deve concludere che Davino fu sottoposto a cure professionali da parte di un medico o di un chirurgo che seguì le prescrizioni in uso al suo tempo per il trattamento delle ferite craniche. La medicina medievale bizantina e araba faceva ampio uso del cauterio, ossia di un ferro rovente da applicare ad una lesione o ad una ferita a scopo terapeutico. La dottrina medico-chirurgica prevedeva in moltissimi casi il ricorso alla cauterizzazione, per arrestare l’emorragia e ridurre l’eventuale infezione. Infatti, uno dei maggiori chirurghi arabi dell’XI secolo, lo spagnolo Albucasis, nel celebre trattato al-Taṣrīf descrive dettagliatamente le modalità d’uso del cauterio. I cauteri avevano forma variabile: rotondi, a oliva, quadrati o poligonali, a seconda del loro impiego e dello scopo dell’intervento, ma nonostante le numerose attestazioni degli scritti medici, gli esempi di cauterizzazione diagnosticati direttamente sui resti umani antichi sono solo due, compreso il caso di San Davino. È anche la prima volta in paleopatologia che l’uso medievale del cauterio viene documentato in relazione al trattamento chirurgico di un trauma cranico. Lo studio è stato ritenuto così interessante, dal punto di vista paleopatologico e storico-medico, da essere pubblicato sulla prestigiosa rivista “The Lancet”. Il ritrovamento delle ferite craniche di San Davino potrebbe anche spiegare la tradizione popolare che vede Davino come il Santo invocato per la guarigione del mal di testa. È interessante aver trovato sul cranio del Santo l’evidenza di due gravi traumi cranici, di cui uno con evidenza di trattamento medico. È evidente che Davino soffrì di gravi emicranie a seguito dei traumi e che, per questo motivo, la tradizione ha una relazione con episodi della vita del Santo realmente accaduti.

Storia di san Davino salvato dalla… chirurgia

Fornaciari Gino
Primo
Writing – Review & Editing
2020-01-01

Abstract

I corpi mummificati dei Santi rappresentano una categoria di mummie particolari, utili in particolare per ricostruire dal punto di vista antropologico l’uso dei corpi santi come simbolo di potere e di identità nel mondo cristiano. Il loro studio scientifico è fondamentale per stabilire il processo naturale o artificiale di mummificazione e per indagare lo stato di salute di questi importanti personaggi del passato. In Italia si conoscono molti esempi di mummie di Santi a partire già dal XIII secolo. Uno di questi esempi è rappresentato dal corpo di San Davino Armeno, conservato nell’altare maggiore della basilica di San Michele in Foro a Lucca. Le fonti agiografiche riferiscono che Davino, originario del Regno d’Armenia, giunse a Lucca nell’anno 1050, dopo un lungo pellegrinaggio che lo avrebbe condotto prima a Gerusalemme e poi a Roma, data che è stata onfermata dalla datazione 14C. Nel Medioevo Lucca era una città molto importante lungo la via Francigena, una via di pellegrinaggio che collegava la Francia e il Nord Europa a Roma. Davino era diretto al Santuario di Santiago de Compostela, ma non vi arrivò mai perché morì proprio durante la sua permanenza nella città toscana. Il corpo, conservatosi intatto, divenne presto oggetto di grande venerazione ed è tuttora esposto al culto nell’altare maggiore della Basilica di san Michele, una delle più importanti chiese romaniche di Lucca. Ritenuto il protettore del mal di testa, ancora in tempi recenti i devoti erano soliti indossare il cappello del Santo per chiedere la guarigione da questa frequente patologia. Il corpo mummificato di San Davino Armeno è stato oggetto di studio da parte della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, diretta dalla Prof.ssa Valentina Giuffra, durante una ricognizione canonica promossa dalla Curia Arcivescovile di Lucca e condotta nel marzo 2018 con la supervisione scientifica del Prof. Gino Fornaciari, che ha coordinato l’equipe costituita da Antonio Fornaciari, Valeria Mongelli, Marcello Gambini, il Prof. Davide Caramella, radiologo dell’Università di Pisa, e il Dr. Luca Melai, radiologo presso la Casa di Cura Barbantini di Lucca. Lo studio, che ha incluso l’esame macroscopico e la Tomografia Computerizzata (TC) del corpo, ha rivelato trattarsi di un giovane adulto di circa 25 anni, alto circa 1 metro e 70. Si tratta di una mummia naturale parzialmente scheletrizzata: la cute e i tessuti molli si conservano solo in corrispondenza degli arti superiori e inferiori e parzialmente nella regione pubica. Nel XVI-XVII secolo il corpo fu ricomposto per l'esposizione liturgica e il viso fu restaurato con garza e materiale ceroso, mentre le ossa del torace e del bacino vennero ricomposte con sottili fili metallici. La tomografia computerizzata (TC) ha rivelato la parziale conservazione del cervello nella fossa cranica posteriore e i resti del retto, della prostata e dei genitali esterni. Lo studio dei denti ha rivelato una carie penetrante del secondo molare superiore destro e malattia parodontale diffusa, con riassorbimento alveolare parziale dei denti anteriori e accumulo di tartaro sul lato linguale degli incisivi inferiori. Le inserzioni muscolari degli arti superiori e inferiori dimostrano una intensa attività muscolare e, in particolare, la pratica dell’equitazione che fa pensare ad un passato di cavaliere. Segni di periostite, un’infezione superficiale dell’osso, sono evidenti su tibie e fibule. Ma la scoperta più interessante emersa dallo studio è stata la presenza di due lesioni traumatiche del cranio. Si tratta degli esiti di una ferita da fendente sulla parte sinistra del frontale della lunghezza di circa 5 cm, prodotta da una lama dentata, e di una frattura penetrante da impatto di forma ellittica in corrispondenza del tratto di destra della sutura coronale. Entrambe le lesioni mostravano segni di lunga sopravvivenza. In conclusione Davino era stato ferito probabilmente con una spada e verosimilmente anche con un “martello d’arme”, che gli aveva gravemente lesionato il cranio, senza causarne il decesso, lasciando segni evidenti di una vita esposta a episodi di violenza e molto verosimilmente a combattimenti. La scoperta più sorprendente è stata però la presenza di una cicatrice di forma pentagonale con margini sottili intorno alla frattura depressa, interpretabile come il segno lasciato da un cauterio a testa pentagonale, applicato probabilmente per arrestare l’emorragia dopo la toilette chirurgica della ferita. Se ne deve concludere che Davino fu sottoposto a cure professionali da parte di un medico o di un chirurgo che seguì le prescrizioni in uso al suo tempo per il trattamento delle ferite craniche. La medicina medievale bizantina e araba faceva ampio uso del cauterio, ossia di un ferro rovente da applicare ad una lesione o ad una ferita a scopo terapeutico. La dottrina medico-chirurgica prevedeva in moltissimi casi il ricorso alla cauterizzazione, per arrestare l’emorragia e ridurre l’eventuale infezione. Infatti, uno dei maggiori chirurghi arabi dell’XI secolo, lo spagnolo Albucasis, nel celebre trattato al-Taṣrīf descrive dettagliatamente le modalità d’uso del cauterio. I cauteri avevano forma variabile: rotondi, a oliva, quadrati o poligonali, a seconda del loro impiego e dello scopo dell’intervento, ma nonostante le numerose attestazioni degli scritti medici, gli esempi di cauterizzazione diagnosticati direttamente sui resti umani antichi sono solo due, compreso il caso di San Davino. È anche la prima volta in paleopatologia che l’uso medievale del cauterio viene documentato in relazione al trattamento chirurgico di un trauma cranico. Lo studio è stato ritenuto così interessante, dal punto di vista paleopatologico e storico-medico, da essere pubblicato sulla prestigiosa rivista “The Lancet”. Il ritrovamento delle ferite craniche di San Davino potrebbe anche spiegare la tradizione popolare che vede Davino come il Santo invocato per la guarigione del mal di testa. È interessante aver trovato sul cranio del Santo l’evidenza di due gravi traumi cranici, di cui uno con evidenza di trattamento medico. È evidente che Davino soffrì di gravi emicranie a seguito dei traumi e che, per questo motivo, la tradizione ha una relazione con episodi della vita del Santo realmente accaduti.
2020
Fornaciari, Gino
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
SAN DAVINO Archeologia Viva.pdf

non disponibili

Descrizione: PDF
Tipologia: Versione finale editoriale
Licenza: NON PUBBLICO - accesso privato/ristretto
Dimensione 362.89 kB
Formato Adobe PDF
362.89 kB Adobe PDF   Visualizza/Apri   Richiedi una copia

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/1036602
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact