L'articolo indaga la lettura del mito di Barbablù che emerge dal film opera di Michael Powell "Herzog Blaubarts Burg", prodotto da Norman Foster nel 1963 per la messa in onda televisiva da parte del Süddeutscher Rundfunk. Il film è basato sulla versione tedesca dell'opera di Béla Bartók su libretto ungherese di Béla Balázs, composta nel 1911 e messa in scena per la prima volta a Budapest nel 1918. Del film l'articolo mette inizialmente in luce le peculiarità produttive, la storia del regista fino a quel momento, la drammaturgia dell'opera e il ruolo delle scene di Hein Heckroth. Successivamente l'articolo mostra come le scelte della regia da un lato enfatizzino la componente erotica (le sette porte come altrettanti momenti in cui Blaubart si congiunge a Judith nella prima notte di nozze), mentre dall'altro ne completino creativamente il messaggio rispetto alle peculiarità del linguaggio cinematografico e televisivo; tra queste lo svelamento graduale delle stanze del castello, condizionato dalla posizione di superiorità gnoseologica di Blaubart rispetto a Judith, la dimensione dello sguardo, e il presagio del sangue. Rispetto a quest'ultimo punto si osserva l'infrazione creativa delle prescrizioni del libretto, che abbandona il tema del sangue con l'apertura della sesta porta per recuperarlo solo nel testo poco prima dell'apertura della settima porta, dalla quale tuttavia le mogli escono vive, con incedere lento ma sicuro. Il film sfrutta maggiormente il tema del sangue per la sua notevole forza evocatrice sul piano delle immagini, per presentare infine le mogli come imbalsamate, e mettere in luce il sacrificio di Judith, il cui pesante vestito la presenta agli spettatori come trafitta da spade. Pertanto la lettura del film assume toni più inquietanti che non possono essere limitati alla lettura intrapsichica alla quale gli autori dell'opera hanno pure ripetutamente alluso. Questa dimensione, che va sostanzialmente perduta con la completa eliminazione del Prologo declamato da un bardo, viene tuttavia recuperata dalla destinazione mediale, ovvero dalla scatola del televisore al quale il film era principalmente destinato, che permette un aggancio alla coeva teorizzazione dei media da parte di Marshall McLuhan.

Il castello, lo sguardo, il presagio. Il film opera di Michael Powell "Herzog Blaubarts Burg" (1963)

Cecchi, Alessandro
Primo
2020-01-01

Abstract

L'articolo indaga la lettura del mito di Barbablù che emerge dal film opera di Michael Powell "Herzog Blaubarts Burg", prodotto da Norman Foster nel 1963 per la messa in onda televisiva da parte del Süddeutscher Rundfunk. Il film è basato sulla versione tedesca dell'opera di Béla Bartók su libretto ungherese di Béla Balázs, composta nel 1911 e messa in scena per la prima volta a Budapest nel 1918. Del film l'articolo mette inizialmente in luce le peculiarità produttive, la storia del regista fino a quel momento, la drammaturgia dell'opera e il ruolo delle scene di Hein Heckroth. Successivamente l'articolo mostra come le scelte della regia da un lato enfatizzino la componente erotica (le sette porte come altrettanti momenti in cui Blaubart si congiunge a Judith nella prima notte di nozze), mentre dall'altro ne completino creativamente il messaggio rispetto alle peculiarità del linguaggio cinematografico e televisivo; tra queste lo svelamento graduale delle stanze del castello, condizionato dalla posizione di superiorità gnoseologica di Blaubart rispetto a Judith, la dimensione dello sguardo, e il presagio del sangue. Rispetto a quest'ultimo punto si osserva l'infrazione creativa delle prescrizioni del libretto, che abbandona il tema del sangue con l'apertura della sesta porta per recuperarlo solo nel testo poco prima dell'apertura della settima porta, dalla quale tuttavia le mogli escono vive, con incedere lento ma sicuro. Il film sfrutta maggiormente il tema del sangue per la sua notevole forza evocatrice sul piano delle immagini, per presentare infine le mogli come imbalsamate, e mettere in luce il sacrificio di Judith, il cui pesante vestito la presenta agli spettatori come trafitta da spade. Pertanto la lettura del film assume toni più inquietanti che non possono essere limitati alla lettura intrapsichica alla quale gli autori dell'opera hanno pure ripetutamente alluso. Questa dimensione, che va sostanzialmente perduta con la completa eliminazione del Prologo declamato da un bardo, viene tuttavia recuperata dalla destinazione mediale, ovvero dalla scatola del televisore al quale il film era principalmente destinato, che permette un aggancio alla coeva teorizzazione dei media da parte di Marshall McLuhan.
2020
Cecchi, Alessandro
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