Questo contributo si propone di discutere la tesi secondo cui negli artefatti, e più specificamente nelle reti informatiche (come social network e social media) siano presenti dei pregiudizi o valori morali (embedded values) che condizionano, in maniera spesso non trasparente, l’agire morale dell’utente. Nella prima parte (paragrafi 1, 2, 3) viene contestualizzata e ricostruita la vicenda di tale tesi, e vengono quindi presentate le principali posizioni teoriche: il Value-sensitive design e la Disclosive Computer Ethics, sviluppate rispettivamente da Friedman e Nissembaum, e Brey. I paragrafi 4, 5, 6, 7, che formano la seconda parte, discutono le principali versioni della tesi secondo cui gli artefatti incorporano dei valori, distinguendo tra la rilevanza morale di un oggetto artificiale e gli agenti morali in senso stretto. La terza parte, costituita dai paragrafi 8, 9, 10, si concentra sui digital media, sui modi in cui possono influenzare le forme di civic agency praticate per mezzo di essi, e su quali possano essere gli approcci prudenziali che favoriscono una maggiore autonomia critica degli utenti, sostenendo la necessità di una disclosive social media ethics. La conclusione propone tre indicazioni generali, votate a mettere in luce uno dei compiti della filosofia pratica nell’epoca della rivoluzione informatica, e ad evidenziare come la necessità di riporre una fiducia pressoché cieca negli stakeholders debba essere ridotta per mezzo di nuove forme di educazione e vigilanza, all’altezza della sfida rappresentata dagli ambienti digitali.
Interrogare gli ambienti digitali. Gli embedded values e il compito della filosofia
Marco Menon
2020-01-01
Abstract
Questo contributo si propone di discutere la tesi secondo cui negli artefatti, e più specificamente nelle reti informatiche (come social network e social media) siano presenti dei pregiudizi o valori morali (embedded values) che condizionano, in maniera spesso non trasparente, l’agire morale dell’utente. Nella prima parte (paragrafi 1, 2, 3) viene contestualizzata e ricostruita la vicenda di tale tesi, e vengono quindi presentate le principali posizioni teoriche: il Value-sensitive design e la Disclosive Computer Ethics, sviluppate rispettivamente da Friedman e Nissembaum, e Brey. I paragrafi 4, 5, 6, 7, che formano la seconda parte, discutono le principali versioni della tesi secondo cui gli artefatti incorporano dei valori, distinguendo tra la rilevanza morale di un oggetto artificiale e gli agenti morali in senso stretto. La terza parte, costituita dai paragrafi 8, 9, 10, si concentra sui digital media, sui modi in cui possono influenzare le forme di civic agency praticate per mezzo di essi, e su quali possano essere gli approcci prudenziali che favoriscono una maggiore autonomia critica degli utenti, sostenendo la necessità di una disclosive social media ethics. La conclusione propone tre indicazioni generali, votate a mettere in luce uno dei compiti della filosofia pratica nell’epoca della rivoluzione informatica, e ad evidenziare come la necessità di riporre una fiducia pressoché cieca negli stakeholders debba essere ridotta per mezzo di nuove forme di educazione e vigilanza, all’altezza della sfida rappresentata dagli ambienti digitali.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.