L’interesse di Osvaldo Licini per l’opera di Paul Cézanne non è mai stato sottoposto a un’attenta verifica, anche se il pittore marchigiano, in più occasioni, ha indicato il maestro francese come uno dei suoi principali punti di riferimento (in particolare in un articolo pubblicato sul “Bollettino del Milione” nel 1935). Diversamente dalla maggior parte degli artisti italiani attivi nella prima metà del secolo, Licini – grazie ai numerosi soggiorni a Parigi – ebbe ripetutamente modo di studiare dal vero le opere di Cézanne. È documentato da una lettera all’amico Mario Tozzi, ad esempio, l’entusiasmo con cui egli visitò la grande personale ordinata nella galleria Bernheim-Jeune nel giugno 1926. La lezione del pittore di Aix-en-Provence non ebbe effetto durante la prima stagione della pittura liciniana, ma divenne particolarmente importante nel cuore degli anni venti, quando Licini prese a dipingere sempre più spesso paesaggi raffiguranti i colli marchigiani. Un primo gruppo di opere – databili tra il 1924 e il 1926 – sembra riferirsi in maniera specifica ai dipinti realizzati da Cézanne a Gardanne negli anni ottanta dell’ottocento, ove l’immagine è composta attraverso un incastro dei volumi geometrici delle case con la materia quasi informe della vegetazione. La Provenza fu un vero e proprio atelier per Cézanne, così come le Marche, e in particolare il territorio intorno a Monte Vidon Corrado, lo furono per Licini. Questi lavorò spesso en plein air, esplorando luoghi amati, scegliendo per i suoi quadri punti di vista ricorrenti, esattamente come fece Cézanne. In un gruppo di dipinti riferibili al 1926 circa, il profilo di un colle dalla cima piatta, sopra cui si distende un paese della Val Tenna, probabilmente Massa Fermana, assume la funzione che la montagna Sainte-Victoire ebbe per Cézanne durante la fase tarda del suo lavoro. Alla geometrizzazione cézanniana della pennellata, alla tensione astrattiva delle opere estreme del maestro di Aix rimandano alcuni lavori dei secondi anni venti, quale, fra tutti, Paesaggio marchigiano. Qui l’architettura della composizione, l’uso frequente della preparazione bianca della tela per espandere le forme e i diversi elementi di materia pittorica, la tavolozza chiara, giocata su poche note che continuamente si alternano fra loro, si legano a doppio filo ai dipinti ultimi di Cézanne.

Tra i Sibillini, la montagna Sainte-Victoire: Licini e la lezione di Cézanne

PATTI MATTIA
2020-01-01

Abstract

L’interesse di Osvaldo Licini per l’opera di Paul Cézanne non è mai stato sottoposto a un’attenta verifica, anche se il pittore marchigiano, in più occasioni, ha indicato il maestro francese come uno dei suoi principali punti di riferimento (in particolare in un articolo pubblicato sul “Bollettino del Milione” nel 1935). Diversamente dalla maggior parte degli artisti italiani attivi nella prima metà del secolo, Licini – grazie ai numerosi soggiorni a Parigi – ebbe ripetutamente modo di studiare dal vero le opere di Cézanne. È documentato da una lettera all’amico Mario Tozzi, ad esempio, l’entusiasmo con cui egli visitò la grande personale ordinata nella galleria Bernheim-Jeune nel giugno 1926. La lezione del pittore di Aix-en-Provence non ebbe effetto durante la prima stagione della pittura liciniana, ma divenne particolarmente importante nel cuore degli anni venti, quando Licini prese a dipingere sempre più spesso paesaggi raffiguranti i colli marchigiani. Un primo gruppo di opere – databili tra il 1924 e il 1926 – sembra riferirsi in maniera specifica ai dipinti realizzati da Cézanne a Gardanne negli anni ottanta dell’ottocento, ove l’immagine è composta attraverso un incastro dei volumi geometrici delle case con la materia quasi informe della vegetazione. La Provenza fu un vero e proprio atelier per Cézanne, così come le Marche, e in particolare il territorio intorno a Monte Vidon Corrado, lo furono per Licini. Questi lavorò spesso en plein air, esplorando luoghi amati, scegliendo per i suoi quadri punti di vista ricorrenti, esattamente come fece Cézanne. In un gruppo di dipinti riferibili al 1926 circa, il profilo di un colle dalla cima piatta, sopra cui si distende un paese della Val Tenna, probabilmente Massa Fermana, assume la funzione che la montagna Sainte-Victoire ebbe per Cézanne durante la fase tarda del suo lavoro. Alla geometrizzazione cézanniana della pennellata, alla tensione astrattiva delle opere estreme del maestro di Aix rimandano alcuni lavori dei secondi anni venti, quale, fra tutti, Paesaggio marchigiano. Qui l’architettura della composizione, l’uso frequente della preparazione bianca della tela per espandere le forme e i diversi elementi di materia pittorica, la tavolozza chiara, giocata su poche note che continuamente si alternano fra loro, si legano a doppio filo ai dipinti ultimi di Cézanne.
2020
Patti, Mattia
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