La relazione tra Genere e Scienza si caratterizza per un grado di complessità che, affondando le proprie radici fin dalle origini del pensiero occidentale mainstream, ha trovato la propria istituzionalizzazione con la nascita stessa della scienza accademica. Se il femminismo ha tematizzato fin dalla prima ora la questione relativa all’esclusione femminile dalle istituzioni scientifiche, rivendicando la piena cittadinanza scientifica per le donne, solo molto successivamente, con le epistemologie femministe, ha spostato la propria attenzione sulla scienza quale prodotto di «un’attività completamente sociale e culturale» (McCarthy 1996, 102). Pur tra le molteplici differenze queste prospettive affrontano la questione della “autonomia” della scienza come un inganno ideologico, rivelando come la scienza ufficiale rappresenti una sorta di “braccio operativo” delle ideologie (Harding 1990) definendo non solo il cosa, ma anche il come del controllo sociale (McCarthy 1996). Nello scenario attuale è necessario considerare come il binomio Genere e Scienza sia diventato esso stesso un oggetto scientifico, anche in virtù di un processo di progressiva legittimazione politico-istituzionale che risale alle prime norme volte a riconoscere i diritti formali di partecipazione delle donne alla scienza e si manifesta nel progressivo sviluppo di un corpus di politiche, sempre più articolato e multidimensionale, orientato a trasformare tali entitlements in un’uguaglianza sostanziale e culminato nelle politiche promosse dall’Unione Europea attraverso Horizon 2020 (2014-2020). Un processo lungo e articolato descritto dalla letteratura scientifica mainstream come caratterizzato da diverse “stagioni politiche” frutto di un naturale processo di osmosi tra le conoscenze scientifiche in materia e le policy dedicate e nel quale il programma Horizon 2020 assurge al ruolo di principale alleato del femminismo e del suo progetto di decostruzione / ricostruzione della scienza (Schiebinger 2008). Una narrazione che, però, si scontra con alcune analisi condotte dalla più recente letteratura femminista che ha messo in evidenza come il processo di progressiva tematizzazione politica promosso dalle Istituzioni Comunitarie si sia sostanziato in procedure di normalizzazione attuate selezionando sia i topic e gli oggetti “pertinenti” che le prospettive/voci/punti di vista “legittimi” (Holly 2008; Benschop, Verloo 2011; Mergaert, Lombardo 2014). In linea con la tradizione femminista di critica alla scienza, il contributo analizza il regime di giustificazione adottato dalle istituzioni comunitarie per legittimare l’introduzione e lo sviluppo delle proprie policy e attribuire valore di verità, fact-making, ai significati prodotti, sense-making (Fairclough 1995). Dopo aver illustrato l’approccio metodologico – la costruzione del modello di analisi (informato dalle retoriche dominanti) e la selezione della base empirica (N=23 documenti tra Comunicazioni, Decisioni, Relazioni, etc.) – il contributo si sofferma sulle pratiche di riflessività anchilosata (Gouldner 1976) identificate attraverso l’analisi, per rivelare infine il portato normalizzante della narrazione delle “stagioni delle politiche”, nel quale sapere e potere si saldano in nuove alleanze nelle quali la reificazione dell’interpretazione di specifiche posizioni femministe rischia di rivelarsi correa e complice di un progetto di riforma della scienza orientato a rafforzarne la pretesa oggettiva e universalizzante.

Genere e scienza nelle policies europee. Aprire la black box della narrazione dominante

cervia, silvia
2020-01-01

Abstract

La relazione tra Genere e Scienza si caratterizza per un grado di complessità che, affondando le proprie radici fin dalle origini del pensiero occidentale mainstream, ha trovato la propria istituzionalizzazione con la nascita stessa della scienza accademica. Se il femminismo ha tematizzato fin dalla prima ora la questione relativa all’esclusione femminile dalle istituzioni scientifiche, rivendicando la piena cittadinanza scientifica per le donne, solo molto successivamente, con le epistemologie femministe, ha spostato la propria attenzione sulla scienza quale prodotto di «un’attività completamente sociale e culturale» (McCarthy 1996, 102). Pur tra le molteplici differenze queste prospettive affrontano la questione della “autonomia” della scienza come un inganno ideologico, rivelando come la scienza ufficiale rappresenti una sorta di “braccio operativo” delle ideologie (Harding 1990) definendo non solo il cosa, ma anche il come del controllo sociale (McCarthy 1996). Nello scenario attuale è necessario considerare come il binomio Genere e Scienza sia diventato esso stesso un oggetto scientifico, anche in virtù di un processo di progressiva legittimazione politico-istituzionale che risale alle prime norme volte a riconoscere i diritti formali di partecipazione delle donne alla scienza e si manifesta nel progressivo sviluppo di un corpus di politiche, sempre più articolato e multidimensionale, orientato a trasformare tali entitlements in un’uguaglianza sostanziale e culminato nelle politiche promosse dall’Unione Europea attraverso Horizon 2020 (2014-2020). Un processo lungo e articolato descritto dalla letteratura scientifica mainstream come caratterizzato da diverse “stagioni politiche” frutto di un naturale processo di osmosi tra le conoscenze scientifiche in materia e le policy dedicate e nel quale il programma Horizon 2020 assurge al ruolo di principale alleato del femminismo e del suo progetto di decostruzione / ricostruzione della scienza (Schiebinger 2008). Una narrazione che, però, si scontra con alcune analisi condotte dalla più recente letteratura femminista che ha messo in evidenza come il processo di progressiva tematizzazione politica promosso dalle Istituzioni Comunitarie si sia sostanziato in procedure di normalizzazione attuate selezionando sia i topic e gli oggetti “pertinenti” che le prospettive/voci/punti di vista “legittimi” (Holly 2008; Benschop, Verloo 2011; Mergaert, Lombardo 2014). In linea con la tradizione femminista di critica alla scienza, il contributo analizza il regime di giustificazione adottato dalle istituzioni comunitarie per legittimare l’introduzione e lo sviluppo delle proprie policy e attribuire valore di verità, fact-making, ai significati prodotti, sense-making (Fairclough 1995). Dopo aver illustrato l’approccio metodologico – la costruzione del modello di analisi (informato dalle retoriche dominanti) e la selezione della base empirica (N=23 documenti tra Comunicazioni, Decisioni, Relazioni, etc.) – il contributo si sofferma sulle pratiche di riflessività anchilosata (Gouldner 1976) identificate attraverso l’analisi, per rivelare infine il portato normalizzante della narrazione delle “stagioni delle politiche”, nel quale sapere e potere si saldano in nuove alleanze nelle quali la reificazione dell’interpretazione di specifiche posizioni femministe rischia di rivelarsi correa e complice di un progetto di riforma della scienza orientato a rafforzarne la pretesa oggettiva e universalizzante.
2020
Cervia, Silvia
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/1057589
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