Il saggio discute le sfide congiunte del welfare e della sostenibilità ambientale, i potenziali e limiti della attuale agenda di ricerca sul tema e le necessità e opportunità di un approccio maggiormente integrato e multidisciplinare nello studio di un tema estremamente complesso ad oggi ancora caratterizzato da percorsi paralleli in ambiti e discipline diverse. Il concetto di welfare sustainability nasce dalla crescente consapevolezza che i sistemi di welfare sono un importante motore di un modello di sviluppo non sostenibile. L'emergere di questo problema è legato alle attuali trasformazioni che mettono in luce nei paesi occidentali una triplice dinamica in cui l’aumento dei rischi sociali e della domanda di protezione si verifica contestualmente alla crisi fiscale degli stati sociali in un contesto di diffuse politiche di austerità (austerità permanente, Pearson 2011), e alla urgente necessità di fare fronte alle sfide del cambiamento climatico e degli altri processi che stanno minacciando gli equilibri ecologici del pianeta (Rockström et al. 2009), dando luogo ad una sorta di triplice crisi di sostenibilità. Ad oggi, il dibattito sulle politiche sociali si è principalmente sviluppato intorno ai primi due aspetti che hanno di per sé messo in luce alcuni complessi dilemmi per i processi decisionali in ambito politico, da cui si sono determinate nell'ultimo decennio diverse interpretazioni e strategie di espansione o, più frequentemente, ricalibratura e retrenchment (Bonoli e Natali 2012; Emmenegger et al. 2012; Ferrera, Hemerijck e Rhodes 2000; Häusermann 2012; Palier 2010; Taylor-Gooby 2013). Tuttavia, tali strategie appaiono oggi particolarmente ottuse, di fatto intrappolate negli stessi paradigmi keynesiani e neoliberali che hanno plasmato nel corso dei decenni i meccanismi ecologicamente distruttivi dell'accumulazione capitalistica e della protezione sociale (Jessop 2008; Koch 2012; Schmidt e Thatcher 2013). In particolare, occorre segnalare la non considerazione dei limiti ecologici nell'analisi socio-economica e la scontata dipendenza da crescita economica della capacità di protezione sociale propria dei sistemi di welfare. Di fronte all'aggravarsi della crisi ambientale e la necessità urgente di affrontarla, tali idee, visioni politiche e approcci scientifici hanno contribuito a ulteriori e più complessi dilemmi che assumono le caratteristiche di veri e propri doppi vincoli, ovvero situazioni in cui qualsiasi opzione può avere effetti contrastanti e controintuitivi fino a farla apparire errata in ogni caso. (Bateson 1972; Eriksen 2016). Per esempio, mentre eventuli tagli alla spesa pubblica rischiano di aumentare le disuguaglianze e indebolire la capacità di protezione di fronte ai nuovi rischi sociali direttamente e indirettamente prodotti dalla crisi climatica e dalle stesse politiche per contrastarla (Gough 2017), evenutali investimenti e spese aggiuntive rischiano di favorire ulteriori circoli viziosi di crescita insostenibile, ed entrambi rischiano di aumentare ulteriormente, nel breve o nel lungo termine l’aggravarsi e/o l'emergere di ulteriori rischi sociali (Bailey 2015; Gough and Meadowcroft 2011; Koch e Mont 2016; O'Riordan 2014; van den Bergh e Kallis 2012). Inoltre, rischi ambientali e sociali tra loro intrecciati hanno complesse implicazioni distributive tra gruppi, stakeholder, classi sociali, generazioni, luoghi e tra attori e comportamenti individuali e collettivi. Di conseguenza, possono favorire nuovi tipi di disuguaglianze e possibili trade-off, e dare vita a vasti conflitti sociali (come nel noto caso dei Jillet Joun in Francia). Poiché sono necessarie più diffuse e stringenti politiche climatiche, sia a breve che lungo termine, la domanda aggregata di supporto ad una transizione ecologica e di risoluzione dei conseguenti conflitti rischia solo di continuare a crescere con l’andare del tempo. Per tali motivi, le politiche climatiche dovrebbero coniugare sostenibilità ambientale, economica e sociale, le politiche sociali includere approcci e obiettivi ecologici e i governi sviluppare approcci sistematici in tal senso (Ferguson Green 2018). La crescente consapevolezza intorno a questi dilemmi ha portato alcuni studiosi a indagare il ruolo dei sistemi di welfare nella crisi ecologica, dando vita ad un programma di ricerca più che mai necessario. Concetti come sustainable welfare, eco-state, eco-social policies, environmental justice e just transitions sono stati elaborati per rispondere ai bisogni della società “entro limiti ecologici, da una prospettiva intergenerazionale e globale” (Koch e Mont 2016; Duit 2008; Matthies e Närhi 2017; Meadowcroft 2005; Spash 2017). Come del resto riconosciuto dall'ONU e dagli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) dell'Agenda 2030, la realizzazione dell'accordo di Parigi 2015 richiederà un maggiore coordinamento delle politiche di welfare e climatiche. Tuttavia, la maggior parte degli studiosi nell’ambito del “sustainable welfare” dubita che ciò possa avvenire promuovendo al tempo stesso la crescita economica (Fritz e Koch 2019): essi riconoscono che le politiche sociali sono determinanti per sostenere la transizione socio-ecologica e la riduzione delle emissioni di gas serra ma, diversamente dalla visione prevalente alla base di tale accordo e del recentissimo green deal promosso dall’Unione Europea, essi considerano altresì essenziale un loro ripensamento all'interno di un modello di maggiore sostenibilità non dipendente dalla crescita, tanto più la stessa è misurata solo con il PIL. Il paper si inserisce in questo dibattito, contribuendo allo siluppo di una conoscenza e di una visione più multidisciplinare, olistica e integrata tra lo studio delle politiche sociali e le questioni economiche e ambientali (Gough 2016). In particolare, sono brevemente discussi gli elementi principali nel dibattito in corso, sono presentate alcune critiche sui medesimi e proposta una prospettiva di ricerca orientata ad una maggiore integrazione delle conoscenze attualmente sviluppate in campi e approcci scientifici ancora parzialmente separati. Le critiche, in particolare, mettono in luce una sorta di trappola riduzionista che tuttora in ambito di politiche sociali rende difficile osservare e affrontare i tipi di rischi sociali che emergono dalla crisi climatica, le loro dinamiche transcontestuali, le implicazioni nei processi di transizione, oltre che il ruolo importante che contesti sociali e processi organizzativi possono giocare nell’accompagnare una trasformazione ecologica dei sistemi di welfare. La prospettiva di ricerca presentata mette in luce in modo sintetico le caratteristiche di un approccio pragmatico-ssitemico e le sue potenzialità nel sostenere/promuovere esperienze e percorsi di ricerca integrate utili ad affrontare le condizioni di doppio vincolo sopra discusse.
Crisi ecologica e nuovi rischi sociali: verso una ricerca integrata in materia di politica sociale e sostenibilità
Matteo Villa
2020-01-01
Abstract
Il saggio discute le sfide congiunte del welfare e della sostenibilità ambientale, i potenziali e limiti della attuale agenda di ricerca sul tema e le necessità e opportunità di un approccio maggiormente integrato e multidisciplinare nello studio di un tema estremamente complesso ad oggi ancora caratterizzato da percorsi paralleli in ambiti e discipline diverse. Il concetto di welfare sustainability nasce dalla crescente consapevolezza che i sistemi di welfare sono un importante motore di un modello di sviluppo non sostenibile. L'emergere di questo problema è legato alle attuali trasformazioni che mettono in luce nei paesi occidentali una triplice dinamica in cui l’aumento dei rischi sociali e della domanda di protezione si verifica contestualmente alla crisi fiscale degli stati sociali in un contesto di diffuse politiche di austerità (austerità permanente, Pearson 2011), e alla urgente necessità di fare fronte alle sfide del cambiamento climatico e degli altri processi che stanno minacciando gli equilibri ecologici del pianeta (Rockström et al. 2009), dando luogo ad una sorta di triplice crisi di sostenibilità. Ad oggi, il dibattito sulle politiche sociali si è principalmente sviluppato intorno ai primi due aspetti che hanno di per sé messo in luce alcuni complessi dilemmi per i processi decisionali in ambito politico, da cui si sono determinate nell'ultimo decennio diverse interpretazioni e strategie di espansione o, più frequentemente, ricalibratura e retrenchment (Bonoli e Natali 2012; Emmenegger et al. 2012; Ferrera, Hemerijck e Rhodes 2000; Häusermann 2012; Palier 2010; Taylor-Gooby 2013). Tuttavia, tali strategie appaiono oggi particolarmente ottuse, di fatto intrappolate negli stessi paradigmi keynesiani e neoliberali che hanno plasmato nel corso dei decenni i meccanismi ecologicamente distruttivi dell'accumulazione capitalistica e della protezione sociale (Jessop 2008; Koch 2012; Schmidt e Thatcher 2013). In particolare, occorre segnalare la non considerazione dei limiti ecologici nell'analisi socio-economica e la scontata dipendenza da crescita economica della capacità di protezione sociale propria dei sistemi di welfare. Di fronte all'aggravarsi della crisi ambientale e la necessità urgente di affrontarla, tali idee, visioni politiche e approcci scientifici hanno contribuito a ulteriori e più complessi dilemmi che assumono le caratteristiche di veri e propri doppi vincoli, ovvero situazioni in cui qualsiasi opzione può avere effetti contrastanti e controintuitivi fino a farla apparire errata in ogni caso. (Bateson 1972; Eriksen 2016). Per esempio, mentre eventuli tagli alla spesa pubblica rischiano di aumentare le disuguaglianze e indebolire la capacità di protezione di fronte ai nuovi rischi sociali direttamente e indirettamente prodotti dalla crisi climatica e dalle stesse politiche per contrastarla (Gough 2017), evenutali investimenti e spese aggiuntive rischiano di favorire ulteriori circoli viziosi di crescita insostenibile, ed entrambi rischiano di aumentare ulteriormente, nel breve o nel lungo termine l’aggravarsi e/o l'emergere di ulteriori rischi sociali (Bailey 2015; Gough and Meadowcroft 2011; Koch e Mont 2016; O'Riordan 2014; van den Bergh e Kallis 2012). Inoltre, rischi ambientali e sociali tra loro intrecciati hanno complesse implicazioni distributive tra gruppi, stakeholder, classi sociali, generazioni, luoghi e tra attori e comportamenti individuali e collettivi. Di conseguenza, possono favorire nuovi tipi di disuguaglianze e possibili trade-off, e dare vita a vasti conflitti sociali (come nel noto caso dei Jillet Joun in Francia). Poiché sono necessarie più diffuse e stringenti politiche climatiche, sia a breve che lungo termine, la domanda aggregata di supporto ad una transizione ecologica e di risoluzione dei conseguenti conflitti rischia solo di continuare a crescere con l’andare del tempo. Per tali motivi, le politiche climatiche dovrebbero coniugare sostenibilità ambientale, economica e sociale, le politiche sociali includere approcci e obiettivi ecologici e i governi sviluppare approcci sistematici in tal senso (Ferguson Green 2018). La crescente consapevolezza intorno a questi dilemmi ha portato alcuni studiosi a indagare il ruolo dei sistemi di welfare nella crisi ecologica, dando vita ad un programma di ricerca più che mai necessario. Concetti come sustainable welfare, eco-state, eco-social policies, environmental justice e just transitions sono stati elaborati per rispondere ai bisogni della società “entro limiti ecologici, da una prospettiva intergenerazionale e globale” (Koch e Mont 2016; Duit 2008; Matthies e Närhi 2017; Meadowcroft 2005; Spash 2017). Come del resto riconosciuto dall'ONU e dagli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) dell'Agenda 2030, la realizzazione dell'accordo di Parigi 2015 richiederà un maggiore coordinamento delle politiche di welfare e climatiche. Tuttavia, la maggior parte degli studiosi nell’ambito del “sustainable welfare” dubita che ciò possa avvenire promuovendo al tempo stesso la crescita economica (Fritz e Koch 2019): essi riconoscono che le politiche sociali sono determinanti per sostenere la transizione socio-ecologica e la riduzione delle emissioni di gas serra ma, diversamente dalla visione prevalente alla base di tale accordo e del recentissimo green deal promosso dall’Unione Europea, essi considerano altresì essenziale un loro ripensamento all'interno di un modello di maggiore sostenibilità non dipendente dalla crescita, tanto più la stessa è misurata solo con il PIL. Il paper si inserisce in questo dibattito, contribuendo allo siluppo di una conoscenza e di una visione più multidisciplinare, olistica e integrata tra lo studio delle politiche sociali e le questioni economiche e ambientali (Gough 2016). In particolare, sono brevemente discussi gli elementi principali nel dibattito in corso, sono presentate alcune critiche sui medesimi e proposta una prospettiva di ricerca orientata ad una maggiore integrazione delle conoscenze attualmente sviluppate in campi e approcci scientifici ancora parzialmente separati. Le critiche, in particolare, mettono in luce una sorta di trappola riduzionista che tuttora in ambito di politiche sociali rende difficile osservare e affrontare i tipi di rischi sociali che emergono dalla crisi climatica, le loro dinamiche transcontestuali, le implicazioni nei processi di transizione, oltre che il ruolo importante che contesti sociali e processi organizzativi possono giocare nell’accompagnare una trasformazione ecologica dei sistemi di welfare. La prospettiva di ricerca presentata mette in luce in modo sintetico le caratteristiche di un approccio pragmatico-ssitemico e le sue potenzialità nel sostenere/promuovere esperienze e percorsi di ricerca integrate utili ad affrontare le condizioni di doppio vincolo sopra discusse.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.