Riprendendo e ampliando alcuni spunti presenti nella precedente storiografia (Cammarosano, Cortese), il saggio si propone di distinguere le élites attive nello spazio toscano tra VIII e XI secolo in base ai loro spazi d’azione, così come li si può ricostruire in base ad alcuni indicatori di tipo politico (cariche, presenze agli atti giudiziari, ecc.), sociale (rapporti parentali, legami clientelari, presenze, ecc.) e patrimoniale (diffusione dei beni). A partire dalla tarda età longobarda si vedono agire nella regione più élites differenti tra loro: alcune hanno un orizzonte ampio, di tipo regionale, altre sono caratterizzate piuttosto da un marcato radicamento locale. È con l’età carolingia che, a partire da un modello tendenzialmente bipartito, si afferma un modello quadripartito. Ai vertici sta ormai la nuova Reichsaristokratie, dall’orizzonte imperiale, per la quale la Toscana era solo uno dei luoghi d’azione – e non dei maggiori. Al di sotto di questo gruppo persiste, almeno a livello tipologico (molto meno sul piano prosopografico), un’aristocrazia di orizzonte regionale costituita in primo luogo dalle maggiori famiglie comitali della regione. Un terzo livello è formato da stirpi di orizzonte diocesano, spesso radicate in città, o comunque patrimonialmente dotate in aree diverse della diocesi/comitato. Come anche la Reichsaristokratie la formazione di questo livello elitario è un fenomeno nuovo, tipico della Toscana carolingia e post-carolingia. L’ultimo livello è quello costituito dalle élites locali o di villaggio che, già diffuse in epoca longobarda, persistono per il resto dell’alto medioevo. Va notato che questi livelli elitari non vanno intesi come compartimenti chiusi, dato che singole famiglie potevano muoversi, sia in ascesa che in discesa, tra i diversi livelli nel corso del tempo. Il punto centrale del saggio consiste nel tentativo di spiegare, con particolare riferimento alla realtà lucchese, i percorsi attraverso i quali si forma il terzo livello di élite, la “aristocrazia diocesana”, a partire dall’incontro tra le vecchie aristocrazie longobarde, ridimensionate dal cambiamento di regime, e le precedenti élites locali (cittadine e rurali). Il saggio tratteggia poi rapidamente le vicende di questo gruppo sociale nell’età post-carolingia, cercando infine di spiegare i diversi esiti, tra X e XI secolo, della élite diocesana pisana rispetto a quelle delle altre aree toscane. Riprendendo e sviluppando intuizioni della precedente storiografia (Cortese), si propone di vedere negli orizzonti marittimi di Pisa (da intendersi in senso militare e imperiale, e non mercantile) la ragione del persistere degli elementi di coesione del gruppo e del radicamento urbano. Al contrario altrove la crisi degli episcopati nel quadro della “Riforma” e la spinta demografica e produttiva delle campagne ebbero come esito la destrutturazione delle élites diocesane e il radicamento in campagna dei loro diversi rami, con un conseguente ridimensionamento degli orizzonti d’azione. Furono questi fenomeni a favorire sia lo sviluppo signorile che l’affermazione dei regimi comunali, egemonizzati in un primo momento da gruppi differenti dalla vecchia “aristocrazia diocesana”.

Spazi politici e irraggiamento sociale delle élites laiche intermedie (Italia centrale, secoli VIII-X)

COLLAVINI, SIMONE MARIA
2007-01-01

Abstract

Riprendendo e ampliando alcuni spunti presenti nella precedente storiografia (Cammarosano, Cortese), il saggio si propone di distinguere le élites attive nello spazio toscano tra VIII e XI secolo in base ai loro spazi d’azione, così come li si può ricostruire in base ad alcuni indicatori di tipo politico (cariche, presenze agli atti giudiziari, ecc.), sociale (rapporti parentali, legami clientelari, presenze, ecc.) e patrimoniale (diffusione dei beni). A partire dalla tarda età longobarda si vedono agire nella regione più élites differenti tra loro: alcune hanno un orizzonte ampio, di tipo regionale, altre sono caratterizzate piuttosto da un marcato radicamento locale. È con l’età carolingia che, a partire da un modello tendenzialmente bipartito, si afferma un modello quadripartito. Ai vertici sta ormai la nuova Reichsaristokratie, dall’orizzonte imperiale, per la quale la Toscana era solo uno dei luoghi d’azione – e non dei maggiori. Al di sotto di questo gruppo persiste, almeno a livello tipologico (molto meno sul piano prosopografico), un’aristocrazia di orizzonte regionale costituita in primo luogo dalle maggiori famiglie comitali della regione. Un terzo livello è formato da stirpi di orizzonte diocesano, spesso radicate in città, o comunque patrimonialmente dotate in aree diverse della diocesi/comitato. Come anche la Reichsaristokratie la formazione di questo livello elitario è un fenomeno nuovo, tipico della Toscana carolingia e post-carolingia. L’ultimo livello è quello costituito dalle élites locali o di villaggio che, già diffuse in epoca longobarda, persistono per il resto dell’alto medioevo. Va notato che questi livelli elitari non vanno intesi come compartimenti chiusi, dato che singole famiglie potevano muoversi, sia in ascesa che in discesa, tra i diversi livelli nel corso del tempo. Il punto centrale del saggio consiste nel tentativo di spiegare, con particolare riferimento alla realtà lucchese, i percorsi attraverso i quali si forma il terzo livello di élite, la “aristocrazia diocesana”, a partire dall’incontro tra le vecchie aristocrazie longobarde, ridimensionate dal cambiamento di regime, e le precedenti élites locali (cittadine e rurali). Il saggio tratteggia poi rapidamente le vicende di questo gruppo sociale nell’età post-carolingia, cercando infine di spiegare i diversi esiti, tra X e XI secolo, della élite diocesana pisana rispetto a quelle delle altre aree toscane. Riprendendo e sviluppando intuizioni della precedente storiografia (Cortese), si propone di vedere negli orizzonti marittimi di Pisa (da intendersi in senso militare e imperiale, e non mercantile) la ragione del persistere degli elementi di coesione del gruppo e del radicamento urbano. Al contrario altrove la crisi degli episcopati nel quadro della “Riforma” e la spinta demografica e produttiva delle campagne ebbero come esito la destrutturazione delle élites diocesane e il radicamento in campagna dei loro diversi rami, con un conseguente ridimensionamento degli orizzonti d’azione. Furono questi fenomeni a favorire sia lo sviluppo signorile che l’affermazione dei regimi comunali, egemonizzati in un primo momento da gruppi differenti dalla vecchia “aristocrazia diocesana”.
2007
Collavini, SIMONE MARIA
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