A partire dal costante uso darwiniano della metafora e della similitudine, il presente saggio si interroga sul ruolo che esse assumono nel dar forma alla teoria dell’evoluzione naturale. A tale scopo si prendono in considerazione, preminentemente, L’origine delle specie e L’origine dell’uomo e la selezione sessuale. Considerando la frammentarietà della conoscenza umana, in ragione della debolezza costitutiva delle facoltà intellettuali dell’uomo e della discontinuità e parzialità delle tracce del passato che la crosta terrestre offre, si arriva a mostrare come Darwin recuperi, in un senso del tutto inusuale, la classica immagine della natura-libro. Alla leggibilità galileiana egli sostituisce infatti un’opacità irriducibile: se la storia del mondo è ancora un libro, di esso si conservano solo pochi capitoli, scritti in un dialetto mutevole. Il naturalista deve farsi allora filologo e, raccogliendo e catalogando, secondo principi baconiani, tutti i dati ai quali può accedere deve ricostruire una storia finzionale, una vera e propria narrazione che tracci una possibile e probabile storie delle cose. Quello di Darwin è infatti – nel saggio lo si mostra richiamandosi a una conferenza di T. Huxley del 1880 –, un metodo riconducibile a quello di Zadig, protagonista di un racconto di Voltaire citato anche nelle Recherches di Cuvier, capace di dedurre, grazie a una sorta di sagacità artigianalmente educata, possibili ricostruzioni di eventi. Il sapere del naturalista che qui si delinea ha allora i caratteri propri a quello che, richiamandosi alle categorie di C. Ginzburg, ha origine da un paradigma indiziario. Il saggio si interroga pertanto su quali siano le spie che possano consentire al naturalista di ricomporre le lacune del libro della storia naturale: in questa prospettiva si mostra come Darwin faccia della metafora e della somiglianza morfologica – sia essa omologica o analogica – la traccia che consente di ricostruire una imaginative history. In ultimo luogo, si vuol mostrare come se la storia del mondo invera la metafora, quest’ultima, a sua volta rende possibile la prima, non risultandone il prodotto necessario e deterministico. A partire dall’indagine evolutiva darwiniana sull’immaginazione e sulla ragione – facoltà imparentate e per certi versi sovrapposte – si sostiene infatti che esse, pur fondando la capacità mimetica e metaforica di tutto il vivente (Smith, Hume, Bain), assumano uno specifico carattere nell’uomo. La ricostruzione finzionale umana della storia del mondo si rivela pertanto del tutto antropocentrica: se l’immaginazione e le sue metafore sono il prodotto dell’evoluzione, l’evoluzione stessa è il prodotto dell’immaginazione e delle metafore che la descrivono. All’altezza di una costante reversibilità, prende allora vita quel metodo di Darwin che, a partire dalla storia del mondo e dalle metafore che quella storia descrivono e formano, non può che usare quelle stesse metafore per dare origine a una narrazione probabile e metaletteraria, che assume in tutto i tratti di Zadig, novella orientale che si muove tra Sercambi e Voltaire, tra Cuvier, Darwin e Huxley arrivando fino a Eco.

Darwin e la metafora: evoluzione e immaginazione

Matteo Marcheschi
2015-01-01

Abstract

A partire dal costante uso darwiniano della metafora e della similitudine, il presente saggio si interroga sul ruolo che esse assumono nel dar forma alla teoria dell’evoluzione naturale. A tale scopo si prendono in considerazione, preminentemente, L’origine delle specie e L’origine dell’uomo e la selezione sessuale. Considerando la frammentarietà della conoscenza umana, in ragione della debolezza costitutiva delle facoltà intellettuali dell’uomo e della discontinuità e parzialità delle tracce del passato che la crosta terrestre offre, si arriva a mostrare come Darwin recuperi, in un senso del tutto inusuale, la classica immagine della natura-libro. Alla leggibilità galileiana egli sostituisce infatti un’opacità irriducibile: se la storia del mondo è ancora un libro, di esso si conservano solo pochi capitoli, scritti in un dialetto mutevole. Il naturalista deve farsi allora filologo e, raccogliendo e catalogando, secondo principi baconiani, tutti i dati ai quali può accedere deve ricostruire una storia finzionale, una vera e propria narrazione che tracci una possibile e probabile storie delle cose. Quello di Darwin è infatti – nel saggio lo si mostra richiamandosi a una conferenza di T. Huxley del 1880 –, un metodo riconducibile a quello di Zadig, protagonista di un racconto di Voltaire citato anche nelle Recherches di Cuvier, capace di dedurre, grazie a una sorta di sagacità artigianalmente educata, possibili ricostruzioni di eventi. Il sapere del naturalista che qui si delinea ha allora i caratteri propri a quello che, richiamandosi alle categorie di C. Ginzburg, ha origine da un paradigma indiziario. Il saggio si interroga pertanto su quali siano le spie che possano consentire al naturalista di ricomporre le lacune del libro della storia naturale: in questa prospettiva si mostra come Darwin faccia della metafora e della somiglianza morfologica – sia essa omologica o analogica – la traccia che consente di ricostruire una imaginative history. In ultimo luogo, si vuol mostrare come se la storia del mondo invera la metafora, quest’ultima, a sua volta rende possibile la prima, non risultandone il prodotto necessario e deterministico. A partire dall’indagine evolutiva darwiniana sull’immaginazione e sulla ragione – facoltà imparentate e per certi versi sovrapposte – si sostiene infatti che esse, pur fondando la capacità mimetica e metaforica di tutto il vivente (Smith, Hume, Bain), assumano uno specifico carattere nell’uomo. La ricostruzione finzionale umana della storia del mondo si rivela pertanto del tutto antropocentrica: se l’immaginazione e le sue metafore sono il prodotto dell’evoluzione, l’evoluzione stessa è il prodotto dell’immaginazione e delle metafore che la descrivono. All’altezza di una costante reversibilità, prende allora vita quel metodo di Darwin che, a partire dalla storia del mondo e dalle metafore che quella storia descrivono e formano, non può che usare quelle stesse metafore per dare origine a una narrazione probabile e metaletteraria, che assume in tutto i tratti di Zadig, novella orientale che si muove tra Sercambi e Voltaire, tra Cuvier, Darwin e Huxley arrivando fino a Eco.
2015
Marcheschi, Matteo
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/1103934
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