Pare che l’utilizzo delle varie forme di comunicazione a distanza, quelle cioè attuate attraverso i dispositivi tecnologici, sia destinato a consolidarsi e addirittura a diventare preminente anche dopo il superamento della pandemia provocata dal COVID-19. Sembra che quanto abbiamo sperimentato e continuiamo a sperimentare nel lavoro, nella didattica, nelle relazioni interpersonali, sia qualcosa rispetto a cui non potremo tornare indietro. È chiaro, naturalmente, il perché. Vi sono motivi di opportunità (senza la comunicazione a distanza molte attività sarebbero state interrotte e tuttora sarebbe più complicato svolgerle), di efficienza (tali attività le possiamo compiere lo stesso, anzi con minor sforzo e uguale risultato, senza la presenza fisica), di comodità (possiamo fare ciò che serve rimanendo tranquillamente a casa nostra), di economicità (diminuiscono gli spostamenti e aumenta il risparmio energetico). Tutto questo, e molto altro, spinge a inglobare le relazioni a distanza nella nostra vita e a radicarle stabilmente. Di più: spinge a sostituire con tali relazioni quei rapporti che normalmente sviluppavamo in presenza. Se ciò è vero, diventa urgente una riflessione complessiva sulle conseguenze che tali dinamiche comportano, sulla mentalità che esse presuppongono e sui mutamenti nel sentire comune che producono. Sono, come si vede, questioni di carattere antropologico ed etico. In questo saggio mi limiterò ad approfondirne alcuni aspetti. Due, in particolare, saranno le direttrici lungo le quali mi muoverò, seguite da una riflessione finale. Propongo di distinguere ciò che potremmo chiamare “la comunicazione del coronavirus” da quella che potremmo definire la “comu- nicazione nel coronavirus”. Mi riferisco con la prima espressione ai modi in cui il COVID-19 e l’emergenza che il suo diffondersi ha provocato sono stati trattati a livello comunicativo: dalle Istituzioni, dai mass media e, soprattutto, in rete. Mi concentrerò poi, in un secondo momento, su alcuni mutamenti nell’esperienza e nella sensibilità comuni che si sono imposti a seguito del diffondersi, soprattutto, di forme di comunicazione a distanza: in particolare le metamorfosi che subiscono le nostre relazioni, e la percezione dello spazio e del tempo che ciò comporta. Tutto questo mi spingerà a indicare, alla fine del saggio, alcuni criteri e principî generali di carattere etico: i quali non solo possano orientarci nell’attuale situazione, senza che la dobbiamo semplicemente subire, ma soprattutto ci permettano di guidare, in una certa misura, i nostri comportamenti. Vedremo più precisamente come un’etica relazionale sia in grado di offrire lo sfondo per compiere, nel concreto di questa situazione, scelte giuste ed equilibrate.

La comunicazione all'epoca del coronavirus

Fabris Adriano
2021-01-01

Abstract

Pare che l’utilizzo delle varie forme di comunicazione a distanza, quelle cioè attuate attraverso i dispositivi tecnologici, sia destinato a consolidarsi e addirittura a diventare preminente anche dopo il superamento della pandemia provocata dal COVID-19. Sembra che quanto abbiamo sperimentato e continuiamo a sperimentare nel lavoro, nella didattica, nelle relazioni interpersonali, sia qualcosa rispetto a cui non potremo tornare indietro. È chiaro, naturalmente, il perché. Vi sono motivi di opportunità (senza la comunicazione a distanza molte attività sarebbero state interrotte e tuttora sarebbe più complicato svolgerle), di efficienza (tali attività le possiamo compiere lo stesso, anzi con minor sforzo e uguale risultato, senza la presenza fisica), di comodità (possiamo fare ciò che serve rimanendo tranquillamente a casa nostra), di economicità (diminuiscono gli spostamenti e aumenta il risparmio energetico). Tutto questo, e molto altro, spinge a inglobare le relazioni a distanza nella nostra vita e a radicarle stabilmente. Di più: spinge a sostituire con tali relazioni quei rapporti che normalmente sviluppavamo in presenza. Se ciò è vero, diventa urgente una riflessione complessiva sulle conseguenze che tali dinamiche comportano, sulla mentalità che esse presuppongono e sui mutamenti nel sentire comune che producono. Sono, come si vede, questioni di carattere antropologico ed etico. In questo saggio mi limiterò ad approfondirne alcuni aspetti. Due, in particolare, saranno le direttrici lungo le quali mi muoverò, seguite da una riflessione finale. Propongo di distinguere ciò che potremmo chiamare “la comunicazione del coronavirus” da quella che potremmo definire la “comu- nicazione nel coronavirus”. Mi riferisco con la prima espressione ai modi in cui il COVID-19 e l’emergenza che il suo diffondersi ha provocato sono stati trattati a livello comunicativo: dalle Istituzioni, dai mass media e, soprattutto, in rete. Mi concentrerò poi, in un secondo momento, su alcuni mutamenti nell’esperienza e nella sensibilità comuni che si sono imposti a seguito del diffondersi, soprattutto, di forme di comunicazione a distanza: in particolare le metamorfosi che subiscono le nostre relazioni, e la percezione dello spazio e del tempo che ciò comporta. Tutto questo mi spingerà a indicare, alla fine del saggio, alcuni criteri e principî generali di carattere etico: i quali non solo possano orientarci nell’attuale situazione, senza che la dobbiamo semplicemente subire, ma soprattutto ci permettano di guidare, in una certa misura, i nostri comportamenti. Vedremo più precisamente come un’etica relazionale sia in grado di offrire lo sfondo per compiere, nel concreto di questa situazione, scelte giuste ed equilibrate.
2021
Fabris, Adriano
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/1120908
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