Negli ultimi 30 anni la globalizzazione ha sempre più reso evidenti i suoi effetti sulle dinamiche organizzative delle città e dei territori, modificando profondamente le geografie, le gerarchie, i significati ed i tempi degli usi e degli utilizzatori dei suoli. Le funzioni urbane, produttive, commerciali e anche residenziali, si avvicendano e si localizzano in modo sempre più rapido, fluido e a volte immateriale, lasciando a terra un deposito fisso ed insolubile rappresentato dal patrimonio costruito che, a differenza delle funzioni che ospita, è tutt’altro che mobile e flessibile. La presenza di questo deposito immobiliare, sottoutilizzato, funzionalmente e fisicamente obsoleto e sempre più diffusamente abbandonato ha supportato molti dei leit motiv dell’urbanistica del nuovo millennio: dalla rigenerazione urbana, sino agli usi temporanei, passando per il riuso adattivo. Il riconoscimento delle difficoltà di riutilizzo di questo patrimonio, soprattutto nei territori della contrazione, ha più di recente aperto la riflessione a strategie fondate sulla demolizione, ovvero sulla possibilità di una reversibilità dell’ipertrofica crescita novecentesca. Una strategia idealmente suggestiva, capace di espiare le gravi colpe attribuite alla pianificazione e alla politica dello scorso secolo. Una strategia che tuttavia sembra scontrarsi con difficoltà tali da poter definire l’espansione urbana come un processo sostanzialmente irreversibile e monodirezionale. Il paper intende affrontare, seppur sinteticamente, due componenti di questa irreversibilità: la componente economica, ovvero l’onerosità della rinaturalizzazione dei suoli edificati e la componente giuridica legata al diritto edificatorio, quello che sarà definito, non senza provocazione, come principio di conservazione dell’edificabilità.

Uso, consumo e riuso: l’insostenibile reversibilità del costruire

Cutini V.;Rusci S.
2022-01-01

Abstract

Negli ultimi 30 anni la globalizzazione ha sempre più reso evidenti i suoi effetti sulle dinamiche organizzative delle città e dei territori, modificando profondamente le geografie, le gerarchie, i significati ed i tempi degli usi e degli utilizzatori dei suoli. Le funzioni urbane, produttive, commerciali e anche residenziali, si avvicendano e si localizzano in modo sempre più rapido, fluido e a volte immateriale, lasciando a terra un deposito fisso ed insolubile rappresentato dal patrimonio costruito che, a differenza delle funzioni che ospita, è tutt’altro che mobile e flessibile. La presenza di questo deposito immobiliare, sottoutilizzato, funzionalmente e fisicamente obsoleto e sempre più diffusamente abbandonato ha supportato molti dei leit motiv dell’urbanistica del nuovo millennio: dalla rigenerazione urbana, sino agli usi temporanei, passando per il riuso adattivo. Il riconoscimento delle difficoltà di riutilizzo di questo patrimonio, soprattutto nei territori della contrazione, ha più di recente aperto la riflessione a strategie fondate sulla demolizione, ovvero sulla possibilità di una reversibilità dell’ipertrofica crescita novecentesca. Una strategia idealmente suggestiva, capace di espiare le gravi colpe attribuite alla pianificazione e alla politica dello scorso secolo. Una strategia che tuttavia sembra scontrarsi con difficoltà tali da poter definire l’espansione urbana come un processo sostanzialmente irreversibile e monodirezionale. Il paper intende affrontare, seppur sinteticamente, due componenti di questa irreversibilità: la componente economica, ovvero l’onerosità della rinaturalizzazione dei suoli edificati e la componente giuridica legata al diritto edificatorio, quello che sarà definito, non senza provocazione, come principio di conservazione dell’edificabilità.
2022
Cutini, V.; Rusci, S.
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