Negli anni Trenta, il potere bolscevico, che si è trasformato ormai in una nuova autocrazia, vuole costruire il monumento definitivo a un mondo nuovo, un edificio-mostro che, «riassumendo le architetture di tutti i tempi», avrebbe dovuto sancire anche la «fine dell’architettura». Nella convoluta vicenda concorsuale del Palazzo dei Soviet (che si svolge dal 1931 al 1937, con in più un’interessante coda nel dopoguerra) si consuma tutta la storia dell’architettura sovietica come riflesso delle convulsioni ideologiche di una nazione. L’obiettivo è erigere il «grande palazzo del potere» dell’impero sovietico in un’area lungo il fiume, a ovest delle mura del Cremlino e di fronte alla «Casa del Governo, cittadella dalla nomenklatura del regime: una composizione urbana di grande ansambl’ che è la rappresentazione plastica del blocco sociale che ha vinto la lotta per la successione di Lenin e che ambisce a trasformare una arretrata nazione agricola in una superpotenza planetaria. Il progetto vincitore è quello di Boris Iofan, al quale si aggiungeranno poi Vladimir Ščuko e Vladimir Gel'freich: un delirante, faraonico edificio telescopico alto 495 metri, sul quale torreggia una colossale statua di Lenin, programmaticamente – nei materiali, nelle forme scelte, nei molteplici linguaggi dei vari popoli dell’Unione – l’edificio-mondo dell’Unione Sovietica. Il principio urbano che lo contraddistingue consiste nella costruzione del nuovo profilo – in termini volumetrici e simbolici – di una città che si trasformata da un antipolo «russo» della cosmopolita ed europea Pietroburgo nella capitale di un impero euroasiatico che si estende per undici fusi orari, la «nuova Gerusalemme» di una società nuova. Le dimensioni di Mosca – e dunque del suo edificio più rilevante – non sono quelle della metropoli europea, né di quella americana, ma quelle monstruose di un città-territorio che si vuole estendere per migliaia di chilometri. Quando i lavori si arrestano nell’inverno del 1941, con le truppe tedesche ormai alle porte di Mosca, l’area è una colossale voragine dove le pompe lavorano ininterrottamente per estrarre l’acqua della Moscova che continua a riempire lo scavo. A guerra finita, agli occhi dei moscoviti si offre un gigantesco sterro, che viene presto riconvertito nella più grande piscina all’aperto del mondo quando il programma del Palazzo dei Soviet viene cancellato. Eppure l’immagine del Palazzo dei Soviet continuerà ad infestare a lungo la storia sovietica: fondale dei film di propaganda, soggetto di quadri e di illustrazioni, presenza fissa fino a tutti gli anni Cinquanta di ogni prefigurazione della Mosca futura, misura della tecnologia dell’URSS che continua a cimentarsi per anni con le immani questioni tecniche che quell’edificio poneva. Ma non sfugga il valore simbolico di questa fine: nel cuore monumentale di Mosca, un gigantesco buco che non si è mai riuscito a liberare dall’acqua, e che rilascia una altissima colonna di vapore: un fantasma che inghiotte non solo l’utopia modernista sovietica ma anche il sogno di egemonia del realismo socialista.

Il fantasma

Lanini Luca
2022-01-01

Abstract

Negli anni Trenta, il potere bolscevico, che si è trasformato ormai in una nuova autocrazia, vuole costruire il monumento definitivo a un mondo nuovo, un edificio-mostro che, «riassumendo le architetture di tutti i tempi», avrebbe dovuto sancire anche la «fine dell’architettura». Nella convoluta vicenda concorsuale del Palazzo dei Soviet (che si svolge dal 1931 al 1937, con in più un’interessante coda nel dopoguerra) si consuma tutta la storia dell’architettura sovietica come riflesso delle convulsioni ideologiche di una nazione. L’obiettivo è erigere il «grande palazzo del potere» dell’impero sovietico in un’area lungo il fiume, a ovest delle mura del Cremlino e di fronte alla «Casa del Governo, cittadella dalla nomenklatura del regime: una composizione urbana di grande ansambl’ che è la rappresentazione plastica del blocco sociale che ha vinto la lotta per la successione di Lenin e che ambisce a trasformare una arretrata nazione agricola in una superpotenza planetaria. Il progetto vincitore è quello di Boris Iofan, al quale si aggiungeranno poi Vladimir Ščuko e Vladimir Gel'freich: un delirante, faraonico edificio telescopico alto 495 metri, sul quale torreggia una colossale statua di Lenin, programmaticamente – nei materiali, nelle forme scelte, nei molteplici linguaggi dei vari popoli dell’Unione – l’edificio-mondo dell’Unione Sovietica. Il principio urbano che lo contraddistingue consiste nella costruzione del nuovo profilo – in termini volumetrici e simbolici – di una città che si trasformata da un antipolo «russo» della cosmopolita ed europea Pietroburgo nella capitale di un impero euroasiatico che si estende per undici fusi orari, la «nuova Gerusalemme» di una società nuova. Le dimensioni di Mosca – e dunque del suo edificio più rilevante – non sono quelle della metropoli europea, né di quella americana, ma quelle monstruose di un città-territorio che si vuole estendere per migliaia di chilometri. Quando i lavori si arrestano nell’inverno del 1941, con le truppe tedesche ormai alle porte di Mosca, l’area è una colossale voragine dove le pompe lavorano ininterrottamente per estrarre l’acqua della Moscova che continua a riempire lo scavo. A guerra finita, agli occhi dei moscoviti si offre un gigantesco sterro, che viene presto riconvertito nella più grande piscina all’aperto del mondo quando il programma del Palazzo dei Soviet viene cancellato. Eppure l’immagine del Palazzo dei Soviet continuerà ad infestare a lungo la storia sovietica: fondale dei film di propaganda, soggetto di quadri e di illustrazioni, presenza fissa fino a tutti gli anni Cinquanta di ogni prefigurazione della Mosca futura, misura della tecnologia dell’URSS che continua a cimentarsi per anni con le immani questioni tecniche che quell’edificio poneva. Ma non sfugga il valore simbolico di questa fine: nel cuore monumentale di Mosca, un gigantesco buco che non si è mai riuscito a liberare dall’acqua, e che rilascia una altissima colonna di vapore: un fantasma che inghiotte non solo l’utopia modernista sovietica ma anche il sogno di egemonia del realismo socialista.
2022
Lanini, Luca
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/1164959
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