Ripercorro in questo intervento alcuni momenti dei dibattiti sulla trascrizione delle testimonianze orali all’interno della tradizione di studi demo-etno-antropologici italiani, usando in prevalenza riferimenti a ricerche toscane sulla tradizione mezzadrile e sulle memorie della Seconda guerra mondiale e della Resistenza. Negli anni ’80, gli studi basati sulla metodologia delle autobiografie orali hanno cercato di affermare uno standard di trascrizione “fedele”, che mantenesse intatte le caratteristiche lessicali e sintattiche del discorso orale, introducendo al tempo stesso alcune convenzioni per restituire le peculiarità dialettali, gli elementi di “tono” e quelli di comunicazione non verbale. Qui la trascrizione è considerata come momento cruciale di produzione della testimonianza come fonte, che consente da un lato di studiarla, dall’altro di renderla leggibile da un pubblico più ampio, portando la voce dei “testimoni” nella sfera pubblica. I punti deboli del modello, emersi progressivamente negli anni, hanno riguardato da un lato la difficoltà di affermare uno standard unitario, valido ad esempio per tutte le varietà regionali di italiano e in relazione a diversi interessi di ricerca; dall’altro, il problema etico del rapporto con gli informatori, che nel proporsi come “scrittori” chiedono di adeguarsi agli standard letterari e di non essere “primitivizzati” con restituzioni che lasciano intatti gli “errori” grammaticali. In altre parole, la trascrizione “fedele” confermerebbe quella subalternità dalla quale cercano invece di uscire. La maggiore odierna facilità nella riproduzione e diffusione dei documenti audiovisivi cambia in parte i termini del problema, e aiuta a separare l’esigenza di pubblicazione della fonte da quella del “dare voce” a particolari segmenti delle classi popolari.

Trascrivere e interpretare. Tradire per restare fedeli?

Fabio Dei
2022-01-01

Abstract

Ripercorro in questo intervento alcuni momenti dei dibattiti sulla trascrizione delle testimonianze orali all’interno della tradizione di studi demo-etno-antropologici italiani, usando in prevalenza riferimenti a ricerche toscane sulla tradizione mezzadrile e sulle memorie della Seconda guerra mondiale e della Resistenza. Negli anni ’80, gli studi basati sulla metodologia delle autobiografie orali hanno cercato di affermare uno standard di trascrizione “fedele”, che mantenesse intatte le caratteristiche lessicali e sintattiche del discorso orale, introducendo al tempo stesso alcune convenzioni per restituire le peculiarità dialettali, gli elementi di “tono” e quelli di comunicazione non verbale. Qui la trascrizione è considerata come momento cruciale di produzione della testimonianza come fonte, che consente da un lato di studiarla, dall’altro di renderla leggibile da un pubblico più ampio, portando la voce dei “testimoni” nella sfera pubblica. I punti deboli del modello, emersi progressivamente negli anni, hanno riguardato da un lato la difficoltà di affermare uno standard unitario, valido ad esempio per tutte le varietà regionali di italiano e in relazione a diversi interessi di ricerca; dall’altro, il problema etico del rapporto con gli informatori, che nel proporsi come “scrittori” chiedono di adeguarsi agli standard letterari e di non essere “primitivizzati” con restituzioni che lasciano intatti gli “errori” grammaticali. In altre parole, la trascrizione “fedele” confermerebbe quella subalternità dalla quale cercano invece di uscire. La maggiore odierna facilità nella riproduzione e diffusione dei documenti audiovisivi cambia in parte i termini del problema, e aiuta a separare l’esigenza di pubblicazione della fonte da quella del “dare voce” a particolari segmenti delle classi popolari.
2022
Dei, Fabio
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