Fino a pochi anni fa la tendenza prevalente nel pensare il senso e lo spessore dell’essere “famiglia” era quella della ricerca di ritmi di vita di ciascun componente rigidamente sovrapponibili gli uni agli altri e retti da una comune visione del mondo; oggi è invece possibile intravedere, a livello embrionale, nuove forme di solidarietà legittimate dalla disponibilità a ridefinire costantemente i confini del gruppo, a ridiscuterne le regole condivise, a garantire la possibilità per ciascuno di decidere almeno in parte del proprio destino senza dover soggiacere a percorsi di vita prefissati prima ancora della nascita. Questi cambiamenti, fin qui delineati assai sinteticamente, dovrebbero aprire spazi di speranza relazionale; invece determinano, per lo più, un’accentuazione degli elementi di paura generati dalla perdita di antiche sicurezze. Tali elementi, che connotano l’universo di ciascuno in qualsiasi età del ciclo di vita, si traducono non di rado in forme di iperprotezione esacerbata nei confronti dei membri più deboli dal punto di vista relazionale, come gli anziani o i bambini. I bambini, in particolare, irrompono sulla scena come soggetti portatori di inquietudine diventando, loro malgrado, oggetto privilegiato della nostra cura; vogliamo preservarli da ogni pericolo e finiamo per costruirne di indicibili, dando così voce ai nostri rancorosi timori di adulti. Così, mentre progettiamo dispositivi di protezione rispetto ai bambini, tentiamo, in realtà, di disciplinare il disordine che essi portano involontariamente nella nostra esistenza; e nel mettere in scena la nostra opprimente e ansiosa sollecitudine proteggiamo, spesso, prevalentemente noi stessi.

Genitorialità ed educazione: trasformazioni, miti e paure

GALANTI, MARIA ANTONELLA
2008-01-01

Abstract

Fino a pochi anni fa la tendenza prevalente nel pensare il senso e lo spessore dell’essere “famiglia” era quella della ricerca di ritmi di vita di ciascun componente rigidamente sovrapponibili gli uni agli altri e retti da una comune visione del mondo; oggi è invece possibile intravedere, a livello embrionale, nuove forme di solidarietà legittimate dalla disponibilità a ridefinire costantemente i confini del gruppo, a ridiscuterne le regole condivise, a garantire la possibilità per ciascuno di decidere almeno in parte del proprio destino senza dover soggiacere a percorsi di vita prefissati prima ancora della nascita. Questi cambiamenti, fin qui delineati assai sinteticamente, dovrebbero aprire spazi di speranza relazionale; invece determinano, per lo più, un’accentuazione degli elementi di paura generati dalla perdita di antiche sicurezze. Tali elementi, che connotano l’universo di ciascuno in qualsiasi età del ciclo di vita, si traducono non di rado in forme di iperprotezione esacerbata nei confronti dei membri più deboli dal punto di vista relazionale, come gli anziani o i bambini. I bambini, in particolare, irrompono sulla scena come soggetti portatori di inquietudine diventando, loro malgrado, oggetto privilegiato della nostra cura; vogliamo preservarli da ogni pericolo e finiamo per costruirne di indicibili, dando così voce ai nostri rancorosi timori di adulti. Così, mentre progettiamo dispositivi di protezione rispetto ai bambini, tentiamo, in realtà, di disciplinare il disordine che essi portano involontariamente nella nostra esistenza; e nel mettere in scena la nostra opprimente e ansiosa sollecitudine proteggiamo, spesso, prevalentemente noi stessi.
2008
Galanti, MARIA ANTONELLA
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