L’articolo 416 bis, nella sua formulazione attuale, può ancora aiutarci a riconoscere e reprimere la realtà mutevole delle organizzazioni mafiose vecchie e nuove che cambiano pelle, adeguandosi – come accade ad ogni organizzazione, più o meno strutturata che sia – alle opportunità che si profilano nei vari territori, e con diversi interlocutori. Occorre però un diverso approccio a livello giurisprudenziale, una visione interpretativa che può manifestarsi e consolidarsi, come mostra lo stesso caso dell’inchiesta “mondo di mezzo”, ma è ancora contestato e spesso soccombente – almeno, così è stato nella vicenda processuale considerata. Purtroppo la cultura giuridica dominante in Italia è impregnata di un formalismo sterile, esemplificato dalla pressoché completa assenza di lezioni di taglio economico, sociologico o politologico nei corsi di giurisprudenza – un neolaureato che diventerà magistrato spesso non ha mai sentito parlare del fenomeno mafioso nelle aule universitarie, se non in relazione al dettato del codice penale. In un universo concettuale popolato soltanto di interpretazioni (spesso controverse o schizofreniche) di norme che disegnano fattispecie giuridiche astratte, i magistrati che ignorano natura ed evoluzione di quei fenomeni rischiano di perdere di vista l’oggetto sociale trattato da quelle disposizioni, e quindi non riconoscere più le condotte socialmente distruttive che ne scaturiscono.
Riconoscere le mafie che corrompono: una sfida interpretativa
Alberto Vannucci
2023-01-01
Abstract
L’articolo 416 bis, nella sua formulazione attuale, può ancora aiutarci a riconoscere e reprimere la realtà mutevole delle organizzazioni mafiose vecchie e nuove che cambiano pelle, adeguandosi – come accade ad ogni organizzazione, più o meno strutturata che sia – alle opportunità che si profilano nei vari territori, e con diversi interlocutori. Occorre però un diverso approccio a livello giurisprudenziale, una visione interpretativa che può manifestarsi e consolidarsi, come mostra lo stesso caso dell’inchiesta “mondo di mezzo”, ma è ancora contestato e spesso soccombente – almeno, così è stato nella vicenda processuale considerata. Purtroppo la cultura giuridica dominante in Italia è impregnata di un formalismo sterile, esemplificato dalla pressoché completa assenza di lezioni di taglio economico, sociologico o politologico nei corsi di giurisprudenza – un neolaureato che diventerà magistrato spesso non ha mai sentito parlare del fenomeno mafioso nelle aule universitarie, se non in relazione al dettato del codice penale. In un universo concettuale popolato soltanto di interpretazioni (spesso controverse o schizofreniche) di norme che disegnano fattispecie giuridiche astratte, i magistrati che ignorano natura ed evoluzione di quei fenomeni rischiano di perdere di vista l’oggetto sociale trattato da quelle disposizioni, e quindi non riconoscere più le condotte socialmente distruttive che ne scaturiscono.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.