La metafora del Triangolo adulterino serve a ricostruire, diacronicamente, il percorso del nostro dramma borghese dall’ultimo ventennio del secolo XIX sino a sfiorare il XX, nel contesto europeo: Ibsen, Strindberg, Cechov; un repertorio a tutti gli effetti, su cui svetta l’exemplum giacosiano, ma che comprende, per via, drammaturghi coevi legati al mondo della scena. Il lavoro affonda le sue radici in ricerche di lunga gestazione, che potranno dare anche nuovi frutti, e che qui si manifestano nell’individuazione d’un passaggio di generazioni; emergono, infatti, aspetti di trasformazione e di crisi del modello sociale e drammaturgico postunitario, che rivelano dagli anni Ottanta ai Novanta dell’Ottocento ed oltre un risentimento sempre più acre di quella crisi. Gli scarti e le riprese potrebbero condurre alla ricostruzione di un “romanzo teatrale” attraverso la morfologia del Triangolo. Si parte dalla “piazza” di “Cavalleria rusticana” di Verga (portatrice di un “verismo del Sud” d’impronta tragica) per approdare al “tinello” di “Tristi amori” di Giacosa (dramma canonico dal punto di vista, già critico, del “verismo del Nord”). Si riscoprono, in questa prospettiva, testi poco noti come “I disonesti” di Rovetta (con la sua triangolarità economica), e altri più giustamente conosciuti come “La moglie ideale” di Marco Praga (dove il triangolo è ironizzato), giungendo all’adulterio senza valore in “Parassiti” di Camillo Antona Traversi e specialmente dell’estenuato milieu aristocratico di “La civetta” e “Carità mondana” del fratello Giannino. Finché in “Lulù” di Bertolazzi lo stesso Triangolo non esiste più – l’ultimo amante è un replicante del primo – e di fronte al pericolo d’una vanificazione del dritto (matrimonio) e del rovescio (adulterio) non resta che l’espulsioni della “mima” che ha osato minare l’identità maschilista e patriarcale della famiglia borghese. A questo percorso semantico e drammaturgico (corredato in nota da una sinossi dei testi e dalle notizie sulla loro vita spettacolare) si intreccia tuttavia un’altra storia, d’attori, e in particolare d’una attrice, Eleonora Duse, Santa di “Cavalleria”, Emma di “Tristi amori”, Giulia di “La moglie ideale”. Per rilevarne il ruolo di co-autrice, specialmente nel caso dell’ultima opera (l’originale taglio conclusivo della “moglie ideale” Praga lo deve a lei). Del resto l’analisi comparata di “Tristi amori” e di “La moglie ideale” (proprio nelle dissonanze delle rispettive protagoniste) rivela l’incidenza d’un rapporto fra drammaturgo e attrice che riguarda, come è già stato notato, anche Giacosa. Se Emma manifesta, nella dinamica dei silenzi e delle interiezioni, delle frasi sospese o interrotte, una “femminilità nevrotica” che risponde a certe connotazioni dusiane, Giulia esplica nella recita (che si sente in diritto di fare) l’istanza opposta, “chiacchierina” nei primi due atti, ma riecheggiante quel parlato veloce della prima Duse, che l’avrebbe condotta a trasformare in protagonista la “seconda donna”; con l’apporto d’una sensualità che affiora anche dalla prossemica e della gestualità (a partire dal famoso stile dei suoi baci).

"Geometria del Triangolo Adulterino: Giacosa e la 'piccola drammaturgia' italiana"

BARSOTTI, ANNA
2008-01-01

Abstract

La metafora del Triangolo adulterino serve a ricostruire, diacronicamente, il percorso del nostro dramma borghese dall’ultimo ventennio del secolo XIX sino a sfiorare il XX, nel contesto europeo: Ibsen, Strindberg, Cechov; un repertorio a tutti gli effetti, su cui svetta l’exemplum giacosiano, ma che comprende, per via, drammaturghi coevi legati al mondo della scena. Il lavoro affonda le sue radici in ricerche di lunga gestazione, che potranno dare anche nuovi frutti, e che qui si manifestano nell’individuazione d’un passaggio di generazioni; emergono, infatti, aspetti di trasformazione e di crisi del modello sociale e drammaturgico postunitario, che rivelano dagli anni Ottanta ai Novanta dell’Ottocento ed oltre un risentimento sempre più acre di quella crisi. Gli scarti e le riprese potrebbero condurre alla ricostruzione di un “romanzo teatrale” attraverso la morfologia del Triangolo. Si parte dalla “piazza” di “Cavalleria rusticana” di Verga (portatrice di un “verismo del Sud” d’impronta tragica) per approdare al “tinello” di “Tristi amori” di Giacosa (dramma canonico dal punto di vista, già critico, del “verismo del Nord”). Si riscoprono, in questa prospettiva, testi poco noti come “I disonesti” di Rovetta (con la sua triangolarità economica), e altri più giustamente conosciuti come “La moglie ideale” di Marco Praga (dove il triangolo è ironizzato), giungendo all’adulterio senza valore in “Parassiti” di Camillo Antona Traversi e specialmente dell’estenuato milieu aristocratico di “La civetta” e “Carità mondana” del fratello Giannino. Finché in “Lulù” di Bertolazzi lo stesso Triangolo non esiste più – l’ultimo amante è un replicante del primo – e di fronte al pericolo d’una vanificazione del dritto (matrimonio) e del rovescio (adulterio) non resta che l’espulsioni della “mima” che ha osato minare l’identità maschilista e patriarcale della famiglia borghese. A questo percorso semantico e drammaturgico (corredato in nota da una sinossi dei testi e dalle notizie sulla loro vita spettacolare) si intreccia tuttavia un’altra storia, d’attori, e in particolare d’una attrice, Eleonora Duse, Santa di “Cavalleria”, Emma di “Tristi amori”, Giulia di “La moglie ideale”. Per rilevarne il ruolo di co-autrice, specialmente nel caso dell’ultima opera (l’originale taglio conclusivo della “moglie ideale” Praga lo deve a lei). Del resto l’analisi comparata di “Tristi amori” e di “La moglie ideale” (proprio nelle dissonanze delle rispettive protagoniste) rivela l’incidenza d’un rapporto fra drammaturgo e attrice che riguarda, come è già stato notato, anche Giacosa. Se Emma manifesta, nella dinamica dei silenzi e delle interiezioni, delle frasi sospese o interrotte, una “femminilità nevrotica” che risponde a certe connotazioni dusiane, Giulia esplica nella recita (che si sente in diritto di fare) l’istanza opposta, “chiacchierina” nei primi due atti, ma riecheggiante quel parlato veloce della prima Duse, che l’avrebbe condotta a trasformare in protagonista la “seconda donna”; con l’apporto d’una sensualità che affiora anche dalla prossemica e della gestualità (a partire dal famoso stile dei suoi baci).
2008
Barsotti, Anna
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