Il contributo dà conto dell’evoluzione dell’atteggiamento del nazionalista Alfredo Rocco nei confronti del fascismo dal periodo precedente alla “marcia su Roma” al fatale (per le sorti della liberaldemocrazia) biennio 1925-26. In una prima fase la lettura rocchiana del fenomeno fascista coincideva di fatto con le analisi di altri esponenti del nazionalismo, che nel periodo 1920-22 si interrogavano sulla natura del movimento (dal 1921 trasformato in partito) fascista. Nei confronti del fascismo i nazionalisti mostrarono più volte atteggiamenti di diffidenza e di superiorità, nella convinzione di possedere una sorta di primogenitura nell’approntamento di un coerente ideario della nazione. Rocco stesso, nel corso del 1921, parlò di “nazional-fascismo”, assegnando ai nazionalisti la funzione di “antesignani della nazione”. Fatte salve l’importanza delle tematiche nazionaliste nello sviluppo dell’ideario fascista e l’importanza del ruolo di singoli esponenti nazionalisti nel futuro governo Mussolini, tra i due movimenti, tuttavia, vi erano differenze rilevabili sia sul terreno ideologico, sia sul piano delle mentalità, dell’estrazione sociale e della visione del futuro dei rispettivi aderenti. Dopo la “marcia su Roma” e la costituzione del governo Mussolini, i rapporti tra fascismo e nazionalismo sfociarono in una difficile fusione, realizzata nel febbraio 1923, che di fatto segnò la liquidazione del nazionalismo come movimento autonomo organizzato e la fine dell’ambizione delle camicie azzurre di incapsulare il governo fascista in una sorta di grande ministero nazionale che avesse proprio nel gruppo nazionalista il suo nume tutelare. Nel giro di poco tempo Rocco ricoprì vari incarichi istituzionali e di governo, fino ad approdare, immediatamente dopo il 3 gennaio 1925, ai vertici del ministero della Giustizia, che avrebbe retto fino al 1932. Tra coloro che fecero parte della classe dirigente del regime, fu proprio l’ex nazionalista Rocco, come ben noto, a contribuire in maniera decisiva all’approntamento dei provvedimenti legislativi che segnarono la svolta autoritaria della metà degli anni Venti e la nascita dello “Stato nuovo” fascista.
Il nazionalismo di fronte al fascismo: Alfredo Rocco e la «nuova legalità fascista».
Fabrizio Amore Bianco
2024-01-01
Abstract
Il contributo dà conto dell’evoluzione dell’atteggiamento del nazionalista Alfredo Rocco nei confronti del fascismo dal periodo precedente alla “marcia su Roma” al fatale (per le sorti della liberaldemocrazia) biennio 1925-26. In una prima fase la lettura rocchiana del fenomeno fascista coincideva di fatto con le analisi di altri esponenti del nazionalismo, che nel periodo 1920-22 si interrogavano sulla natura del movimento (dal 1921 trasformato in partito) fascista. Nei confronti del fascismo i nazionalisti mostrarono più volte atteggiamenti di diffidenza e di superiorità, nella convinzione di possedere una sorta di primogenitura nell’approntamento di un coerente ideario della nazione. Rocco stesso, nel corso del 1921, parlò di “nazional-fascismo”, assegnando ai nazionalisti la funzione di “antesignani della nazione”. Fatte salve l’importanza delle tematiche nazionaliste nello sviluppo dell’ideario fascista e l’importanza del ruolo di singoli esponenti nazionalisti nel futuro governo Mussolini, tra i due movimenti, tuttavia, vi erano differenze rilevabili sia sul terreno ideologico, sia sul piano delle mentalità, dell’estrazione sociale e della visione del futuro dei rispettivi aderenti. Dopo la “marcia su Roma” e la costituzione del governo Mussolini, i rapporti tra fascismo e nazionalismo sfociarono in una difficile fusione, realizzata nel febbraio 1923, che di fatto segnò la liquidazione del nazionalismo come movimento autonomo organizzato e la fine dell’ambizione delle camicie azzurre di incapsulare il governo fascista in una sorta di grande ministero nazionale che avesse proprio nel gruppo nazionalista il suo nume tutelare. Nel giro di poco tempo Rocco ricoprì vari incarichi istituzionali e di governo, fino ad approdare, immediatamente dopo il 3 gennaio 1925, ai vertici del ministero della Giustizia, che avrebbe retto fino al 1932. Tra coloro che fecero parte della classe dirigente del regime, fu proprio l’ex nazionalista Rocco, come ben noto, a contribuire in maniera decisiva all’approntamento dei provvedimenti legislativi che segnarono la svolta autoritaria della metà degli anni Venti e la nascita dello “Stato nuovo” fascista.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.