Fra l’ottobre del 1848 e l’aprile del 1849 Francesco Domenico Guerrazzi, al vertice del governo ‘democratico’ toscano, ebbe l’occasione di tentare una riforma dell’economia del Granducato incentrata sulla rimozione delle cause che, a livello finanziario e fondiario, alimentando rendite parassitarie e monopoli, ostacolavano la crescita del tessuto produttivo, in particolare delle manifatture, e impedivano l’ampliamento di un ceto medio di produttori strutturato. Organicamente collegata a tale disegno era la riforma del sistema monetario regionale, caratterizzato di un’impronta deflazionistica, al fine di ampliare la base monetaria disponibile per la manifattura e il commercio. A tal fine promosse una manovra il cui fulcro era costituito dall’emissione di buoni fruttiferi del Tesoro a corso coatto all’interesse del 6%, anche di piccolo taglio, con privilegio ipotecario sui beni dello Stato che, a tal fine, sarebbero stati alienati per una somma complessiva pari a 14 milioni di lire. I buoni avrebbero avuto corso obbligatorio, al pari delle monete d’argento, e avrebbero dovuto essere ricevuti in pagamento sia dalle casse pubbliche che dai privati. Utilizzando prevalentemente la documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze e presso gli archivi delle Camere di Commercio di Firenze e di Livorno, nel contributo si esaminano il dibattito che si articolò intorno a tale misura nel Consiglio di Stato e nel Consiglio Generale, le implicazioni che ebbe sul deficit e sul debito pubblico toscano e, infine, le ripercussioni sulla circolazione dei biglietti delle due Casse di Sconto granducali.

Una moneta per la democrazia? Mercato, liquidità e debito nell’esperienza del governo Guerrazzi.

Cini M.
2024-01-01

Abstract

Fra l’ottobre del 1848 e l’aprile del 1849 Francesco Domenico Guerrazzi, al vertice del governo ‘democratico’ toscano, ebbe l’occasione di tentare una riforma dell’economia del Granducato incentrata sulla rimozione delle cause che, a livello finanziario e fondiario, alimentando rendite parassitarie e monopoli, ostacolavano la crescita del tessuto produttivo, in particolare delle manifatture, e impedivano l’ampliamento di un ceto medio di produttori strutturato. Organicamente collegata a tale disegno era la riforma del sistema monetario regionale, caratterizzato di un’impronta deflazionistica, al fine di ampliare la base monetaria disponibile per la manifattura e il commercio. A tal fine promosse una manovra il cui fulcro era costituito dall’emissione di buoni fruttiferi del Tesoro a corso coatto all’interesse del 6%, anche di piccolo taglio, con privilegio ipotecario sui beni dello Stato che, a tal fine, sarebbero stati alienati per una somma complessiva pari a 14 milioni di lire. I buoni avrebbero avuto corso obbligatorio, al pari delle monete d’argento, e avrebbero dovuto essere ricevuti in pagamento sia dalle casse pubbliche che dai privati. Utilizzando prevalentemente la documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze e presso gli archivi delle Camere di Commercio di Firenze e di Livorno, nel contributo si esaminano il dibattito che si articolò intorno a tale misura nel Consiglio di Stato e nel Consiglio Generale, le implicazioni che ebbe sul deficit e sul debito pubblico toscano e, infine, le ripercussioni sulla circolazione dei biglietti delle due Casse di Sconto granducali.
2024
Cini, M.
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