Di potere costituente non si parla più tanto. Si preferisce parlare di produzione di norme costituzionali, di limiti alla revisione costituzionale e così via, lasciandoci alle spalle una nozione troppo vicina, da una parte, alla filosofia politica e, dall’altra parte, alla storia. Il potere costituente è, per la Costituzione, ciò che ne garantisce la coerenza con se stessa e, quindi, secondo il teorema di incompletezza di Gödel non può che essere estraneo al sistema di cui la Costituzione fa parte e che a partire dalla Costituzione si sviluppa: l’algebra produce sistemi coerenti solo se il loro fondamento è esterno al sistema di cui fanno parte. Il potere costituente non esiste una volta per tutte, esiste ogni volta che una comunità politica si organizza in modo da esercitare stabilmente la sovranità, del potere costituente conviene indagare la storia e la genealogia accantonando l’ontologia, perché è strutturalmente incompatibile con una caratterizzazione per assoluti. L’unica cosa che si può dire in assoluto è che lo stesso si pone all’esterno del sistema che fonda e questo assunto lo rende relativo e mutevole da contesto a contesto. Nel caso italiano, si può dire che lo statuto albertino non fu esercizio di potere costituente: fu concesso per evitare l’erompere del potere costituente. Meglio concedere uno Statuto che farsi strappare la Costituzione. Il regime fascista è sicuramente intervenuto sul contratto sociale alla base dello Statuto albertino e ha spostato il fulcro del sistema nel partito unico considerato come una forma di Stato dai caratteri fortemente innovativi dalla dottrina dell’epoca, ma non vi è stato esercizio di potere costituente in quella che si volle chiamare rivoluzione fascista e che fu la dittatura commissaria dello Statuto. La Costituzione, per parte sua, trova il suo fondamento nella costituzione provvisoria e, perciò, è il frutto maturo di un sistema oramai in putrefazione ma capace ancora di rinnovarsi secondo schemi legali. La costituzione provvisoria è stata costituzionalizzata dalla XV Disposizione transitoria e finale che ha “dato per convertito” il d.l. 151/1944, attribuendo, con efficacia retroattiva, al processo di formazione della Costituzione lo stesso valore della Costituzione che perciò trova il proprio fondamento in se stessa. Nello stesso tempo, la Costituzione è stata promulgata per effetto della XVII Disposizione transitoria e finale, la quale non poteva essere in vigore nel momento in cui la Costituzione è stata promulgata, sicché – in Italia – si può dire che il potere costituente si sia manifestato promulgando se stesso e, perciò, operando all’esterno del sistema di cui costituisce il fondamento. La promulgazione della Costituzione ha accertato la sua coerenza rispetto al processo storico che ha determinato il superamento della esperienza statutaria e di quella fascista e in questo processo ha assunto un ruolo fondamentale la cultura dei partiti politici come strumento di composizione del conflitto sociale. Questo fondamento, però, non è più attuale: i partiti politici non operano più sul piano della intermediazione fra lo Stato apparato e lo Stato comunità. La rappresentanza politica, infatti, non deve essere letta come espressione della sovranità popolare nella chiave civilistica del mandato ma piuttosto come strumento della sovranità popolare attraverso la mediazione / integrazione delle infinite tensioni fra lo Stato apparato (il deep state) e la società civile. La crisi dei partiti politici che, nelle ideologie del costituente, avrebbero dovuto svolgere questo compito è determinata dall’erompere del mercato come strumento di composizione dei conflitti sociali, sicché sembra di poter sostenere che il potere costituente abbia perso di interesse perché il compito di fondare la coerenza del sistema dall’esterno è stato assorbito dal mercato. Il mercato, infatti, non può più essere letto semplicemente come un luogo di scambio dei beni della vita ma deve essere considerato come lo spazio nel quale opera il tribunale dell’opinione pubblica e che, perciò, genera i vettori di senso del legame sociale.

IL FETICCIO ANCESTRALE: IL POTERE COSTITUENTE DAL TRAMONTO ALL’ALBA

Gian Luca Conti
Primo
2024-01-01

Abstract

Di potere costituente non si parla più tanto. Si preferisce parlare di produzione di norme costituzionali, di limiti alla revisione costituzionale e così via, lasciandoci alle spalle una nozione troppo vicina, da una parte, alla filosofia politica e, dall’altra parte, alla storia. Il potere costituente è, per la Costituzione, ciò che ne garantisce la coerenza con se stessa e, quindi, secondo il teorema di incompletezza di Gödel non può che essere estraneo al sistema di cui la Costituzione fa parte e che a partire dalla Costituzione si sviluppa: l’algebra produce sistemi coerenti solo se il loro fondamento è esterno al sistema di cui fanno parte. Il potere costituente non esiste una volta per tutte, esiste ogni volta che una comunità politica si organizza in modo da esercitare stabilmente la sovranità, del potere costituente conviene indagare la storia e la genealogia accantonando l’ontologia, perché è strutturalmente incompatibile con una caratterizzazione per assoluti. L’unica cosa che si può dire in assoluto è che lo stesso si pone all’esterno del sistema che fonda e questo assunto lo rende relativo e mutevole da contesto a contesto. Nel caso italiano, si può dire che lo statuto albertino non fu esercizio di potere costituente: fu concesso per evitare l’erompere del potere costituente. Meglio concedere uno Statuto che farsi strappare la Costituzione. Il regime fascista è sicuramente intervenuto sul contratto sociale alla base dello Statuto albertino e ha spostato il fulcro del sistema nel partito unico considerato come una forma di Stato dai caratteri fortemente innovativi dalla dottrina dell’epoca, ma non vi è stato esercizio di potere costituente in quella che si volle chiamare rivoluzione fascista e che fu la dittatura commissaria dello Statuto. La Costituzione, per parte sua, trova il suo fondamento nella costituzione provvisoria e, perciò, è il frutto maturo di un sistema oramai in putrefazione ma capace ancora di rinnovarsi secondo schemi legali. La costituzione provvisoria è stata costituzionalizzata dalla XV Disposizione transitoria e finale che ha “dato per convertito” il d.l. 151/1944, attribuendo, con efficacia retroattiva, al processo di formazione della Costituzione lo stesso valore della Costituzione che perciò trova il proprio fondamento in se stessa. Nello stesso tempo, la Costituzione è stata promulgata per effetto della XVII Disposizione transitoria e finale, la quale non poteva essere in vigore nel momento in cui la Costituzione è stata promulgata, sicché – in Italia – si può dire che il potere costituente si sia manifestato promulgando se stesso e, perciò, operando all’esterno del sistema di cui costituisce il fondamento. La promulgazione della Costituzione ha accertato la sua coerenza rispetto al processo storico che ha determinato il superamento della esperienza statutaria e di quella fascista e in questo processo ha assunto un ruolo fondamentale la cultura dei partiti politici come strumento di composizione del conflitto sociale. Questo fondamento, però, non è più attuale: i partiti politici non operano più sul piano della intermediazione fra lo Stato apparato e lo Stato comunità. La rappresentanza politica, infatti, non deve essere letta come espressione della sovranità popolare nella chiave civilistica del mandato ma piuttosto come strumento della sovranità popolare attraverso la mediazione / integrazione delle infinite tensioni fra lo Stato apparato (il deep state) e la società civile. La crisi dei partiti politici che, nelle ideologie del costituente, avrebbero dovuto svolgere questo compito è determinata dall’erompere del mercato come strumento di composizione dei conflitti sociali, sicché sembra di poter sostenere che il potere costituente abbia perso di interesse perché il compito di fondare la coerenza del sistema dall’esterno è stato assorbito dal mercato. Il mercato, infatti, non può più essere letto semplicemente come un luogo di scambio dei beni della vita ma deve essere considerato come lo spazio nel quale opera il tribunale dell’opinione pubblica e che, perciò, genera i vettori di senso del legame sociale.
2024
Conti, GIAN LUCA
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/1281634
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